Verona è una città veneta di oltre duecentocinquantamila abitanti, la seconda città della regione per popolazione dopo il capoluogo, Venezia. Nota nel mondo come la città della tragedia di “Romeo e Giulietta” composta da William Shakespeare alla fine del 1500, nel 1985 è diventata famosa anche per una delle più emozionanti favole che solo lo sport e il calcio in particolare sono capaci di raccontare: lo scudetto del Verona di Osvaldo Bagnoli della stagione 1985/85.

Bagnoli, milanese dall’estate del 1981 è l’allenatore dell’Hellas Verona. E’ nato il 3 luglio 1935 nella Bovisa, quartiere della periferia nord ovest di Milano, diviso in due dai binari della ferrovia che lo attraversano da nord a sud e che di fatto lo isolano dal resto della città. La Bovisa rappresenta il simbolo del processo di industrializzazione dell’Italia del ‘900, meta di enormi flussi migratori dall’intera nazione e motore occupazionale per diverse generazioni. Quartiere operaio, in cui l’operosità e la caparbietà dei suoi abitanti, nonchè la solidarietà fra gli stessi, sono stati elementi che hanno inciso in maniera inequivocabile sul carattere e sul modo di intendere il calcio e la vita più in generale di Osvaldo Bagnoli. Una visione del mondo costruita sul sudore quotidiano, sull’impegno, sulla lealtà, sul concetto di “famiglia allargata”, una serie di componenti che hanno poi connotato il modo di intendere, di costruire e di gestire i suoi gruppi di calciatori.

Prima di sedersi sula panchina degli scaligeri Bagnoli ha allenato Verbania, Solbiatese, Como, Rimini e Fano e prima ancora è stato un centrocampista di sostanza con 110 partite disputate in seria A e 209 in serie B. Quando giunge a Verona come allenatore ha alle spalle soltanto campionati di serie C e serie B, culminati con una promozione dalla serie cadetta alla massima serie nella stagione 1980/81 alla guida dei bianconeri del Cesena. Pur avendo vinto il campionato in Romagna, nell’estate del 1981 decide di “autoretrocedersi” di categoria, accettando la proposta del Verona che dopo essersi miracolosamente salvato dalla retrocessione in serie C nell’anno precedente, vuole voltare pagina. I dirigenti scaligeri sono convinti che la svolta passi prima di tutto attraverso il cambio del tecnico e quindi via Cadè e dentro Bagnoli, fresco di promozione in serie A con il Cesena e stimolato dal bel progetto di ricostruzione del club scaligero.

La squadra viene costruita bene sul mercato e risponde pienamente alle sollecitazioni del tecnico mettendo in mostra un calcio non solo di ottima qualità ma anche molto concreto in termini di punti dal momento che al termine della stagione sarà promozione in serie A con una giornata di anticipo. Bagnoli ha costruito una squadra equilibrata, che pratica un calcio di buona qualità, ma il salto in serie A è sempre considerevole e quindi la squadra necessita di qualche rinforzo. E proprio perché, è risaputo quanto il salto dalla cadetteria alla massima serie sia notevole, la stagione 82/83 ha come obiettivo principale per i gialloblu prima di tutto una tranquilla salvezza e poi eventualmente il bel gioco, dal momento che il tecnico milanese ha sempre anteposto la concretezza allo spettacolo fine a sé stesso.

Bagnoli non è un tecnico esperto della nostra seria A. La sua unica esperienza risale all’annata 75/76 quando a Como, partendo come secondo allenatore sostituisce a stagione in corso il tecnico Beniamino Cancian, senza però riuscire ad evitare la retrocessione. La società veneta decide quindi di operare sul mercato focalizzandosi sull’integrazione del gruppo vincitore soltanto pochi mesi prima del campionato di B con giocatori di esperienza nella massima serie. Bagnoli da persona concreta quale è, e ben consapevole che le risorse economiche del Verona non sono illimitate, formula come unica sua richiesta in sede di campagna acquisti quella di puntare su atleti sì di esperienza, ma motivati, vogliosi di riscatto e non mestieranti arrivati bolsi a fine carriera con l’unico loro obiettivo di strappare gli ultimi contratti di carriera.

