19 luglio 2021. Segnatevi la data perché potrebbe essere storica. Il Premier Boris Jonhosn ha da poco dichiarato che, in Inghilterra, cadranno praticamente tutte le restrizioni legate alla pandemia. Ne resteranno davvero poche e, a differenza delle altre occasioni, questa volta godremo dei vaccini. Si auspica che siano realmente la soluzione definitiva contro il covid-19. Pfizer, Moderna, AstraZeneca, J&J… ne abbiamo sentite di ogni. Al di là di tutto, sembra che, pure al netto delle indomabili varianti, rappresentino pozioni efficaci contro la malattia. Nonostante la stagione estiva, che aveva le sembianze di un antidoto naturale contro il virus, in UK i contagi sono saliti, ma le ospedalizzazioni non hanno rimarcato lo stesso andamento e ciò potrebbe essere la questione più importante. Se la positività non lascia più pesanti ripercussioni, significa aver tracciato la buona strada. Solo ulteriore tempo trascorso, però, potrà confermare definitivamente la correlazione. Altri Paesi, al contrario, soprattutto alla luce della forma definita Delta dello sgradito ospite, hanno preferito rallentare con le riaperture che, comunque, sono palesi rispetto alla stagione fredda. Questi attendono che la vaccinazione di massa produca maggiori effetti prima di levare ulteriormente le restrizioni. Una questione, però, dev’essere chiara e stampata nella testa. L’ambita cifra zero nel numero dei contagi è praticamente un’utopia e sarà così a lungo. Onde evitare ulteriori tragedie socio-economiche, quindi, si necessita il coraggio di osare con raziocinio. E’ logico e scontato che si debba continuare a mantenere grande attenzione per limitare il SarsCoV2. Tale, però, dev’essere un compito del singolo che purtroppo non noto in tante persone. Con il pezzo che sto scrivendo non ho alcuna intenzione di avviare polemiche. Tutt’altro. Ma trovo davvero troppi individui che predicano bene e razzolano male. La mancanza di coerenza è molto fastidiosa e, nel caso de quo, diviene pure assolutamente deleteria.

Nel mio piccolo, anche io mi sono ripreso una fetta di normalità. Ho, infatti, deciso di tornare a giocare a calcio. L’ho fatto solo dopo avere completato il ciclo vaccinale. Non sono un professionista, ma questo è noto. Ero, quindi, fermo dallo scorso mese di settembre. Nonostante ormai da qualche tempo vi fosse la possibilità di praticare lo sport che amo maggiormente, ho preferito attendere per sentirmi più sicuro. Credo, quindi, nel siero anche se sono fortemente liberale e conseguentemente contrario a ogni obbligo. Non utilizzerei tale modalità al fine di convincere le persone a sottoporsi alla soluzione chimica perché ritengo che la testa e la sensibilità di ognuno debba guidare le singole decisioni. Mi direte che mi sto contraddicendo rispetto a quanto sostenuto poco sopra. Non è così anche se in parte è vero. Se Tizio non si vaccina, infatti, potrebbe contagiare Caio che, invece, ha optato per una soluzione diversa. E’ logico, però, che l’ultimo non dovrebbe avere conseguenze troppo negative proprio perché dispone degli anticorpi. Il primo, tuttavia, rischia di dover subire un ricovero e questo contribuisce a intasare la struttura sanitaria creando, quindi, un evidente danno al secondo che, magari, avrebbe necessità dell’ospedale pure per problematiche diverse dal covid. Come scrivo sovente, la massima per cui “la mia libertà termina dove inizia quella del prossimo” è molto semplice nella teoria, ma altrettanto ingestibile nella pratica. Non è quindi facile sostenere, dal punto di vista concreto, la tesi dell’adeguatezza relativamente alla mancanza di obblighi vaccinali. Continuo, però, a pensare che certi trattamenti non possano essere imposti. Ho la speranza che la maggior parte della popolazione opti per la via dell’immunizzazione liberandoci così dal virus.

