Ognuno di noi, almeno per chi ha giocato o gioca a calcio in una società, ha un passato da raccontare, e così anche io guardandomi alle spalle posso dire di aver avuto un passato da calciatore ma qualcosa nel tempo poi mi fece capire che bisognava andare oltre.

Sono romano da ben 40 anni e tifoso juventino da almeno 35 grazie alla fede calcistica che mi ha passato il mio papà, lui era estimatore di Michel Platinì io di Zinedine Zidane, e così proprio come lui tanti anni prima anche io avevo il sogno di diventare un calciatore, io ero un nanerottolo che all'età di 3 anni calciavo con il mio sinistro, il destro era nullo anche perchè a chi provava a mettermi la palla su quel piede io glie la rispedivo o con le mani o con il sinistro.
Erano quasi teminati gli anni '80 e a 5 anni il mio papà m'iscrisse alla mia prima scuola calcio, entravo come Pulcino e con un ruolo tutto da definire, certo a quell'età non è che si guardi poi tanto al ruolo si gioca per lo più per far sfogare i bambini che sono innamorati di quella sfera magica. Nei sobborghi romani c'erano tante squadre ed io iniziai proprio a due passi da casa, casacca blu con ricamature rosse, pantaloncini e calzettoni rossi.
Fino ai 7 anni ancora non avevo un ruolo predefinito, venivo spostato da Stopper o Libero (oggi entrambe sono il centrale di difesa), perchè l'altezza già era poco superiore a tutti i miei compagni di squadra.
A 8 anni alla fine il presidente chiacchierando con mio padre disse "Marco sarebbe ideale per la porta!", e così iniziò la mia carriera calcistica da portiere, a 8 anni superavo già i 130 centimetri d'altezza di fronte al resto del gruppo che navigava sotto i 100. Ricordo che non ne ero proprio entusiasta, eppure quel ruolo m'intrigava, il non far segnare nessuno nemmeno in allenamento mi gasava "Dai tira, non ti faccio segnare!", mi stavo cominciando ad abituare in quel ruolo, e i primi risultati sul campo si videro tanto da portare anche molte società del nostro stesso livello a chiedermi se volevo andare da loro, rifiutai soprattutto perchè a me piaceva giocare con la squadra del mio quartiere. Per ben 5 anni giocai in porta, poi successe qualcosa che mi fece cambiare idea a 13 anni...

Era un torneo a quattro dove partecipava la mia squadra, poi c'era il Fidene, l'Axa e l'Alessandrino si giocava all'Axa nella borgata di Acilia. Ricordo che quel quadrangolare mi assai difficile, erano tutti superiori a noi, mi portò a caricarmi, ricordo che fin dalla prima contro il Fidene parai tutto, la partita terminò con una rete a nostro vantaggio, mentre nell'altra sfida l'Axa aveva avuto la meglio sull'Alessandrino, questo quindi ci portò in finale proprio contro l'Axa per premiare la squadra vincitrice del torneo, il Fidene sconfisse l'Alessandrino e si classificò terzo.
La nostra partita sembrava scontata, sapevamo che erano superiori ma non volevamo darla vinta a nessuno. La gara non si sbloccò e io anche in quella parai l'impossibile.
Si arrivò ai calcio di rigore, ricordo che alcuni sembravano svogliati nel tirare dal dischetto e alcuni sbagliarono della mia squadra, d'altro canto io avevo trovato un modo tutto particolare di capire dove avrebbero calciato i rigori; Chiudevo gli occhi poi immaginavo due freccie da un lato e dall'altro della porta, nel momento in cui l'arbitro fischiava riaprivo gli occhi e mi tuffavo dove pensavo, bhè 4 rigori su 5 parati e uno sparato sopra la traversa. Vincemmo quel torneo da sfavoriti e festeggiammo, poi ci fu la premiazione del miglior portiere... Non avevo la certezza di essere stato il migliore ma gl altri 'colleghi' di reparto mi indicavano come il favorito, e diciamo che sentirlo dira da altri mi galvanizzava e forse mi aveva fatto credere leggermente ad una premiazione in mio favore.
Lo speaker così nominò tutti e quattro i portieri e...con grande stupore di tutti premiò il portiere dell'Axa, ci rimasi molto male tanto che uscendo dal campo dissi a mio padre "Da domani non giocherò più in porta...". Tanta fu la rabbia che già dall'allenamento successivo mi riufiutai d'indossare la divisa da portiere, l'allenatore così decise di spostarmi a fare il terzino sinistro, con l'addio del titolare passato nelle giovanili dell' As Roma fui promosso a titolare.
Mi piaceva correre, lo facevo anche quando non ero in campo per andare a scuola, per andare a prendere l'autobus, per allenamento anche fuori dal campo, andavo al parco vicino casa e coprivo parecchi chilometri. Nel 1995 la mia prima stagione da terzino e fù davvero importante, grazie al tecnico e alla voce di mio padre da fuori campo, avevo trovato la mia quadra; difendevo, rubavo palla, ogni tanto qualche calcetto d'assestamento all'avversario di fascia, e sgroppate fino alla bandierina degli avversari per metterla al centro con un cross. La mia maglia divenne la 3, al tempo s'indossavano dalla 1 alla 11 quindi quella mi donava, anzi era proprio perfetta.

