Premetto: Suso è un giocatore che non mi ha mai entusiasmato. Nemmeno quando era veramente il trascinatore del Milan. Perché sì, c’è stato un lungo periodo in cui il giocatore spagnolo era l’unico bagliore di luce nel buio più totale. Le sue giocate erano imprevedibili, tecnicamente era un giocatore eccellente, che sapeva sia assistere i compagni, sia concludere da sé l’azione. Arrivato al Milan, era stato definitivamente spostato nel ruolo di ala destra, dove sembrava che le sue qualità sarebbero finalmente esplose.

Purtroppo, le prestazioni dello spagnolo sembravano seguire un qualche strano schema: nelle prime 19 partite sembrava il calciatore più forte della Serie A, capace con le sue giocate di cambiare completamente una partita, mentre nella seconda parte della stagione, dopo un inizio promettente, scompariva nella mediocrità dei suoi compagni, apparendo soprattutto stanco. Questo perché negli ultimi anni, su quella fascia, ha giocato sempre e solo lui, per mancanza di riserve alla sua altezza.

Forse per questo i milanisti pensavano che fosse forte: ed effettivamente, Suso non è scarso. Ma non è nemmeno forte, sicuramente. Benché il talento e la tecnica non manchino, e anzi abbondano a tratti, atleticamente ha delle enormi mancanze: l’esterno spagnolo è sì un giocatore dalla buona resistenza, ma manca di esplosività e velocità nello scatto, attributi fondamentali nel suo ruolo, e ancor di più nel calcio moderno, fatto tutto di dai e vai, uno due, inserimenti senza palla e pressing alto.

Lui no, lui non riusce ad applicarsi, perché fisicamente non riesce a correre più veloce e mentalmente non ha quella fame che gli permette di andare a pressare alto. Queste lacune non sono solo colpa sua, anzi: se atleticamente non riesce a far di più, come si fa ad incolparlo?

Suso è, senza dubbio, un giocatore anacronistico. Basterebbe tornare indietro nel tempo, quando il calcio era meno tattica e più spettacolo, quando un 6-3 era buona norma e uno 0-0 era visto come una sorta di miracolo, e guardare i giocatori del tempo. Con ciò non voglio dire che fossero lenti una volta, anzi, questo andrebbe contro uno dei comandamenti del totalvoetbal, ovvero il perenne movimento. Solo che una volta contava molto di più la tecnica rispetto all’atletica, e questo è un dato di fatto. Suso, quindi, sarebbe potuto essere un ottimo giocatore, capace di giocare sia da trequartista, sia da mezzala, sia da esterno. Ma con queste argomentazioni si sconfina nei “se” e nei “ma”, che, purtroppo o per fortuna, non fanno la storia.

Poi esprimo una considerazione personale: Suso, a mio avviso, è un buon comprimario, ovvero un giocatore che saprebbe esprimere le sue qualità al meglio SOLO in una squadra di altri campioni. Nel senso: Suso non è assolutamente un campione, poiché pecca di alcuni attributi fisici e soprattutto di personalità. E proprio per questo non può essere il leader tecnico di una squadra come il Milan.

Invece, mettendolo in un ipotetico Real Madrid o Manchester City, Suso avrebbe molte meno pressioni addosso, e magari potrebbe esprimere al meglio il suo talento: quella che con la maglia del Milan è diventata monotonia di giocate, in una squadra che non lo vede come protagonista potrebbe essere imprevedibilità di giocate. Ma anche qui, il discorso è puramente teorico.

 

Quindi proviamo a metterci nei panni di un Platone post litteram, che scrive l’apologia di Suso. Buona lettura a tutti!

 

 

Suso entra nel tribunale vestito d’un panno candido. La testa alta, gli occhi persi nel vuoto, senza un’espressione apparente, scrutano l’etere immobile. La giuria, seduta su un piano rialzato, guarda l’imputato arrivare e, senza tradire la rabbia nella quale era immerso il loro animo, si siede su di un palco sopraelevato, alzando con dolcezza ma forza la lunga toga.

