Il dizionario Treccani definisce così il sostantivo libertà: “l’essere libero. Lo stato di chi è libero…. Si oppone direttamente a schiavitù, prigionia…”. Il richiamo è alla mancanza di blocchi e di oppressioni. Temo che ormai si stia viaggiando verso la confusione del concetto. Per esprimermi meglio, provo a farlo tramite una novella. Giovanni Verga è un noto autore siciliano che scrisse a cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del secolo successivo. Insieme a Luigi Capuana è stato uno dei maggiori rappresentanti del Verismo. L’opera dev’essere assolutamente fedele alla realtà. E’ come se il narratore avesse nelle sue mani una cinepresa e riprendesse i fatti descrivendoli così come sono. L’etneo, quindi, ambientò molti dei suoi capolavori a Catania o in zone limitrofe. Uno di questi si intitola La Roba. Mazzarò era un contadino che, grazie a uno stile di vita assolutamente morigerato, si era arricchito all’inverosimile. Era mosso da una sfrenata fame d’accumulare beni tanto che non spendeva nulla. La sua esistenza era totalmente dedita al lavoro, senza un vizio. Vestiva male e mangiava poco. La giovinezza, infatti, l’aveva visto sfruttato e sottopagato. Così aveva creato in lui una simile reazione. Fin da subito il suo peggiore incubo era la morte perché avrebbe dovuto abbandonare, peraltro senza goderne, ciò che aveva racimolato. Sarebbe passato tutto a qualcun altro o finito in rovina. Sul punto del decesso, preso dalla rabbia, decise di distruggere ogni cosa urlando: “Roba mia, vieni con me”. Vi starete chiedendo il nesso tra la libertà e questa novella. Provo a spiegarmi. Il discorso è legato agli eccessi. L’ideale del protagonista non è errato. Se si conducesse una vita spendacciona, si finirebbe presto sul lastrico. E’ giusto, quindi, sapersi controllare, ma lui non è stato in grado di farlo cadendo nell’errore contrario. In sostanza, con l’elevato e nobile fine di tutelare la libertà, è necessario non finire nel lederla.

Sono argomenti molto delicati. Me ne rendo assolutamente conto e non intendo urtare la sensibilità di alcuno. Tutt’altro. Sono sempre stato uno dei pionieri della libera opinione sancita anche costituzionalmente e la ritengo uno dei valori più elevati ai quali ispirarsi. L’articolo 21 della Nostra Magna Carta afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. E’ logico e scontato che questo non deve cozzare con i dettami di altre normative. In caso contrario, non avrebbe senso. Ritengo che tale assunto sia il fondamento di ogni sano rapporto sociale. Alla pari di questo, urge citare l’articolo 3 che sancisce: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Credo che tali norme siano già più che sufficienti per raggiungere lo scopo voluto. I padri costituenti le hanno scritte nel 1946, quindi dopo aver vissuto direttamente uno dei periodi più bui della storia mondiale. Il riferimento è alla dittatura che ha preceduto la nascita della principale legge italiana. I regimi non hanno colori. Rosso, verde, bianco, giallo… non importa. Violano la libertà e, a mio modo di pensare, non hanno ragione di esistere. Non trovano giustificazione in nulla perché annientano il libero arbitrio che è il dono principale di cui la Natura ha fornito l’uomo. Una vita senza democrazia non ha senso di essere attraversata. O meglio, per chi crede nell’aldilà, potrebbe predisporre sicuramente alla santità, ma non è questo il punto. Dio non chiede un simile sacrificio per conquistare il Paradiso.

