26 Gennaio 2021
Ore 18

Oggi negli uffici di Milano e dintorni non esiste straordinario. Tutti escono puntuali, non c’è storia.
I mezzi sono presi d’assalto, il traffico in tangenziale è peggio di qualsiasi venerdì sera dopo una settimana infinita.
Io sono pronto da due settimane, ma mi tocca attendere.
“Amore, sono le 18! Dai, che facciamo tardi»«Scusa, ma non inizia alle nove?»
Quante volte devo ripeterlo…
«No, inizia alle 20:45, ma tu lo sai che devo…»
«… sentire l’odore di San Siro. Sì, me lo hai detto praticamente da quando ti conosco. Cinque minuti e ci sono»

Ore 18:45
Ovviamente i cinque minuti si sono moltiplicati come i chilometri macinati da Hakimi sulla fascia dall’inizio della stagione. Mi ritrovo davanti lo stadio Meazza. Non so perché; ma ne subisco il fascino in modo costante, quasi come se fosse perennemente la prima volta. Ci sono persone, luoghi, stati d’animo a cui non ti puoi abituare mai. E qualcuno pensa di volerlo buttare giù…
Il derby di Milano è unico.
Lo so, si dice praticamente di qualsiasi stracittadina o sfida importante, ma in questo caso è diverso: non esistono due squadre della stessa città europea con il medesimo blasone. Provate a cercare ovunque, nella idolatrata Premier, nella scintillante penisola iberica o spingendovi fino in Baviera. No, su questo non ci sono possibilità di smentita: Milano è la capitale del calcio internazionale.
Noi siamo lì, in mezzo a un tripudio di gente festante, per la maggioranza neroazzurra, ma solo perché il sorteggio ci ha consentito di giocare “in casa”. Ancora rimpiango il 2003, con una beffa incredibile dovuta a questa regola discutibilissima…
Ci dirigiamo verso il nostro settore di riferimento. Secondo anello arancione.
Lei è bellissima, incuriosita, un po' spaventata dal vedere tutta questa gente che presto riempirà ogni angolo dello stadio più iconico del Paese. Non è appassionata di calcio, ma quei colori, quell’atmosfera di festa la coinvolge. Si sente un po' più parte di quello che sarà lo spettacolo che di lì a poco si sarebbe palesato dinanzi ai nostri occhi.
La tensione sale.

Ore 19:15
Il mio carissimo amico di fede rossonera mi chiama.
«Dove sei?»
Vi risparmio le indicazioni, ripetute più di una volta a causa dell’assordante rumore di fondo che non consente di comunicare in modo “tradizionale”.
Dopo qualche minuto, ci ritroviamo.
Io, Indaca32, il mio amico di fede rossonera e la sua compagna.
Oggi non c’è spazio per parlare di lavoro, di viaggi o di qualsiasi altra cosa: oggi conta solo la partita.
Ci fermiamo in uno dei chioschi adiacenti lo stadio.
«Quattro panini»
«Come li facciamo?»
«Allora, io lo prendo salsiccia, formaggio e lattuga. Se hai il caciocavallo mi rendi felice già prima dell’inizio. Ah, rigorosamente senza salse! Per lei, salsiccia, patatine e un po' di salse a tua scelta. Per loro…»
«Fai una cosa, mi dai due arancine invece dei panini?»
«Sicuro che vi basta, ragazzi?»
«Sì, mangiamo dopo la partita. Poi, un’arancina, che vuoi che sia? Certo, non sarà mai …»
«… come quelle che mangiate in Sicilia. Lo so, lo so!»
E riparte l’ennesima diatriba sulla pronuncia corretta del termine: arancino o arancina? Altro che il rigore di Ronaldo del 1998…
Io, però, delle questioni linguistiche non ne ho proprio voglia di parlare oggi.
Sono elettrizzato: io e il mio caro amico cominciamo a discutere delle formazioni. Lui comincia a menzionare le assenze. Lo fa senza vittimismo, ma comincia a buttare il semino. No, amico mio, non esiste. Non ci sono alibi: i derby non si giocano, si vincono.