Suso, dopo essersi osservato attorno, con languida rassegnazione abbassa lo sguardo prima senza emozioni, tradendo un moto di tristezza che riempie l’animo dei presenti. I presenti, dal canto loro, non tradiscono nessuna emozione, e i loro sguardi, carichi d’odio, si fanno portatori di un sentimento che regna sovrano nella coscienze umana, da tempo immemore. Talvolta giusto, talvolta sbagliato, sempre violento. Non vi è mai stato nessuno capace di provare un odio inveterato, quasi senza ragione, senza poi farlo sfociare nella violenza più pura, che essa sia fisica o psicologica.

 

Questo, purtroppo, è l’essere umano, pensa Suso. Fino al giorno prima possono amarti, poi odiarti. Io cerco di fare le medesime cose, con solerzia svolgo le mansioni che mi vengono affidate, e cerco di non tradire mai la fiducia di chi me l’ha affidata. Purtroppo, il destino della fiducia è quella di diventare un affluente, che si immerge nel fiume della delusione, dei torti, degli inganni: la fiducia, in quanto essere umani, non potrà mai essere rispettata nel tempo. Ma questo, ripeto, è l’essere umano. Peccato che questa figura misteriosa, tanto fisica da essere astratta nei suoi comportamenti tanto complicati da capire, non riesca (o lo faccia con fatica, ahimè!) ad immedesimarsi nei pensieri di un altro essere umano.

Mi spiego: io ho cercato di rispettare la fiducia che mi è stata data, fino a che me l’ha permesso la mente, più che il fisico. La gente che ora qui siede e non vede l’ora di vedermi lontano, o dentro una qualche cella fredda, un tempo mi voleva bene. Ora, alla prima difficoltà, il castello che si era costruito attorno alla mia figura, tanto solido all’apparenza, è stato brutalmente sfondato da una forza erculea, che non ha nulla di disumano, nonostante sia divinamente forte. Magari qualche prestazione sottotono, in cui sembravo un fantasma, un apparizione senza alcuna di volontà. Benché così non fosse, l’occhio umano non può capirlo, perché dovrebbe indagare un qualcosa che non rientra nei suoi canoni. In quanto entità fisica, la funzione dell’occhio è limitata ad un unico campo, che è quello visivo. Il campo psicologico, appartiene ad un altro senso. Di fatto, l’essenziale è invisibile agli occhi, che invece vedono benissimo la sostanza, e possono giudicarla. O meglio, si permettono di giudicarla, facendo coincidere sostanza e anima. Giusto? No, umano.

 

Suso si posiziona al centro dell’aula, sedendosi su una sedia di radica imbottita. Aggiusta le carte di fronte a sé, e sta per prendere la parola. Il giudice Maldini alza la mano: un gesto che zittisce tutti i presenti, Suso compreso, che bofonchia qualche parola senza senso. “Ora, o Suso, che tanto dici di aver dato a questo popolo, immerso nei colori rossoneri, ti sembra giusta la tua presenza qui, oggi?”

Suso sta per prendere parola, ma un fuoco improvviso avvampa al suo interno. Fiamme vorticose si scatenano nel petto dell’uomo, che sembra sul punto di esplodere in una furia senza precedenti. La coscienza, tuttavia, pompiere dell’ardore, spegne questo ardore con grande rapidità, chiudendo l’uomo in una profonda tristezza, che gli occhi comprendono perfettamente. L’anima si trasmuta in sostanza.

 

Questo è successo negli ultimi incontri: io non sono una persona dal carattere spigoloso, pungente, che fa dell’orgoglio la cavalleria della sua falange. Ogni parola fuori posto, proferita anche dalla più ignobile delle persone, mi tocca profondamente, facendomi sprofondare in una sorta di arida tristezza, in cui non trovano spazio nemmeno le lacrime. Questo, forse, è uno dei motivi per cui non mi sono ancora librato in cielo, dimostrando tutto quello che valgo. Perchè so di valere: dopotutto, se non valessi, sarei giunto al Liverpool e al Milan? E adesso mi avrebbe voluto il Siviglia, terra nella quale probabilmente verrò esiliato?