Sono, quindi, decisamente convinto sostenitore e difensore dei principi esposti. Ritengo becera ogni situazione che sfavorisca Tizio alla luce del colore della pelle, della nazionalità, del sesso, dell’orientamento sessuale, religioso, politico o quant’altro. E’ assolutamente fuori dalla mia logica, dal personale modo di ragionare e di vedere la realtà. Sono convinto che occorra combattere con ogni forma lecita per scongiurare certi mali che aleggiano nascosti all’interno delle società. Qualcuno penserà che mi sto contraddicendo. Se si conduce il concetto di libertà fuori dal punto limite, avete ragione. In effetti amo talmente tanto questa prerogativa che, con un ossimoro, potrei definirmi un’estremista liberale. In verità comprendo bene che quest’ultimo concetto non può varcare una certa soglia e, come scritto precedentemente, il confine è rappresentato dalla legalità. Sovente, al fine di spiegare la nozione agli studenti di diritto, si dice che “la mia libertà termina dove inizia quella altrui”. Comprenderete che tale espressione ha un valore puramente teorico, ma è molto difficile da porre in pratica. Cosa vuole dire? Il significato è assolutamente soggettivo. Se Caio odia il blu e vede Sempronio girare completamente travestito da Puffo, la sua libertà è violata, ma il secondo non può essere sanzionato per la condotta. Nel caso in cui, invece, questi iniziasse a urlare per strada e lo sentisse soltanto il primo, a cui le grida non danno alcun tipo di fastidio, il malcapitato sarebbe passibile di sanzione. E’ la legge che comanda ed essa dovrebbe rappresentare le necessità della maggior parte della popolazione. Occorre, quindi, porre sempre enorme attenzione quando si tratta di libertà e di sistemi che la tutelano. Nel legiferare, il legislatore deve essere simile a un equilibrista appeso tra due montagne a decine di metri d’altezza. Non è semplice.

Chiarito questo concetto, è utile comprendere quali potenziali armi e strumenti si possano adoperare al fine di combattere chi reprime la libertà e quindi pone il suo mattoncino per l’instaurarsi di una dittatura. Una di queste è la simbologia. Ha un valore fondamentale. Si immagini una situazione puramente inventata. Sara è la madre di Gianni. La signora ha ormai una certa età, ma si potrebbe dire che non sia ancora sufficientemente anziana per morire. Chi siamo noi per stabilirlo? Boh… Tuttavia si sostiene sempre tale concetto, per cui lo utilizzo. La donna regala al figlio, già adulto, una semplice maglietta che al ragazzo nemmeno piace troppo. Pochi giorni dopo, lei purtroppo scompare. Il giovane indosserà quel dono fintanto che non sarà logoro e, una volta ritenutolo non più utilizzabile, non lo getterà o lascerà ai poveri, ma lo terrà con sé. Magari sotto il cuscino o nel cassetto delle cose più care, ma sarà costantemente insieme a lui e, quando lo vedrà, un profondo senso d’affetto ricolmerà il suo animo gentile. Sì, piangerà. Ma non saranno lacrime di dolore bensì di sfogo, come se lei fosse lì. Questa è la simbologia e non credo possa ritenersi vana o futile, ma deve essere utilizzata in un certo modo. Come ha fatto Gianni. Ritengo assolutamente inutile, se non meschino, compiere un gesto di cui non si sente la necessità. Qui mi ricollego a quanto accaduto, per esempio, durante Italia-Galles. Alcuni giocatori della nostra nazionale non si sono inginocchiati come insegna il movimento BlackLivesMatter. Non ne conosco il motivo, ma immagino che sia legato alla mancata volontà di farlo. Se non si sentivano nell’animo di compiere un tale rituale, hanno adottato la scelta giusta! Hanno violato qualche norma? No! Hanno semplicemente mostrato coerenza con il loro modo di pensare e, così comportandosi, sono stati rispettosi. Penso sarebbe stato molto peggio se avessero agito alla stregua degli ipocriti che, al fine di accontentare la massa, rinnegano pure se stessi. Sia chiaro: combattere contro il razzismo è un dovere di ogni cittadino, ma la forma non è un obbligo. Ciò che conta è la sostanza. Potrebbe essere, per esempio, che uno di questi uomini, tutti i giorni, insegni al proprio figlio ad adottare certi atteggiamenti di tolleranza. Non è una modalità sana di “estirpare il male”? Per me, sì. E chissenefrega se non si è messo in ginocchio in mezzo a un campo. Altrimenti si rischia davvero che, in nome della libertà, si violi la libertà medesima. Magari, invece, qualcuno pubblicizzante la descritta simbologia, in realtà ha un’anima totalmente opposta che manifesta nella realtà dei fatti.