I dirigenti scaligeri lo accontentano e fanno arrivare a Verona sette nuovi giocatori, cinque italiani e due stranieri. Dalla Juventus arriva il ventiquattrenne Pietro Fanna, per la cifra di un miliardo e mezzo di lire. Fanna è un’ala destra veloce, di buona tecnica, che sull’esterno può giocare anche sull’altro lato del campo. Approdato a Torino diciannovenne come grande promessa del calcio italiano, in bianconero non ha dimostrato completamente quanto di buono si diceva su di lui disputando cinque stagioni discrete ma non eccezionali senza mai trovare spazio come titolare fisso nell’undici di Trapattoni. Luigi Sacchetti arriva invece nella città di Giulietta e Romea dopo sei stagioni nella Fiorentina. Mezzala di talento ma anche di corsa e sacrificio ha nella capacità di ricoprire tutti i ruoli del centrocampo la sua dote migliore. Luciano Marangon difensore classe 1956, scuola Juventus, arriva da esperienze con Lanerossi Vicenza, Napoli e Roma nelle quali, pur lambendo la nazionale di Enzo Bearzot facendo il suo esordio nella primavera del 1982 contro la Germania Est, non ha pienamente convinto. Chiude il lotto dei nuovi arrivi il trentunenne Domenico Volpati, mediano - difensore di grande sostanza, più votato all’interdizione che alla costruzione della manovra. Le cose migliori in carriera Volpati le ha fatte vedere nel Torino nelle annate 79/80 e 80/81 ma proviene da una stagione non propriamente esaltante nella serie cadetta con il Brescia, culminata con la retrocessione dei lombardi in serie C. Cinque ottimi giocatori lasciati però liberi dalle loro rispettive società per non essere riusciti ad esprimere completamente il proprio valore. Uomini e atleti desiderosi di riscatto, con diverse frecce ancora da scoccare nella loro faretra, considerato che la carta d’identità li colloca tutti nella fase centrale della carriera. Per loro non può esserci migliore allenatore che Osvaldo Bagnoli, maestro dell’animo umano prima ancora che allenatore di calcio, capace di tirare fuori dai propri atleti il centodieci per cento attraverso e con l’innata capacità di comprendere quanto ogni suo atleta gli può offrire e ancor di più in che modo impiegarlo dal punto di vista tecnico – tattico per farlo rendere al massimo. Anche dal punto di vista delle relazioni con i suoi atleti Bagnoli si contraddistingue per la capacità di avere un rapporto franco e leale, ottenendo in cambio la massima disponibilità da parte dei suoi atleti e di essere particolarmente legato al concetto di gruppo, da lui sempre anteposto al singolo.

In serie A c’è posto anche per due stranieri, e per colmare queste due caselle la società sceglie due giocatori di qualità ma soprattutto di grande esperienza internazionale: il capitano della nazionale polacca Zmuda e il globetrotter brasiliano Dirceu. Il primo è un arcigno difensore centrale dal grande fisico (187 centimetri) in grado di disimpegnarsi con estrema efficienza sia nel ruolo di stopper che in quello di libero, mentre Dirceu è una centrocampista d’attacco, un fantasista della grande classe e dal sinistro micidiale, valutato come uno dei tre migliori giocatori al mondo al termine del mondiale Argentina ’78. L’avventura italiana del difensore polacco non incomincia nel migliore dei modi dal momento che in una partita di precampionato lo stopper si frantuma il ginocchio, infortunio che gli condiziona l’intera annata, visto che al termine della stagione saranno solo sette le sue presenze in magli gialloblu.

Come previsto, le prime partite nella massima serie si rivelano complicate per i gialloblu, e pur dimostrando un buon gioco gli uomini di Bagnoli faticano a mettere in cascina punti. La tempra che l’uomo della Bovisa ha dato alla squadra è però tale che i giocatori gialloblu non si scoraggiano e piano, piano, la squadra inizia a crescere e a strutturarsi. La difesa, con il libero Tricella e i marcatori Spinosi e Oddi acquisisce sempre più sicurezza diventando un bunker difficilmente valicabile per gli attacchi delle squadre avversarie. Il centrocampo con i nuovi acquisti Sacchetti e Volpati affiancati alla classe del regista Di Gennaro si dimostra uno dei reparti centrali con il maggior rapporto tra qualità e qualità dell’intera serie A, e l’attacco, composto da Penzo punta centrale, Fanna a svariare sulle fasce e supportato dalla classe del funambolo brasiliano Dirceu sulla trequarti regala spettacolo e risultati.

Gli uomini di Bagnoli chiudono la stagione con un esaltante sesto posto in classifica, risultato strabiliante per una neopromossa, e la finale di Coppa Italia persa più che dignitosamente contro la grande Roma di Niels Liedholm. Come primo anno di serie A nessuno a Verona sperava in qualcosa di meglio. Ma i veronesi sono gente concreta e anziché cullarsi sugli allori di quel ottimo sesto posto cercano di individuare in che settori la squadra può essere rinforzata in funzione del campionato successivo che si annuncia come una delle stagioni d’oro del calcio italiano. La maggior parte dei migliori calciatori del mondo corre infatti sui prati degli stadi della nostra serie A: Zico, Maradona, Platini, Passarella, Rummenigge, Falcao, Cerezo, Boniek, sono solo alcuni dei tanti campioni stranieri che danno lustro alla nostra massima serie.