Non lo so, in fondo, se valgo o meno. I fatti valgono più delle parole, che però possono trasformarsi esse stesse in fatti. O sono esse stesse fatti? D’altro canto, se le parole non fossero fatti, parleremmo di parole nei termini in cui parliamo dell’anima. E sappiamo tutti che non è così. Ma quindi anche le parole dei miei stessi tifosi, che dovrebbero sostenermi, diventeranno fatti?

 

Decido di prendere, finalmente, la parola. Quelli che mi erano sembrati istanti interminabili di sofferenze indicibili e profonde, di moti vorticosi e ardenti, non hanno che fatto passare pochi secondi.

 

“Giudici, tifosi, mister. Voi, che tanto mi criticate, avete dimenticato ciò che ho fatto in 4 anni con la maglia rossonera sulle spalle. Ho portato questa squadra in Europa, giocando praticamente da solo. I miei compagni, indegni, hanno vestito questa maglia, senza essere violentati dalle vostre parole. Io, invece, che negli appena trascorsi ho dato fino all’ultima goccia di sudore, devo subirmi questa ingiustizia, questa incoerenza nel detto e nel fatto. Sappiate che, anche se dovessi ritornare dal mio esilio ormai certo, non aspetterei un momento a ritornarci. Qualunque piazza sia, spagnola o italiana, saprà riconoscere i miei meriti e contestare i mali che causerò”.

 

Suso, dopo un’arringa tanto violenta quanto retoricamente convincente, si siede con calma, aspettando la risposta dei giudici. Il suo sguardo tradisce, questa volta, un grande ardore, prima assolutamente ben celato. Come celato fu durante tutte le partite di quest’anno, in cui egli, pur volendo dimostrarsi un giocatore di livello, fallì molte occasioni. Non perché fosse colpa sua, anzi, me ne guardo ben dall’affermare ciò. Ma chi non dimostra, logicamente pensando non sa o ha difficoltà nell’esprimere ciò che sa. E queste difficoltà, da cosa derivano? Da una squadra non al suo livello?

 

Il giudice Boban si alza dalla sua sedia, e scrutando i volti pensierosi, collerici e calmi allo stesso tempo dei tifosi presenti, inizia la sua dichiarazione.

“Suso, carissimo, ci dispiace assai decretare una simile decisione: ufficialmente, verrai esiliato a Siviglia. Potrei decidere tu per quanto e se vorrai tornare. Questa è una decisione irreversibile. Ormai non rientri più nel progetto, nessuno ti degna d’un pensiero positivo in questa aula. Nessuno vuole sapere nulla di dove andrai e cosa farai, e la memoria di ciò che hai fatto è andata completamente perduta nella mente dei tifosi. Ce ne duole, ma vattene il prima possibile.”

 

Gazidis, nel frattempo, sogghigna in sottofondo. Il motivo non è ben chiaro, perché egli, da direttore sportivo della società, dovrebbe avere un’aria pensierosa, volgendo il suo intelletto alla ricerca di un sostituto all’altezza di Suso. Non è così. Che abbia capito qualcosa che a noi non è noto? O che la società americana, presente come lo sono le divinità, voglia solo guadagnare senza investire? Domande senza risposta, pensa Suso, che aveva notato con la coda dell’occhio quel sorriso maligno.

 

“Giudici, accetto la vostra sentenza, che so essere anche quella dei tifosi qui presenti. So che, in quanto esseri umani, siete ben suscettibili ai moti del vostro animo. La rabbia, d’altronde, è un sentimento umano. La delusione pure. Persino l’irriconoscenza, uno dei sentimenti più bassi. L’essere umano è questo, e bisogna conviverci. Bisogna imparare ad accettarla. Ma io, nel profondo della mia anima, non riesco…”

Le parole mi si bloccano in gola, improvvisamente. Non riesco ad emettere più un suono, nulla esce dalla mia bocca. L’aria mi manca, sembra quasi che io sia sul punto di perire, qua, gloriosamente (o pateticamente?), davanti ad una folla che mi odia e che ben volentieri mi porterebbe lontano da qua. Lasciamoglielo fare, popolo, succubi delle passioni. Benchè io stesso lo sia.

E caddi come corpo morto cade.

 

Federicoz