Torno di nuovo alla mia adolescenza, e dopo il racconto della 'Pozzangheraccia' e delle 'Biciclette Volanti' oggi vi porto a conoscere un altro divertimento per noi ragazzini del tempo, quando la tecnologia, sotto il profilo console era ancora agli albori e noi preferivamo stare in strada che chiusi davanti ad un giochetto. E così, dove oggi sorge un maestoso palazzo, che ha coperto ogni visuale ai nostri palazzi, una volta c'erano le macerie dei vecchi palazzi, buttati giù appena vent'anni prima e che spesso sembrava dover sorgere qualcosa di nuovo da lì a poco, da una stazione di Autobus, da una piazza, a una sola e grande fontana, e nel frattempo arrivavano grandi camion a scaricare terra su terra, che poi non era mai utilizzata e ma restava lì a formare, pioggie al seguito, montagne di almeno quattro metri per quattro, che stavano lì ad attendere di essere utilizzate, e nel frattempo qualcuno le utilizzava, noi, che in presa alla frenesia, vi salivamo su con le biciclette e facevamo dei salti a distanza, con un giudice, una ragazza, che si posizionava dove la ruota dietro cadesse. Per rendere più bello il salto, avevamo fatto con delle tavole di legno la salitella, quindi con una grande rincorsa diveniva un vero e proprio trampolino di lancio. Ricordo che per saltare quei montagne di terra la Mountain Bike era l'ideale, ma era anche pericoloso, ma chi pensava al pericolo a quell'età? Ecco che un bel giorno in varie sfide, uno di noi, prende la rincorsa, e nel ricadere, all'impatto, il suo manubrio si piega verso il basso in entrambe i lati, e la sua Mountain Bike era divenuta, alle risa di tutti, una bici da corsa. Quel luogo era privato, ma a noi che c'era un cartello con scritto che era vientato entrare non faceva né caldo né freddo, entravamo lo stesso, potevano metterci anche un muro, lo avremmo scavalcato passandoci le bici, nessuno ci fermava, nessun pericolo, che a pensarci oggi, abbiamo rischiato tante di quelle volte, ma quando si è ragazzini il pericolo non esiste, a meno che poi non succeda l'irreparabile, si va e spesso lo si nasconde ai genitori, anche se eravamo in bella vista delle palazzine davanti, quindi le grida: "Uscite da lì dentro", "Quello è un posto privato!", "Adesso chiamiamo la polizia!", niente ci faceva paura, facevamo finta di non sentire e continuavamo a fare i nostri salti.

Un bel giorno, qualcuno chiamò davvero i controlli, erano persone che stavano progettando quel che poi sarebbe stato costruito in quel luogo: "Voi qui non ci potete stare, uscite subito!", noi ci facevamo una grossa risata e scappavamo in volata. I controlli erano di rado, confabulavano, sembravano davvero indaffarati nel dire e indicare i punti dove dovevano sorgere chissà cosa, poi una volta andati via, ritornavamo a giocare, noi le chiamavamo i 'Montarozzi' in gergo romano, alla fine dei grandi cumuli di terra in italiano. La nostra zona ci regalava davvero tanto spazio, aggiunta alla nostra fantasia, e ci s'inventava di tutto e di più, quel terreno si trasformò nel tempo in un campo di Baseball, che avevamo costruito al suo interno, con delle cassette della frutta, prese fuori da un fruttivendolo che le lasciava appena chiudeva fuori dal locale, e dove qualcuno ci ha rimesso salendoci sopra con qualche punto sulle gambe. La mazza da baseball l'aveva un nostro amico, ci si divertiva, ma lo spasso più grande restavano quei Montarozzi, perchè al salto sembrava portarci a volare per quel secondo o due, e che ci portava a spingere sempre di più, ricordo che aveva la meglio chi era meno pesante, perchè il suo peso non influiva troppo nello slancio, ma essendo leggeri s'incappava spesso a delle cadute rovinose, con ginocchi sbucciati e addirittura escoriazioni ben più importante.

Tutto s'interruppe un giorno, quando in una sfida chiamata 'Sfida della Morte', perchè ogni gara aveva un suo nome, uno di noi fece un salto incredibile, ma nella ricaduta la sua bici s'inclinò alla sua destra, portandolo a perdere il manubrio, nella caduta, nel poggiare la mano destra, si senti un forte Crack!  L'osso del polso si era spezzato, e le urla, le lascio soltanto immaginare. Così se uno era corso a chiamare i suoi genitori, gli altri gli stavano vicini. La fortuna volle, che il sor Alvaro a bordo del suo furgone, appena tornato dal lavoro, si era accorto dell'accaduto così dopo l'arrivo della mamma del ragazzo, tutti salimmo a bordo del furgone e partimmo nella direzione ospedale.
Tutti speravamo che non gli fosse successo nulla, a quell'età pensavamo sempre a qualcosa di pericoloso o di irreparabile, poi il dottore che lo aveva operato ci riportò alla serenità, quando ci disse che l'operazione era andata bene e che sarebbe tornato a casa dopo alcuni giorni.

Da quel giorno quei Montarozzi, anche dopo i vari reclami della gente del vicinato, furono stesi per tutto il perimetro della zona privata, così da non riportare noi ragazzini a giocare rischiando di farci male, anche se noi eravamo più che certi che non saremmo più tornati a giocarci sopra. Così assistemmo alla distruzione del 'Salto della Morte' con lo sguardo imperterrito, e con un inaspettato applauso per salutarlo per l'ultima volta.

Ora là c'è un grande palazzo, ma per chi come me vi ci è nato, quel posto è rimasto come all'epoca, perchè si riesce molto facilmente a cancellare in un istante quel palazzo e rivedere quello sterrato e quelle montagne... quei Montarozzi.