Ore 19:45
«Ragazzi, ci vediamo all’uscita. Forza Inter
«Forza Milan
E volano complimenti fraterni.
Stiamo entrando. Finalmente. Sento l’adrenalina, la musica, il vociare che cresce in modo costante ad ogni passo verso il posto prenotato. Ci guardiamo, lei sorride. Lo sa che queste ore sono importanti per me. Sa che è più di un semplice undici contro undici. Sa che non è una partita qualunque. È la partita.
È l’ora del riscaldamento. Entrano i rossoneri: piovono i fischi di rito, con degli applausi che provengono dal terzo anello dedicato agli ospiti. Poi, tocca a noi: l’emozione è palpabile. Entrano, sono loro: forza ragazzi! Cori di incitamento, suoniamo la carica.

Ore 20:40
Le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo.
Non è campionato, è la snobbatissima Coppa Italia, ma quando si parla del derby di Milano non ci sono partite banali. Uno degli elementi caratteristici della stracittadina dei Navigli è quello legato alle coreografie. Eccole, che si palesano: la sezione rossonera celebra Pioli e Ibrahimovic, con lo slogan “La prima squadra di Milano è tornata!”. Sullo sfondo il biscione neroazzurro che insegue a fatica e con sudore i due simboli della rinascita milanista. La risposta della Nord è in tema musicale: “Ora ve le suoniamo noi: dove è Ibra?”, con riferimento alla partecipazione del campione svedese al prossimo Festival di Sanremo e alla diatriba Morgan-Bugo della scorsa edizione. Sullo sfondo, Lukaku imbraccia una chitarra elettrica, Lautaro posizionato alla batteria e Conte pronto a cantarle a tutti.
Lei comincia a incamerare foto su foto, i colori, le luci, le urla, l’inno interista che comincia a fuoriuscire dalle casse: siamo entrati nel clima derby!

Ore 20:45
Le squadre sono dentro.
Parte l’inno della Lega Calcio.
Fischi.
“Scusa, ma perché pure l’inno?”
E come glielo spiego?
Non c’è tempo, lo farò un’altra volta. Si parte.

Ore 21:16
La partita ha visto l’Inter sicuramente superiore territorialmente, ma senza quel guizzo capace di colpire gli avversari. Adesso l’azione è degli “ospiti” (si fa per dire…). La sfera arriva sul piede di Ibrahimovic. È un attimo. Non so perché, ma quando vedo il pallone arrivargli tra i piedi, ho un brutto presentimento. In una frazione di secondo, l’asso rossonero controlla e scaglia un colpo da biliardo imprendibile. Siamo in svantaggio! L’urlo della tifoseria milanista mi ferisce; esso coincide con il silenzio della restante parte di pubblico. Sempre lui, Zlatan, incide sull’incontro.
Lei mi guarda, mi mette una mano sul ginocchio e poi mi abbraccia. Il momento non è dei migliori, ma dobbiamo reagire. Forza!

Ore 21:30
Fallo netto su Lukaku da parte di Romagnoli. Il belga si agita, ma sta succedendo qualcosa. Ibra e Lukaku vengono a contatto, non si capisce nulla di ciò che si stanno riferendo. Lo stadio è una bolgia, si susseguono in ordine sparso parolacce, imprecazioni, grida scomposte.
Vengono ammoniti entrambi.
«Ma che è successo?»
«Non ne ho la più pallida idea. Non ho mai visto Romelu così»
Finisce il primo tempo, con il rientro dei contendenti sommerso da una tempesta di voci agitate e mugugni.
Andiamo in bagno, ma nel frattempo cerco anche di capire cosa diavolo sia successo tra i due campioni.

Ore 21:45
Cerco di spiegare a Indaca32 cosa possa essere accaduto in quegli attimi di nervosismo.
Si rientra in campo: l’Inter è determinata. Siamo più forti, dobbiamo vincere.

Ore 21:58
Fallo di Ibrahimovic da dietro. Tutto lo stadio salta in piedi: è da secondo giallo. Valeri non ha esitazioni: espulso. Lascia il campo ricoperto dei soliti, beceri, insulti a chiunque venga sventolato il cartellino rosso su un campo da calcio. Adesso, non abbiamo scuse: che sia rimonta!

