Ero poco più che uno scricciolo di pochi mesi e non sapevo che quel che avrei visto in quell'istante sarebbe stato entusiasmante, era una palla di colore arancione che raccolsi con tanta emozione, la tenevo stretta tra le dita e non la lasciavo quasi fossi una calamita, ci correvo avanti e dietro nella camera da pranzo mentre mio padre e mia madre con sguardo apprensivo controllava che non facessi qualche casino.
Era bello, grosso e ammaliante quel pallone così pesante, ma ci correvo dietro che era una meraviglia, in una corsa sfrenata che molte volte in terra mi faceva dare una facciata.
I primi anni lo portavo con me ovunque; in giro per casa per poi scenderlo in strada, dalle pallonate sui muri al puliro per bene portandolo sotto le coperte dopo aver chiuso le finestre aperte. Nel buio gli dicevo: "Buonanotte amico, ti nascondo dal nemico!", che poi il nemico era inventato in quella notte buia che dalla paura toglieva il fiato.

La mattina, dopo averlo salutato, prendevo la cartella e dopo una pettinata gli dicevo "Non muoverti da lì, che quando torno ci andiamo a divertì" e così dopo la mattinata a scuola, all'una esatta, al ritorno in casa, ecco che la promessa fatta fu avverata, scesi da casa in attesa del pranzo e calcandolo forte feci tremare alcune porte, una di queste era di un pelato occhialuto, che con il suo sguardo acuto e pungente me la fece fare addosso praticamente, scappai con il pallone sotto braccio e rientrato in casa e nascondendomi sotto il letto dissi al pallone "Amico, dovevi stare attento te lo avevo detto!".

Nei giorni d'estate era una festa, uscivo alle otto del mattino e il battimuro faceva casino quel tanto che dalle finestre del vicinato si udiva: "Te la buco quella palla distruttiva!", e già, perchè in alcune circostanze con quel pallone avevo rotto più di un finestrone, quelli grandi del portone, che tra crepe varie erano andate a distruzione.
Un giorno per le troppe pallonate mio padre di nascosto mi nascose il pallone, lo cercavo in ogni posto: "Amico dove ti sei nascosto?", eppure sapevo che il mio amico era muto, però pensavo: "Si è nascosto e forse ha bisogno di aiuto!", così girando ogni angolo della casa alla fine lo trovai incastrato sopra all'armadio, anche se per me era troppo alto per aiutarlo, ma avrei fatto di tutto per liberarlo.
Corsi in cucina e presi una scopa con il bastone tentavo di liberare il pallone: "Forza amico liberati veloce che il sole fuori ancora fa luce!", niente, non riuscivo a tirarlo giù e nel silenzio più assoluto la voce di mio padre appena entrato disse: "Non avrai il pallone liberato?", e così come un soldato al Giuramento con la mano sotto al mento: "Giuriamo signor comandante che non daremo più nessuna pallonata e che parteciperemo ad ogni adunata", l'adunata in casa era 'riunione' nel caso facessi danni con il pallone.
Crebbi in fretta e dovetti dire addio a quel pallone, che finito sotto un'auto mi salutò con una forte esplosione, di lui restò soltanto la gomma annerita e lo salutai in quel momento che non aveva più vita, non gli diedi una degna sepoltura, anche perchè lo buttai nella spazzatura.

E così, da quel pallone salutato, mi ritrovai nel 'grande quadrato' che era un campo che per tanti anni avrei calcato, la palla era sempre quell'emozione di esplodere con forza in una conclusione, la gioia di esultare tra le braccia di mio padre dopo aver segnato alle varie squadre. Di testa o di sinistro anche un pallone maldestro che s'infilava in una grande festa si tramutava.
Poi gli anni dell'adolescenza con il pallone sotto braccio tra i campi di terra e polvere, quando con un tiro nella nebbia terriccia lo vedevo dissolvere, per poi riapparire dopo un'istante e ricalciarlo con una potenza davanti ad una platea assillante.
Erano gli anni che da adolescente si diventava più maturi, ma con quel pallone buttavo giù pure i muri, la potenza nel tiro era il mio punto di forza che a tutti i portiere toglieva quella sicurezza tramutata in scamorza.
Crescevo e giocavo, giocavo e crescevo, il tempo passava e non me ne accorgevo che pian piano io e il pallone eravamo divenuti fratelli di adozione, ma il tempo passava su quei campi di frastuono assoluto che mi trovai alla fine a dare l'ultimo saluto di una carriera dietro al pallone che mi aveva portato al ritiro in quell'occasione.
Uscendo dal campo per l'ultima volta presi quella palla che dai calci sembrava sconvolta: "Ti porto con me, caro amico pallone, ti tolgo da oggi da ogni assillazione", e così con la promessa fatta lo portai a casa e dopo averlo pulito lo misi di fronte al televisore appena acceso.

Questa è la storia di quel bambino (che sono io realmente) appena nato, che da quella palla rimase stregato e che, fino al suo ultimo giorno da calciatore, portò sempre con sé il suo amico pallone come un fratello di adozione.