Tornando a noi, è stato magnifico. Finora ho effettuato soltanto 3 allenamenti, ma mi è parso di toccare il cielo con un dito. Rispetto a prima la differenza è palese e lo si nota soltanto presentandosi al campo. Si arriva già pronti. Come i bambini che si trovano nella piazzetta del paese. Il tempo di levarsi la mascherina, posare le chiavi della macchina, cambiarsi le scarpe fuori dallo spogliatoio e il dado è tratto. Si è perso, quindi, quel fantastico momento di convivialità donato proprio dal luogo. Quanto era meraviglioso... Si giungeva stanchi dal lavoro e ci si ritrovava dentro una stanzetta di pochi metri quadrati liberando, finalmente, la psiche. Lì si trattava di ogni tematica e senza freni inibitori. Si rideva, si scherzava e si faceva comunella anche con persone che, magari, non rappresentavano gli amici di una vita. Non erano gli stessi con cui si usciva a cena il sabato sera o si andava allo stadio la domenica. Ma si trovava ugualmente il modo di ridere e burlare fuori da ogni schema convenzionale. Quel posto era zona franca dove erano lecite battute e simpatiche goliardie che altrove non ci si permette. Attenzione! Non si varcava mai una certa soglia, ma ci si divertiva. Se prima, per scendere sul terreno di gioco, ci si impiegava circa una ventina di minuti, ora è tutto molto più rapido. Pronti-via e si è già schierati. E’ tutto più veloce per il godimento dei pochi gentili che ci attendono a casa per la cena, ma a noi manca il passato. Anche la partita è diversa. Se in serie A si nota ormai un atteggiamento più “libertino”, la vita dell’amatore è completamente differente. Le esultanze di gruppo non esistono. Le marcature non sono strette come quelle pre-pandemia. Non dico che sia uno sport diverso perché, nel momento in cui si deve contrastare, l’agonismo ha la meglio. Lì, nessuno toglie la gamba o rifiuta lo scontro ma, nelle situazioni da fermo, noto una specie di calcio balilla. Robe che, qualche anno fa, sarebbero arrivati gli insulti anche a distanza di venti chilometri. Oggi no. E va bene così! La paura ha giustamente ancora la meglio e, siccome a questi livelli si gioca solo per divertimento, ogni intervento non così determinante diviene evitabile. Anche il finale della partitella, poi, è completamente cambiato. Nei tempi pre covid serviva almeno mezz’ora per essere pronti a ripartire. Si rientrava nello spogliatoio. Ci si dissetava con le bottigliette comuni chiacchierando animatamente e pure discutendo per quanto avvenuto durante la gara. Si stava 15 minuti a riposare le stanche membra sulla panca provando a combattere lo sgocciolamento sudorifero da ogni poro attraverso lo stesso accappatoio che poco dopo si sarebbe usato per asciugarsi a seguito della doccia. Giungeva, infine, il momento del lavaggio che, in estate, era rigorosamente gelido. Alla faccia della crioterapia postata dai top player nella vasca del ghiaccio… In inverno, invece, era così caldo che le terme, in confronto, sono un freddo ruscello montuoso. Ora si ha giusto il tempo di scambiare due parole mentre ci si rinfila le scarpe in esterno poi si vola sulla vettura diretti al bagno di casa dissetandosi ognuno con la propria bottiglietta o borraccia.

Che ne sarà di tutto questo? E’ il quesito principale che campeggia in ognuno di noi. Dopo qualche anno in cui abbiamo deciso di provare il calcio a 7, la squadra del mio paesino ha finalmente deciso di ritrovare la versione a 11. Il cambiamento è stato possibile perché sono aumentate le persone che hanno accettato di sottoscrivere il cartellino. Che bello! E’ emblematico della voglia che c’è di tornare a vivere. Non è vero che il football è morto. La fame di pallone pane e salame è grande come la luna. Il desiderio di girare la provincia per correre, sudare e sentirsi parte di un gruppo è megagalattico. E’ un successo fondamentale perché si temeva che la pandemia potesse uccidere la socialità e non esiste nulla di più rappresentativo di essa rispetto allo sport amatoriale. Avevo, francamente, paura che rimanesse solo l’élite. Sospettavo che le persone potessero decidere di dedicarsi ad altri hobby più sedentari o maggiormente solitari. Della serie: film e jogging. Invece no! Siamo ancora vivi e abbiamo voglia di contatto con il prossimo. Questo è psicologicamente fondamentale, ma non sufficiente per cantare vittoria. Si attraversa un momento in cui ci si sente in balia degli eventi e il destino non è assolutamente chiaro. Per dirla con Ungaretti: “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Questa stupenda poesia è emblematica della situazione. E’ come se si fosse rimasti appesi alla pianta proprio con l’ultimo lembo che succhia la linfa dal tronco. Bisogna mantenerla in vita con la consapevolezza che basta davvero poco per distruggerla.

