La prima partita vera nella storia del Cagliari calcio si giocò ai primi del novecento in Piazza D’Armi, in mezzo ad un diluvio e con le porte delimitate da tronchi d’albero. A rincorrere un pallone di cuoio, una rappresentativa di marinai liguri ed una di studenti cagliaritani, Vinsero i primi, più abili e più forti.
Dopo poco più di mezzo secolo, in un pomeriggio di primavera, all’Amsicora di Cagliari, stadio gremito in ogni ordine di posto, prima Gigi Riva con un colpo di testa in tuffo, poi Bobo Gori con un fendente in diagonale, regolarono il Bari. Per la prima volta una squadra del sud, una squadra isolana, si aggiudicava il titolo di Campione d’Italia di Calcio. Questa squadra era IL CAGLIARI!!! E campionni siammo!

‘’Banditi e pastori, ecco come ci chiamavano quando andavamo a giocare a Milano o a Torino – raccontava Riva -. Invece noi vedevamo solo tante facce da emigranti. Venivano dalla Germania, dal Belgio, dalla Svizzera. Erano minatori, camerieri, operai. La loro gioia era la nostra’’.
‘’Quando si giocava in casa, all’Amsicora – raccontava Cera – c’era gente che partiva dalle montagne dell’entroterra il sabato notte e la domenica mattina era già fuori dallo stadio ad aspettarci’’.

La forza di quel Cagliari, la motivazione base di quel pugno di uomini che ne indossavano la maglia, credo scaturisse soprattutto dalla voglia matta di voler dare a quella gente nuova speranza e fiducia;  aiutarla  a ritrovare il sorriso a liberarsi di antichi complessi di inferiorità e riscoprire un orgoglio.

Erano i meravigliosi anni sessanta… e tutto era diverso allora. Era un’altra Italia. Le musiche meno roboanti, le canzoni più semplici, più ricche di sentimento e poesia. La gente esprimeva il proprio pensiero con pacatezza, i nostri cuori erano forse più semplici, più ingenui, più veri. La moda si muoveva con più gusto e stile superiore... Non c’era la legge sulla privacy, l’attenzione ed il rispetto verso gli altri erano spontanei  e  naturali. Si avvertiva una sensibilità superiore, c’era più educazione.
Anche nel calcio tante cose erano differenti rispetto ad oggi. La vittoria di una squadra valeva due punti e gli scudetti li vincevano solo le società capitaliste del nord; oggi lo scudetto lo vince sempre e solo la Juventus…! E meno male… Anche le magliette che indossavano i calciatori erano più semplici, pochi dettagli e niente sponsor. La numerazione non comprendeva tutti i numeri della Lottomatica, più  semplicemente si andava dall’1 all’ 11. Mitico l’11 di GIGGI RIVVA! I pantaloncini erano tanto corti da non coprire mezza coscia.

Cagliari come un po' tutte le città di mare è sempre stata bellissima. In tutto questo tempo ha subito naturali cambiamenti. Oggi  Casteddu  è città più attrezzata, più moderna, anche se le cose più belle, sono rimaste quelle dove l’uomo del 2000 non è riuscito a metterci mano: Castello e le sue torri, la zona più antica e fascinosa della città, la Marina, Piazza Jenne dove troneggia la statua di Carlo Felice che ha vestito lo scudetto e tutte le maglie del Cagliari calcio. Questo mare meraviglioso poi... che ci accompagna, ci tiene compagnia. Il  maestrale che spazza lo smog, leva le nubi e accende il sole. Quanto sole si consuma qui in Sardegna!