Bagnoli ha grande fiducia negli uomini con cui ha lavorato negli ultimi anni e considerando sacro il gruppo, non vuole assolutamente stravolgere la squadra. Per lui quell’undici ha bisogno soltanto di essere leggermente integrato al fine di poter rendere ancora di più. Il tecnico milanese e il general manager Emiliano Mascetti intuiscono che la prima cosa da fare è quella di sostituire i due stranieri. Zmuda, ancora al palo dopo il gravissimo infortunio al ginocchio dell’anno precedente e alle prese con una riabilitazione tutt’altro che agevole, e Dirceu che, da buon giramondo qual è, ha già trovato l’accordo con il Napoli per il suo trasferimento nella prestigiosa piazza partenopea. Il duo Bagnoli – Mascetti non hanno dubbi si indirizza senza indugi su due giocatori di grande fisicità e sostanza, che hanno impressionato il grande pubblico nel corso degli ultimi campionati Europei disputati in Francia: il nazionale tedesco Hans Peter Briegel e il nazionale danese Preben Larsen-Elkjær che si dimostreranno due pedine di straordinaria importanza per la squadra gialloblu. Il Verona chiude poi la propria rosa acquistando tre giocatori di contorno, quali Dario Donà dal Bologna, Franco Turchetta dal Varese e Fabio Marangon II dall’Alessandria che pur da riserve daranno un contributo di fondamentale all’annata dei gialloblu.

Bagnoli a dispetto di qualche detrattore che lo considera un “catenacciaro” ama schierare le sue squadre con un modulo piuttosto innovativo per quegli anni, vale a dire con una zona-mista nella quale sono presenti rigide marcature in difesa (pur con una linea difensiva spesso tenuta piuttosto alta che, pur senza esagerare, ogni tanto fa ricorso anche al fuorigioco) e un centrocampo schierato a zona. Lo schieramento base è sostanzialmente un 3-5-2 molto offensivo dal momento che sugli esterni Bagnoli piazza Fanna a destra e Marangon a sinistra, due giocatori con spiccate caratteristiche offensive (Fanna addirittura nella Juventus di Trapattoni spesso veniva schierato come seconda punta).

Garella è il portiere. Personaggio estroso, soprannominato “Garellik” e famoso per opporsi alle conclusioni degli avversari non solo con le mani ma con piedi, gambe e qualsiasi altra parte del corpo possa essere utile a proteggere la rete della propria porta. Proverbiali anche i suoi rinvii di oltre sessanta metri che, oltre ad essere di lunga gittata, si rivelavano precisissimi e atti ad innescare i vari Fanna, Marangon, Briegel e soprattutto Elkjaer, micidiali contropiedisti che sfruttando la loro fisicità e potenza in poche decine di secondi sono in grado di catapultarsi nella trequarti avversaria e cercare il goal.

Tricella è il libero, che oltre ad essere l’ultimo difensore è il primo regista della squadra. Bagnoli schiera le proprie squadre con due uomini d’ordine, capaci di impostare l’azione; uno più basso (il libero) e uno a centrocampo (regista avanzato), in modo da rendere meno prevedibile l’inizio dell’azione e l’innesco delle punte. Tricella ha il compito di impostare da dietro dando il tempo al centrocampo e all’attacco di posizionarsi adeguatamente, e lasciando poi al regista più avanzato, quello di centrocampo, la libertà di mettere in moto gli attaccanti, facendolo diventare più un trequartista che un classico regista davanti alla difesa. Il primo ha il compito di tenere palla e di uscire dall’area di rigore attendendo il piazzamento dei compagni; il secondo si interessa di impostare gli schemi da applicare dalla metà campo in su e per questo si muove spesso a ridosso delle punte. I due marcatori sono Fontolan, che si schiera sul centro-destra e Ferroni, a volte sostituito da Volpati, posizionato sul centro sinistra. Due stopper vecchia maniera, spietati sull’uomo sia in marcatura palla a terra che nel gioco aereo, capaci di coprire il libero Tricella, più centrocampista che difensore, quando questi esce palla al piede dalla propria aera di rigore, sfruttando la sua innata capacità di trasformare immediatamente l’azione difensiva in azione offensiva. Laterali titolari di centrocampo giocano Fanna e Marangon, e anche in questo caso il mago della Bovisa si rivela un grandissimo equilibratore, capace di far convivere fantasia e attacco con razionalità e fase difensiva. Miscela quindi un giocatore più offensivo come Pietro Fanna sulla fascia destra, sistemando dalla parte opposta del campo un terzino, sia pur con caratteristiche offensive, come Marangon.