Come fare? E’ una domanda molto complessa. Prima di tutto è necessario salvaguardare il vertice della piramide. E’ così. Il professionismo, tanto criticato da molti, serve a mantenere in vita tutta la base sia da un punto di vista economico che materiale. Provate, infatti, a immaginare di giocare a pallone senza voler emulare le gesta dei campioni. Non ci si riuscirebbe. Lo sport andrebbe a sparire come accaduto ad altri nel corso del tempo. Si pensi, per esempio, al croquet. E’ la disciplina praticata pure dalla Regina di Cuori nel capolavoro disneyano Alice nel Paese delle Meraviglie. Era persino olimpico ma, con il tempo, è praticamente scomparso. Non dico che sia stata colpa della mancanza di mediaticità, ma sicuramente non godeva di grande popolarità altrimenti sarebbe sopravvissuto. E’ noto che la prima sia strettamente collegata alla seconda. Il ragionamento è ancora più banale se si immaginano i picchi di gradimento di alcune discipline dopo le imprese dei campioni nazionali. Se questo primo obiettivo è assolutamente raggiungibile, gli altri sono maggiormente complessi. Ormai il calcio d’élite ha dimostrato di sapersi destreggiare piuttosto bene anche in periodi molto complicati della pandemia. Ciò che lo spaventa sono le conseguenze economiche che ne derivano, ma il nemico non è più esterno. Per risolvere il problema occorre trovare soluzioni comuni e condivise remando nella medesima direzione ed evitando ciò che si è visto con la querelle Superlega. Non è semplice, ma si auspica fattibile.

Qual è quindi il problema? Tra gli amatori, come in tante altre realtà della vita e dell’economia, non si è ancora avuto modo di trovare le controffensive corrette ai momento in cui il covid spinge con maggiore intensità. Qualcuno sosterrà che esistono sistemi molto più importanti del pallone amatoriale. E’ vero. Anzi verissimo, finché non si trova qualcuno che necessita di esso per mantenersi. Penso, per esempio, alle strutture sportive che ospitano le varie squadre o i gruppi di amici. Ciò detto, come fare? Difficile. Davvero molto difficile. E’ impensabile riuscire a stilare protocolli come quelli che si adottano nel professionismo. La speranza è totalmente legata ai vaccini e alla soluzione definitiva al covid. Sono davvero preoccupato e al medesimo tempo molto curioso. Ci si avvicina a una “prova del nove” che tanti contemplano. L’autunno sarà decisivo per comprendere il domani di gran parte della nostra normalità. Passo dopo passo, il 2021 ha dimostrato di essere migliore del 2020. Il primo lockdown era stato deleterio e devastante per ogni attività. Il secondo, invece, a qualcuno ha lasciato respiro. L’eventuale terzo sarà ancora meno rigido, ma non per tutti e, purtroppo, immagino proprio che a patire saranno sempre gli stessi. Questi, infatti, non hanno trovato soluzioni che altri hanno recepito. Che ne sarà di loro? E’ soltanto l’inizio di luglio, ma l’emergenza non è finita e l’inverno si avvicina inesorabilmente. Siamo un sistema complesso ed è logico che, se una componente rimane indietro, prima o poi, trattiene anche le altre. Urge lavorare per scongiurare che ciò avvenga altrimenti sarà un dramma di proporzioni ancora sconosciute. Questo era il mio grande timore all’inizio della pandemia e lo è tutt’ora. Ciò che possiamo fare noi “persone comuni” è soltanto il rispetto delle norme. E’ già un contributo enorme. La situazione che si osserva nel Regno Unito fa ben sperare, ma mi auguro vivamente che le autorità abbiano anche un “Piano B” perché altre fredde stagioni in letargo rischiano di recare danni irreparabili.

Vorrei chiudere con un ultimo quesito. Desidero essere ottimista. Sono convinto che il vaccino sia la soluzione, ma sono certo che non raggiungeremo presto un completo ritorno al passato. Allora quale sarà la nuova normalità di noi amatori? Non ho risposte, ma sono sicuro che il solo fatto di tornare a giocare un campionato condurrà a nuove, fantastiche emozioni. Sarà come rinascere.