Ricordo la spiaggia del Poetto, il favoloso litorale cagliaritano, quelle montagne di sabbia bianchissima e calda, addensatasi nel tempo sulla  spiaggia e tra quei  casotti  variopinti e luccicanti al sole, a creare un paesaggio di una bellezza unica.
Da ragazzini, ci si poteva arrivare semplicemente aggrappandoci al retro di un tram che curvando su di un piccolo un ponte, ora abbattuto, che delimitava uno spazio dove allora alloggiava il vecchio stadio Amsicora, si fletteva pericolosamente di lato fino quasi a rovesciare.
Non è un caso che molti calciatori di quel Cagliari campione a fine carriera abbiano deciso di stabilirsi definitivamente qui da noi. Cagliari è sempre stata una città tranquilla, serena, accogliente come la sua gente, forse un po' diffidente e silenziosa, mai invadente e sempre cordialmente ospitale e generosa. Gente che ha sempre meritato la considerazione ed il rispetto di tutti.

Il compianto Gianni Brera, molto più di un grande giornalista sportivo… scriveva: ’’Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. La Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l'ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente capitali del football italiano. Una grande impresa positiva, un evento gioioso’’.

Quella squadra aveva coinvolto ed unito un popolo intero, liberandolo dalla malinconia, allontanandolo dalla monotonia. Una credibilità sociale riscattata alla faccia di tutti. Soprattutto di coloro i quali  venivano in Sardegna a godere del nostro mare, del nostro sole, della nostra ospitalità, per poi denigrare questa terra meravigliosa ed i suoi abitanti.
L’ incredibile avventura che ha portato una piccola squadra, approdata solo 5 anni prima e per la prima volta in serie A, a trovare la forza e l’orgoglio di raggiungere la vetta della massima competizione nazionale, mettere in fila gli squadroni del nord, da sempre dominatori, non può essere considerato ‘’solo’’ un successo sportivo. Quell’epica impresa ruppe una tradizione, stravolse gli schemi. Fu una rivincita sociale di enormi dimensioni. Fu l’affermazione quasi prepotente di una terra dimenticata, poco considerata e credibile per pregiudizio e per l'interesse dei potenti. 
Il Presidente del Cagliari-scudetto fu Efisio Corrias, ma la chiave di svolta la diedero Enrico Rocca e Andrea Arrica: due giovani  imprenditori benestanti soci in affari.
Rocca divenne Presidente della squadra nel 1960 e già  due anni dopo il Cagliari veniva promosso in Serie B. Dopo soli tre anni, nel 1963, si raggiunse la massima serie.

Che ricordi! Il Cagliari costruì la promozione raccogliendo tantissimi punti in trasferta. In panchina Arturo Silvestri, soprannominato Sandokan , quindi i suoi tigrotti: un giovanissimo Riva, al quale in quel periodo il pubblico cagliaritano preferiva il sardo Congiu… il portiere Colombo,  non arrivava ad 1,70 cm di altezza, quell’anno fu valutato il miglior portiere della serie cadetta e qualche anno dopo fu acquistato dalla Juventus…Le punte di quel Cagliari corsaro erano Capellaro Torriglia oltre ai già citati Congiu e Riva. In difesa Spinosi, Mazzucchi ed il roccioso  Longo. I terzini Martiradonna, Tiddia… A centrocampo Greatti, Rizzo…, che bombe che tirava Rizzo!!! Andavo spesso ad assistere agli allenamenti del Cagliari… Rizzo al termine dell’allenamento si piazzava poco oltre la linea di centrocampo, al portiere strillava: ‘’Ciappa!!!’’(acchiappala!!!) e faceva partire delle cannonate pazzesche che forse neanche Riva! Che spettacolo!

Il Cagliari si preparò all'esordio in Serie A acquistando l’attaccante Nenè della Juventus, che poi utilizzò come esterno di centrocampo, il tornante Visentin dal Bari, il libero Cera dal Verona e prese l’attaccante Gallardo in prestito dal Milan. Si confidava molto su Gallardo, definito attaccante di una velocità impressionante e dotato di un tiro potentissimo. Vero! Gallardo tirava come una bestia, ma la porta la non la vedeva mai. Ricordo noi ragazzini, non tutti potevamo permetterci un pallone ed allora si andava a vedere gli allenamenti del Cagliari.
La speranza era che Gallardo giocasse… Ci piazzavamo a circa 70 metri dalla porta, un canale divideva la nostra postazione dal campo di allenamento. Non rimaneva che attendere che Gallardo tirasse in porta. Grazie ai suoi tiri fortissimi e quasi sempre fuori dallo specchio della porta, la sera di ogni giovedì si tornava a casa con 3 o 4 palloni pescati con abilità e pazienza in quel canale.

