Il Liverpool ha dimostrato nella scorsa stagione di essere un top team a livello mondiale: la finale di Champions giocata contro il Real ne è stata la prova lampante. Parimenti è esplosa in un impetuoso fragore la stella di Mohammed Salah, il cui contratto è stato prontamente rinnovato (a 270.000 € a settimana) onde evitare le tentazioni provenienti da altri club. I Reds hanno giocato l'ennesima finale continentale della propria storia e, seppur usciti sconfitti, hanno dimostrato di avere un DNA straordinario ed europeo. Il percorso compiuto per raggiungere questi livelli è stato però tortuoso e ricco d'insidie. 

MALA TEMPORA CURRUNTNel 1959 il Liverpool veleggiava nei tempestosi mari della Second Division. Incredibile ma vero: lo squadrone che oggi noi tutti conosciamo ha dovuto fare i conti con l'inferno della Serie B. Un uomo leggendario, proveniente dalla Scozia - e inviato per gentile concessione della Provvidenza - cambiò il destino di un club sull'orlo del baratro: il suo nome era William 'Bill' Shankly. Sotto la statua di Shankly - oggi esposta all'esterno di Anfield Road - è incisa la scritta "He made people happy". ​​​​​​È questa la frase da cui il nostro racconto partirà. Felicità, si diceva. Proprio quella che in quel 1959, e da molto tempo addietro, mancava dalle parti di Liverpool. C'era bisogno di una scossa, un evento straordinario, una persona che risollevasse quel gigante dormiente. Che non vinceva un titolo oramai dal lontanissimo 1947. Il destino, sposatosi con i Reds, portò loro in dote Shankly.

UN ALLENATORE LEGGENDARIO - Bill era abituato fin dall'adolescenza a lavorare, faticare, soffrire. Il suo paesino di origine, Glenbuck, era terra di minatori, mestiere che lui e i suoi quattro fratelli si risparmiarono grazie al football. Divenne allenatore del Liverpool proprio in quel fatidico 1959; ci mise 3 stagioni a riportarlo in First Divison, e solamente una per fargli vincere il massimo campionato. Lo fece a modo suo, attraverso un mix di battute scherzose e duro lavoro sul campo. Perché a Billy piaceva sdrammatizzare, ma ancora di più lo scozzese amava costruire le sue squadre come più gli aggradasse. Dopo le prime partite, Shankly si convinse che erano necessari dei correttivi alla rosa e stilò una lista di 24 giocatori che non rientravano nei suoi piani: in meno di un anno tutti avrebbero lasciato Anfield. Era un maniaco della preparazione fisica ("Quando morirò, voglio essere l’uomo più in forma di tutto il cimitero") e sottoponeva i suoi ragazzi ad allenamenti massacranti, che però davano straordinari frutti sul campo. Fu l'inventore della mitica gabbia di legno, costruita dallo stesso scozzese e munita di quattro pannelli in legno. Fu una trovata geniale, antenata della moderna Footbonaut - la tecnologica gabbia inventata da Jürgen Klopp ai tempi del BVB - nella quale il giocatore impara a ricevere, controllare e lanciare il pallone a velocità sempre più elevata.

AMORE VERO CON LA KOPPrima ancora di essere un vincente, Bill Shankly era il simbolo della sua gente. Quella gente stipata nella celebre gradinata chiamata Kop, che al tempo dobbiamo immaginarcela come un catino infuocato dove 28 mila persone tifavano tutte in piedi. Lo scozzese non si risparmiava mai in un gesto d'aiuto verso gli Scousers (nomignolo dato a supporters e abitanti di Liverpool), regalando biglietti a chi ne avesse bisogno. Si narra che un sabato il manager si presentò negli spogliatoi solo un quarto d'ora prima del fischio d'inizio e con i vestiti in disordine. I calciatori pensarono subito ad un'aggressione: si era semplicemente fatto un giro nella Kop, dove i tifosi gli avevano dimostrato in maniera fin troppo calorosa il loro affetto. Ma non è l'unico episodio che dimostra l'amore viscerale tra i tifosi e Shankly. Nel 1973, durante il giro d'onore per celebrare la vittoria in campionato, un agente di polizia gettò via una sciarpa lanciata dalle tribune. Shankly vide la scena, si avvicinò all'agente e gli disse: "Non farlo mai più, per te è solo una sciarpa, per un ragazzo rappresenta la vita", poi raccolse la sciarpa e se la legò al collo. Il caso volle che nelle vicinanze ci fosse un microfono attraverso il quale le sue parole vennero diffuse in tutto lo stadio, entrando così nella leggenda. 