L'anno successivo con i miei progressi fui spedito nella squadra degli 81' e là conobbi la crudeltà dei più grandi; calcioni, ematomi ovunque sulle gambe, ma anche qualche rosicone che assestava qualche pugno nelle mischie a centro area in attesa della battuta degli angoli. Devo dire che era dura, ma non mi ero mai abbattuto, tanto che anche io feci sentire la mia presenza in campo, e così con tanta audacia il gruppo s'impose per tutto il campionato e lo vincemmo, il mio primo trofeo da mettere nella bacheca virtuale.
L'anno successivo tornai per un breve periodo nella squadra maggiore sul finire della stagione ed arrivò il secondo campionato vinto. Nel 1998 a 16 anni ero 'maturo' e così ecco la mia stagione migliore; giocai tutte le partite senza saltarne una e non solo, l'allenatore volle spronarmi tanto da farmi battere anche le punizioni ed ebbe ragione; 9 reti tutte su punizione, ed una stagione strepitosa.
Dentro di me sentivo che qualcosa poteva succedere, sapevo che ogni settimana c'erano degli emissari di società di calcio importanti partendo dalle squadre regionali, quindi Lodigiani, As Roma e SS Lazio, ma anche da altr città d'Italia.
Io ero 'cresciuto' dai miei 130 centimetri a 8 anni ero arrivato al metro e ottanta a 16 anni.
Il sogno nemmeno a dirlo si chiamava 'Juventus' dove c'era il mio idolo Zinedine Zidane, ma avrei accettato qualsiasi destinazione pur di giocare un giorno su i campi più importanti d'Italia.
Ma a 16 anni capivo e sapevo che non tutti possono arrivare sul grande palcoscenico e anche se forti non tutti poi hanno la possibilità di giocare con club importanti. I giorni passavano, e l'estate si avvicinava, nessuna chiamata, nessuna proposta, niente di niente, eppure quel corriere laziale mi aveva messo tra i migliori talenti del 1998, alla fine a pochi giorni dall'inizio della nuova stagione decisi che la mia storia da calciatore era giunta al termine, se nessuno mi avrebbe chiamato dopo una stagione simile allora era destino che non sarei mai diventato un calciatore professionista.
Appesi gli scarpini al chiodo e continuai a seguire la mia squadra per alcuni anni stavolta da tifoso e amico dei tanti rimasti. Lo studio, la fidanzata del tempo e il lavoro poi sopraggiunsero. Quel ragazzino che correva dietro al pallone, che pian piano cresceva e si faceva sempre più ometto, poi divenne un punto fermo della sua squadra e alla fine decise di chiudere proprio con quei colori quella breve ma intensa carriera.

Bisogna dire che tutti abbiamo aspettato la 'chiamata' dal nostro club preferito o da qualche squadra importante, è il sogno di ogni ragazzino o adolescente arrivare dove i nostri idoli e beniamini hanno calcato o calcano i terreni da gioco.