L’impatto con la massima serie per quel Cagliari non fu semplice. Ad un girone d’andata disastroso, da ultimi in classifica, fece seguito un girone di ritorno strepitoso che portò ad un clamoroso 6^ posto
Due stagioni più tardi, Gigi Riva vinse per la prima volta  il titolo di capocannoniere della Serie A; il Cagliari fu la squadra che incassò meno gol di tutte.

Nella stagione 1968-69, i rossoblu lottarono fino alla fine per la conquista dello scudetto. Quel campionato fu vinto e meritatamente dalla Fiorentina di Maraschi, Chiarugi e…Rizzo. Nella stagione successiva, Andrea Arrica, la volpe, che già l’anno prima su suggerimento di Scopigno concluse un grande affare cedendo Rizzo alla Fiorentina in cambio di Albertosi e Brugnera… Riuscì poi  a chiuderne un altro ancora più grosso: il centravanti Boninsegna fu ceduto all’Inter in cambio di tre giocatori del calibro di Domenghini, Bobo Gori e Poli.
Fu scudetto con due giornate di anticipo e  45 punti realizzati  grazie a  17 vittorie, 11
pareggi e solo 2 sconfitte. Quel  Cagliari impose 4 punti di distacco all’Inter, 7 alla Juventus, 9 al Milan e alla Fiorentina e 14 al Napoli. Fu la  miglior difesa del torneo con soli 11 reti al passivo. Mezza  squadra  fu convocata per i mondiali messicani: Albertosi, Cera, Domenghini, Gori, Niccolai e Riva. Quell’anno la nazionale azzurra  si classificò vice campione del mondo, dietro il  grande Brasile di Pelè Tostao Jairsinho... Gerson…).

Una stagione ricca di soddisfazioni, una stagione di emozioni forti, da brivido grazie ad 11 mitici tigrotti. I nomi sono quelli tante volte annunciati nelle formazioni iniziali: Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nené, Gori, Greatti Riva, ai quali si alternavano alla bisogna: Adriano Reginato, Moreno Tampucci, Mario Brugnera, Eraldo Mancin, Cesare Poli. In panchina la regia sapiente di Manlio Scopigno filosofo non per caso.
Palla a terra, pochi lanci lunghi, un gran lavoro a centrocampo e i tagli di Riva, che fintava di venire al centro e poi chiedeva palla in profondità, per poter chiudere col suo. In difesa c’era da fare i conti con Niccolai, ottimo stopper ma molto incline all’autogol… grande il lavoro di Pierluigi Cera il primo libero centrocampista della storia . ‘’Si respirava – raccontava Domenghini – perché non c’era la pressione di tv, giornalisti e sponsor. Respirare significava anche poter giocare un calcio bello, autentico, semplice ed efficace, divertente. Andare in campo con la testa sgombra voleva dire fiato, forza e probabilmente vincere.’’