Lo stesso vale per lo stadio colorato. Credo sempre nella buona fede delle persone per cui ritengo che l’Uefa, a un certo punto, abbia veramente deciso di dipingere di arcobaleno l’Allianz Arena e il suo logo per motivi puramente filosofici. Ha inteso, infatti, “promuovere una società più giusta ed egualitaria, tollerante con tutti, indipendentemente dal loro background credo o genere”. Non esiste messaggio più condivisibile. Ma, come si dice dalle mie parti, c’è un “però”. Di cosa si tratta? Il massimo organo del calcio europeo è un’entità privata. Tuttavia, racchiude al suo interno un forte connotato pubblico. Rappresenta, infatti, le squadre dei tornei continentali. Non penso sia opportuno che si assuma la responsabilità di compiere gesti che non risultino il più neutro possibile. Sono franco e onesto. E’ inutile nascondere che, nella mentalità comune, tale simbologia intenda ormai riferimenti politici ben precisi. Proprio onde evitare di associare il pallone alla detta arte, non avrei legato il nome a un tale vessillo. Con ciò non intendo sostenere che l’organo presieduto da Ceferin abbia mai pensato di farlo. Tutto il contrario e questo è sancito pure in un altro stralcio del citato comunicato: “Per l’Uefa, l’arcobaleno non è un simbolo politico”. Vero. Anzi verissimo, ma sono troppi coloro che lo interpretano in un certo modo. Sarebbe stato forse più opportuno scegliere un’altra strategia a tutela dei diritti di determinate categorie. Anche il cambio repentino di idea da parte dei vertici del calcio non è risultato esattamente ponderato. Il niet del giorno prima alla proposta della città di Monaco di dipingere l’arena è stato motivato tramite tali parole: “la richiesta stessa era politica, legata alla presenza della squadra di calcio ungherese per la partita di questa sera contro la Germania”. Non è così ma, onde evitare che qualcuno interpreti male la situazione, meglio non creare retropensieri. Alla fine, dopo tanta confusione, al contrario del logo, lo stadio non si è colorato di arcobaleno e Ceferin ha ribadito che né lui né l’organo di cui è il vertice sono omofobi, ma ha affermato di non volere cedere al populismo. Per tutelare la libertà, non bisogna confondere la simbologia e le sue idee con un orientamento partitico altrimenti si rischia il risultato contrario.

Ho preso ad esempio il calcio perché VivoPerLei si occupa principalmente di questo argomento, ma potrei soffermarmi anche su altre tematiche. Immagino tutte le censure di cui si è trattato su film o cartoni animati. Alcune di queste mi sembrano davvero eccessive. Si è a lungo discusso del bacio del Principe a Biancaneve. Insomma, siamo onesti, è vero che si parla di atto non consenziente ma, per anni, generazioni sono cresciute senza essere turbate. Lo spiegare il significato del gesto è anche compito del genitore o di chi si trova accanto al fanciullo che guarda l’opera. Occorre tutelare le varie culture e le diversità esistenti tra loro senza, per questo, volerci omologare all’infinito. In caso contrario, il pericolo è di creare una società di robot. Quello sarebbe realmente grave perché, in un habitat così fertile, chi riesce a coltivare il potere può davvero renderlo un’arma di distruzione di massa. “Il troppo stroppia” e pure tali forme mi sembrano eccessi che, in nome della libertà, finiscono per negare l’altrui libertà.

A questo punto vorrei creare anch’io un simbolo. So che non servirà a nulla, ma lancio questa proposta. Perché non utilizzare un drappo bianco e rosso per opporsi a ogni forma di dittatura e lesione della libertà? Il primo colore rappresenterebbe la purezza dell’animo. Il candore di qualcosa che traspare come se non avesse nulla da nascondere. Il secondo, invece, è manifesto del sangue versato da chi combatte per sconfiggere i regimi.