A centrocampo il regista avanzato è Di Gennaro, giocatore di grande tecnica e visione di gioco che per rendere al meglio ha bisogno di due guardaspalle ai suoi lati, due giocatori di grande corsa, aggressività e sostanza che mister Bagnoli individua nel tedesco Briegel e uno tra Volpati e Sacchetti. I primi due in realtà sono due terzini naturali, adattati da Bagnoli nel ruolo di centrocampisti, al fine di rendere più robusto ed ermetico il suo centrocampo e consentire a giocatori di grande tecnica e visione di gioco come Tricella e Di Gennaro di poter illuminare il gioco della propria squadra senza preoccuparsi troppo della fase di interdizione.

In attacco “Nanu” Galderisi è il centravanti di riferimento mentre il danese Elkjær, soprannominato “cavallo pazzo” per la sua capacità di cavalcare le verdi praterie degli stadi della nostra serie A, è la seconda punta libero di muoversi e di spaziare non solo su tutto il fronte d’attacco ma a tutto campo. Anche qui Bagnoli si dimostra grande alchimista mettendo insieme due giocatori con caratteristiche diversissime fra loro. Galderisi, che con i suoi centosessantotto centimetri non può certamente essere definito un centravanti di sfondamento, bensì uno straordinario attaccante d’area di rigore, rapinatore del goal con la capacità di riuscire a farsi trovare sempre al posto giusto al momento giusto, con la potenza e l’irruenza fisica di Elkjær, che con la sua impressionante potenza in progressione si rivela devastante quanto può partire da dietro e attaccare la profondità.

Quel Verona gioca un calcio semplice ma praticamente perfetto. Buon possesso palla grazie ad un centrocampo folto e capace di irretire e tenere sotto controllo gli avversari, mantenendoli il più possibile lontani dalla propria area di rigore. Così come un altrettanto ottima capacità di rallentare il gioco quando necessario così come di partire con rapidi e ficcanti contropiedi nel momento in cui gli avversari meno se lo aspettano; azioni in grande velocità che con pochi passaggi in verticale riescono a mandare gli attaccanti gialloblu davanti ai portieri avversari. Bagnoli non ama il turnover; è convinto che una squadra per rendere al meglio debba essere composta da undici titolari e da tre, massimo quattro riserve super affidabili in grado di poter entrare al posto di chiunque nei momenti di bisogno. Ed infatti nella stagione 84/85 il buon Osvaldo utilizzerà diciassette (secondo portiere compreso) tra cui Bruni, Sacchetti e Turchetta, suoi fidati scudieri della panchina, mai mugugnanti per non essere titolari e sempre pronti ad aiutare la squadra recitando il ruolo di protagonisti ogni qual volta c’era bisogno della loro presenza in campo.

L’83° edizione della massima serie del campionato italiano di calcio inizia nel migliore dei modi per gli uomini di Bagnoli, che tra le mura amiche mettono al tappeto il Napoli di Maradona con un netto 3 a 1. Quel 16 settembre del 1984 il Verona prende la testa della classifica e non la molla più fino al 12 maggio 1985 quando nello stadio di Bergamo, si laurea campione d’Italia con una giornata di anticipo. Epica la vittoria del 14 ottobre 1984 contro la Juventus; un 2 a 0 casalingo marchiato a fuoco dal goal di Elkjaer segnato dal fortissimo attaccante danese senza una scarpetta al piede, calzatura che aveva perso durante la cavalcata verso la porta difesa da Tacconi. Un’annata straordinaria, figlia di 15 vittorie, 13 pareggi e soltanto due sconfitte.

Una squadra nella quale i punti di forza sono stati la forza del collettivo, la capacità di movimento, gli improvvisi e micidiali cambi di ritmo, il contropiede fulmineo, l’umiltà e la capacità di non mollare mai e di crederci sempre, ancor di più nelle sconfitte e nei momenti di difficoltà.

E tutto questo grazie allo straordinario lavoro di un grande uomo prima ancora che grande tecnico, quell’ Osvaldo Bagnoli dalla Bovisa che insieme ai suoi diciassette eroi è riuscito a scrivere in quel lontano 1985 una delle storie più intense e più affascinanti del calcio italiano.