IL SUBBUTEO E LE CITAZIONI - Shankly aveva la passione del Subbuteo e - prima dei sentitissimi derby contro lo United - era solito radunare i suoi giocatori davanti al panno verde, dove passava in rassegna gli avversari in miniatura. Uno ad uno, cominciando dal portiere "Questo non sa giocare", diceva. E se lo metteva in tasca. Così con tutti gli altri fino a lasciare sul campo solo i modellini di Dennis Law, George Best e Bobby Charlton."Se in 11 contro 3 non siete in grado di batterli, allora non meritate di indossare la gloriosa maglia del Liverpool". Le citazioni, le battute, gli slogan coniati nell'arco della sua vita si sprecano; e sono straordinariamente divertenti. Dell'acerrimo rivale Brian Clough disse fosse "peggio della pioggia a Manchester. Almeno il Padreterno ogni tanto fa smettere di piovere a Manchester". Il suo chiodo fisso era l'Everton, che prima dell'arrivo di Shankly aveva egemonizzato la rivalità cittadina "Ci sono solo due squadre di calcio nel Merseyside: il Liverpool e le riserve del Liverpool"; "Quando non ho niente di meglio da fare, do un'occhiata alla parte bassa della classifica per vedere come se la sta cavando l'Everton". Un giorno, appena arrivato a Liverpool, andò dal barbiere che gli chiese: "Anything off the top?" (“Devo toglierle qualcosa dalla testa?”, cioè quale taglio di capelli volesse). «Ay, Everton», fu la straordinaria risposta del tecnico. Un genio. Un altro simpatico anedotto fu quello in cui, ad un giornalista che gli domandava se fosse vero che aveva portato la moglie a vedere una partita del Rochdale (squadra del Lancashire che militava nelle divisioni minori) come regalo di anniversario, il geniale Bill rispose: «No, intanto era per il suo compleanno. E poi non mi sarei mai sposato durante la stagione calcistica. Ah, ad ogni modo era la squadra riserve del Rochdale...»

LA FINE DI UN MITO - Bill Shankly lasciò la panchina del Liverpool nell'estate del 1974. Furono l'eccessivo accumulo di stress e la voglia di passare più tempo in famiglia le cause - a cui ancora oggi poco si crede - del suo abbandono. Difatti sembrò pentirsi subito, tanto da continuare a frequentare quotidianamente il campo d'allenamento di Melmwood, tra l'imbarazzo del nuovo allenatore Bob Paisley - il suo fedele vice - e della società. La dirigenza decise allora di vietargli l'ingresso, scatenando la rabbia dei tifosi che lo reputavano un dio in terra. Bob Paisley riuscì ad arrivare là dove Bill non ce la fece: sul tetto d’Europa, a sollevare la prestigiosa Coppa Campioni. Il sogno nel cassetto - rimasto tale - di Shankly. Il quale fu così costretto a vedere la sua creatura diventare grande da fuori, come un estraneo. Continuò comunque a stare tra la sua gente, mettendosi la sciarpa al collo e andando nella Kop a tifare come uno qualunque. La prassi vuole che, quando i calciatori del Liverpool escono dagli spogliatoi per fare il loro ingresso in campo, il capitano - a suo tempo il mitico Steven Gerrard - raccolga i suoi compagni mettendosi davanti a tutti; si diriga così verso l'ingresso del terreno di gioco, battendo la mano sul simbolo con il Liverbird, sotto il quale campeggia la scritta This is Anfield. La fece apporre proprio Bill Shankly "Per ricordare ai nostri ragazzi per quale maglia giocano, e ai nostri avversari contro chi giocano". Bill Shankly era l'uomo del suo popolo, del popolo di Anfield. Una frase più di ogni altra sintetizza cosa rappresentasse il calcio per questo grand'uomo, e quanto a sua volta quest'ultimo avesse dato di suo al football: "Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più".