La cavalcata del Cagliari verso lo scudetto iniziò un po' in sordina. Qualche pareggio di troppo, qualche vittoria stentata. Nel girone d’andata  furono fondamentali le vittorie ottenute ai danni della Lazio e della Fiorentina. Fu entusiasmante la vittoria sul Napoli, ottenuta  senza l’apporto di Riva fermato dall’influenza. Ottima la vittoria sulla Roma, e buono il pari con la Juve. Poi la prima sconfitta a Palermo 1 a 0 con espulsione di Scopigno che si accanì con un guardalinee.
Un Cagliari stanco arriva primo al giro di boa.
Nel girone di ritorno non si può dimenticare la gara vinta con il Vicenza. Quella spettacolare rovesciata- gol di Riva è ancora oggi una delle reti più belle mai viste su un campo di calcio.
Un brutto pareggio con la Fiorentina e la seconda sconfitta subita dall’Inter avvicinano la Juventus ad un solo punto dal Cagliari. La posizione si mantenne fino al fatidico scontro diretto di Torino.
Ci fu subito una clamorosa autorete del solito Niccolai… alla quale si  rimediò con il solito gol di Riva. Poi salì in cattedra Concetto Lo Bello,  il miglior arbitro protagonista della storia. Si inventò prima un rigore a favore della Juventus: Albertosi parò il tiro di Haller. A  Lo Bello questo non bastò... e fece ripetere…!  Stavolta  Albertosi  nulla potè sul tiro di Anastasi e  finì per scoppiare in lacrime. Ad 8 minuti dalla fine, Lo Bello ebbe il buon gusto di inventarsi una altro calcio di rigore, stavolta a favore del Cagliari, per presunto atterramento di Riva in area juventina. Riva tirò quel rigore e realizzò quasi per miracolo. Anzolin, portiere bianconero, riuscì quasi a parare quel pallone, che poi pian piano finì invece col varcare la linea di porta.
Quel 2 a 2 permise al Cagliari di mantenere la testa della classifica. Alla terz’ultima giornata all’Amsicora  scese il Bari. La vittoria sui pugliesi  e la contemporanea sconfitta della Juventus con la Lazio, consegnarono matematicamente al Cagliari il tanto sospirato scudetto tricolore.

Sull'onda di quell’impresa, fu costruito finalmente uno stadio all'altezza: il nuovo Sant'Elia.
Fu abbandonato il vecchio Amsicora, per lo più mantenuto in piedi da pali in ferro. Stadio caldissimo l’Amsicora, ma anche tremendamente e pericolosamente ondeggiante. Ci andai una volta e mi bastò… Molto meglio salire sugli alberi che dalla parte del canale costeggiavano lo stadio. Era necessario andare molto presto... scegliere l'albero adatto, il tronco più grosso e più stabile sul quale aggrapparsi, ricordare di stare lì e non esultare al gol del Cagliari. Per il resto era come stare in tribuna...

Stabilire una graduatoria di merito fra i protagonisti di quella grande impresa è un po' antipatico e fondamentalmente ingiusto. Più giusto accomunare quegli eroi in un unico indistinto applauso. Eppure di quel magico Cagliari mi sono rimaste impresse soprattutto due figure. I miei due portabandiera sono Gigi Riva e Manlio Scopigno. Decantare le gesta di Riva è troppo facile e perfino superfluo. Stiamo parlando  prima ancora che di un campione immenso, di una grandissima persona. Egli è ancora oggi e lo sarà per sempre, una icona di lusso per tutto lo sport nazionale.
Mancino naturale con una forza incredibile, fu Gianni Brera, brillante giornalista sportivo di allora, a dare a Riva il soprannome ideale: Rombo di Tuono.
Ciò che ricordo con più piacere fino a commuovermi è la ferocia con la quale Riva si è sempre battuto per regalare un sogno alla Sardegna. Il  suo amore sincero per la nostra gente, che ha sempre  manifestato con i fatti, rinunciando a lauti guadagni pur di rimanere  qui da noi.
‘’Mi pareva l'Africa, l'isola in cui si mandava la gente per punizione.’’ Disse una volta Riva, ricordando il suo primo approdo in Sardegna. Si abituò presto all’Africa… e ne divenne un simbolo, riunendo un popolo da sempre afflitto da divisioni interne. Ha giocato ininterrottamente con la maglia del Cagliari dal 1964 al 1976: 315 presenze e 164 gol abbandonò a 32 anni con un fisico ormai logorato dagli infortuni. Particolarmente grave fu quello che gli procurò il difensore Hof  in un Austria - Italia del1970. Quell’incidente costrinse Riva a stare molto tempo lontano dai campi di gioco. Il Cagliari che fino a quel momento dominava il campionato, pian piano, privo della sua arma letale, dovette cedere mestamente il passo ad altre squadre.