Ore 22:09
Barella
entra in area e subisce fallo da Leao. Io salto dal mio seggiolino.
«Rigore netto! Rigore tutta la vita! Come ha fatto a non vederlo?»
60000 persone urlano la parola VAR. Non è possibile non aver visto quel contatto, era evidentissimo.
Valeri riceve l’invito dagli assistenti video e corre a rivedere l’azione. Comprende di aver commesso un errore: è calcio di rigore.
Io abbraccio Indaca32, la bacio. Lei mi tranquillizza e mi riporta alla realtà.
“Ma scusa, non deve prima segnarlo?”
Cazzo, ha ragione.
Sul dischetto va lui, Romelu. Sinistro: brivido. La palla tocca la traversa (non era un tiro a mezz’altezza…), ma poi si insacca in rete. Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii.
Le note di “Urlando contro il cielo” canoniche riecheggiano fino a Rho-Fiera.
L’Inter ha pareggiato ed è in superiorità numerica: possiamo farcela!

Ore 22:13
L’arbitro Valeri accusa un dolore: non può proseguire oltre. Viene sostituito dal quarto uomo Chiffi. Ancora una volta improperi all’uscita: evitabilissimi, come sempre. Ci sarà un recupero mostruoso (o almeno ci auguriamo, Udine è ancora in testa…).

Ore 22:28
Lo stavamo invocando ormai da diversi minuti: Eriksen è in campo. Un anno fa lo accogliemmo come il gioiello che ci avrebbe potuto condurre al tricolore; quest’anno potrebbe essere nuovamente l’acquisto del mercato invernale, sperando con risultati differenti. E di lì a poco…

Ore 22:37
Punizione dai 20-25 metri. Non ci sono altre opzioni: quella è la mattonella dell’ex Spurs. Sensazioni che ritornano. Si concentra. Probabilmente gli sta passando davanti tutto quest’anno passato più in panchina che a mostrare le sue giocate. Un trattamento che un fuoriclasse come lui non meriterebbe. Ora, però, è il momento. Il derby della Madonnina come riscatto. Io tengo la mano di Indaca32, attendendo il colpo, sperando che non si infranga tristemente sulla barriera o che finisca a Segesta.
Tiro. Parabola stratosferica. Tatarusanu, migliore dei suoi fino a quel momento, stavolta non interviene. È il delirio! Un orgasmo in piena regola! Eriksen ha segnato al minuto 97, decidendo probabilmente il derby di coppa. Non ci credo. Bacio, abbraccio, urlo il nome del centrocampista riscattato. Quella traversa di quasi un anno prima colpita proprio in occasione della sfida col Milan è cancellata: è il nuovo eroe interista!
«Chi non salta rossonero è!»
Tutti impazziti di gioia. Pochi minuti di passione, e poi game over: l’Inter accede al prossimo turno battendo i cugini in un derby mozzafiato per 2-1!

Ore 23:00
Ho atteso per uscire da quella perla di stadio. Come sempre. Lei lo sa. Mi fermo ogni volta dopo la partita ad osservare quel palco, il prato, in via di smontaggio. Cerco di catturare ogni sfumatura. Lo faccio in qualunque circostanza, ma quando si vivono esperienze simili…
Ci baciamo e ci facciamo un selfie celebrativo: Milano, per stanotte, è solo nerazzurra!

Ore 00:01
Siamo a casa. Ho chiamato il mio amico, e ci siamo salutati al volo.
Non aveva molta voglia di parlare, lo capisco.
Io e Indaca32 siamo a letto. Sono esaltato, lei pure. Facciamo l’amore.
«Una serata fantastica, amore»
«Già. Che bello»
Penso ancora a quella rete decisiva.
«Indaca32, si è fatto tardi. Dobbiamo dormire: domani si lavora»
«Eh, lo so, ma andremo più felici degli altri giorni»
«Questo sicuramente, però che stanchezza. Una giornata così è intensissima. Tu ci pensi, se, che ne so, tutti quanti lavorassero da casa? Hai presente lo smart working
«Ovvio, alcune aziende lo adottano già, ma figurati, sai quanto ci vorrà per implementarlo?»

«Eh, lo so. Però, immagina: tutti che lavorano da casa. I ragazzi che studiano a scuola sempre dalle loro abitazioni. Si potrebbe chiamare, che so, “Scuola a distanza”. Oppure…»
«Didattica a distanza»
«Ecco, brava! Didattica a distanza, smart working, ristoranti che lavorano solo con l’asporto, concerti in streaming, e gli stadi… Ci pensi, agli stadi completamente vuoti? Alle partite viste solo da uno schermo?»
«Dai, Indaco32, non ci pensare. Non ti angosciare. Tutto questo non potrebbe succedere, sarebbe impossibile»
«Già. Sarebbe impossibile»

Indaco32