Manlio Scopigno: discreto giocatore, abbandonò l’attività abbastanza giovane appena dopo aver segnato il suo primo gol in A; subì la rottura dei legamenti del ginocchio.
Allenatore-filosofo, soprattutto grande psicologo, sapeva gestire l’animo umano. Quello scudetto fu un suo capolavoro tecnico-tattico. Un personaggio, un protagonista che avrebbe meritato più considerazione e maggiore successo. Amava la lettura, un maestro nello sdrammatizzare i momenti negativi. Persona colta di intelligenza superiore. Mi ha sempre entusiasmato e divertito il suo grande senso dell’humor, per la sua  ironia.
Una volta ebbe a dire: "Vincere uno scudetto a Cagliari equivale a vincerne 5 a Milano o Torino. Come faccio a dirlo? Me l'ha detto Domenghini che a Milano c'è stato e ce lo ripeteva sempre per farci capire che lui era uno importante...".
Un giornalista gli chiese un giorno perché Brugnera andasse sempre in panchina. Scopgno non rispose e non rispose, nonostante  il giornalista  insistesse imperterrito a porre varie volte la stessa domanda. ’’Alla fine non ne potevo più e gli risposi: “Perché Brugnera ha il culo stretto e così in panchina stiamo tutti più comodi”.
A Martiradonna disse: “Se avessi un altro cognome, saresti già in nazionale”.
‘’Durante il precampionato estivo ad Asiago – ricordava Pierluigi Cera – Scopigno entrò in una stanza dove tre o quattro di noi fumavano come turchi. Nebbia. Non fece una piega. Tirò fuori una sigaretta e ci domandò se per caso desse fastidio’’.
‘’Una sera vide uno di noi che alzava il gomito
– raccontava Adriano Reginato -. Allora chiamò il cameriere: “Vede quel giocatore? Per favore, gli porti un altro bicchiere di vino”.

Nel 1966/67 dopo la prima stagione alla guida del Cagliari, che si concluse con un il sesto posto, Scopigno venne esonerato dall’allora Presidente cagliaritano Rocca. “Presidente Rocca faccia presto, ho la minestra in tavola e non vorrei si raffreddasse”.

Dopo quel miracolo del 1970, il Cagliari vive un lento declino. Nel 1976 scende in B e nel 1988 addirittura in serie C1. Si risolleva e ha qualche sussulto col presidente Orrù, Carmine Longo direttore sportivo ed il quasi debuttante Claudio Ranieri allenatore.
Nel 1993 con giocatori del calibro di Gianfranco Matteoli, Enzo Francescoli e Daniel Fonseca, arriva uno strepitoso  6^ posto che garantisce al Cagliari la partecipazione alla Coppa UEFA.
Poi più niente, in questi ultimi 20 anni il Cagliari si mantiene più o meno stabilmente nella massima serie. 
Qualche sporadica discesa in Serie B, l’ultima quattro anni fa.

Gli anni '60 sono svaniti ormai da un pezzo, portandosi via tante belle cose, non ultima la nostra giovinezza. La poesia e la semplicità di allora hanno lasciato spazio a nostalgia e grandi ricordi.
Qui in Sardegna, però, splende sempre un grande sole. Su un cielo che è più azzurro e più limpido che mai… la sera è possibile poggiare lo sguardo e scorgere facilmente una stella più luminosa di altre. E' una stella che porta i colori del Cagliari, ha la forma di un cuore e su di essa poggia uno scudetto tricolore.

Cappitto mi hai?!