"E' un'emozione nella gola\ da quando nasce\ a quando vola", celebre intro del ritornello di "Quando nasce un amore", canzone di Anna Oxa, è una di quelle frasi, in ambito amoroso, che meglio sintetizza la nascita del sentimento più nobile. La love story, fra Carlo Ancelotti e la Signora del calcio italiano, è sempre apparsa come un matrimonio riparatore, con quest'ultima ancora scossa dall'addio di uno degli "amanti" più vincenti: quel Marcello Lippi, condottiero di innumerevoli trofei, italiani e internazionali, dimessosi a seguito della debacle casalinga contro il Parma di Alberto Malesani e di Hernan Crespo (2-4 e tripletta dell'argentino).

Il tecnico di Reggiolo inizierà la sua avventura in bianconero l'8 Febbraio del 1999, ma, come racconterà nella sua biografia, "Preferisco la Coppa", scritta a quattro mani con il giornalista Sky Alessandro Alciato, il suo arrivo in sede, allora ubicata in Piazza Crimea, sarà accompagnato da una mirabile visione: adagiato, nei pressi di un obelisco, campeggia uno striscione con scritto "un maiale non può allenare". Giunto all'interno dell'edificio, nota Luciano Moggi visibilmente irritato, nell'intento di convincere un manipolo di capi ultras, a ritirare quell'ignobile drappo. A quanto pare, promessa mai mantenuta. Sempre all'interno dell'opera, Ancelotti affermerà di non aver mai amato l'ambiente juventino, sentendosi, oltre che poco apprezzato, come un ingranaggio, nel complesso di una grande azienda.

L'allenatore emiliano, nel corso dei primi tre mesi, all'ombra della Mole, conseguirà un quinto posto da subentrante, in campionato, con annesso spareggio Uefa, perso contro l'Udinese, per reti in trasferta, che costringerà la compagine bianconera a disputare il Torneo Intertoto, onde ottenere un piazzamento nella successiva Coppa Uefa. L'approdo, alla quarta finale di Champions League consecutiva, sarà bruscamente interrotto, dalla rimonta del Manchester United di Sir Alex Ferguson, nella semifinale di ritorno, al "Delle Alpi", dopo il doppio vantaggio iniziale siglato da Pippo Inzaghi.

Il seguente anno certifica il dominio in campionato, ai danni di una Lazio, assidua inseguitrice, in grado di riaprire la pratica scudetto, per effetto della vittoria nello scontro diretto (0-1, Diego Pablo Simeone, proprio lui) e della sconfitta juventina in casa del Verona. Con un distacco di due punti, la Signorà vedrà sfumare il sogno tricolore, nel diluvio biblico di Perugia, a favore dei biancocelesti vittoriosi, qualche ora prima, contro la malcapitata Reggina.

L'ambiente bianconero, nonostante la seconda annata senza lo Scudetto cucito sulle maglie e l'uscita prematura dalla Coppa Uefa, patita per mano del modesto Celta Vigo (4-0 in terra iberica), scommette ancora su Carletto e gli regala il carnefice dell'Italia, all'Europeo del 2000: monsieur David Trezeguet, autore di 171 gol complessivi nel decennio in casa Juve. Tuttavia, anche questa stagione si rivela un flop. La Signora termina il campionato alle spalle di un'altra squadra capitolina, la Roma di Fabio Capello, mentre, in campo europeo, la figura è addirittura peggiore: eliminazione al primo turno, nel "temibile" raggruppamento con Amburgo (acclarata bestia nera), Deportivo de La Coruña e Panathinaikos. 

Il biennio torinese si concluderà, per il futuro coach del Milan, con 63 vittorie all'attivo, 33 pareggi e 18 sconfitte complessive, alle quali si aggiunge un solo titolo conquistato, quel Torneo Intertoto, utile, esclusivamente, ad assicurare un pass, per l'imminente edizione della Coppa Uefa.

Feeling mai nato, come detto in precedenza, quello fra Ancelotti e la Juve, reiterato in diverse occasioni mediatiche, nelle quali, i supporters bianconeri non hanno risparmiato al tecnico "manifestazioni d'affetto", etichettato quale suino e risposte diplomatiche ("Mi consolerò guardando la Coppa del 2003") o per le rime (dito medio indirizzato alla curva bianconera) di quest'ultimo. 

Ciò che non può sfuggire, analizzando la permanenza di Carletto a Torino, talvolta, è il magro bottino europeo, a strisce bianche e nere, facente da contraltare ai successi del reggiolese, nella massima competizione europea, con il Milan e il Real Madrid, uniti ai trionfi, fuori dai confini italiani, nel campionato inglese (Chelsea), francese (PSG) e tedesco (Bayern Monaco). Come dimenticare, in tema Champions, la finale vinta dai rossoneri, guidati da Ancelotti, contro la Juve, in quel di Manchester, il 28 Maggio 2003, ferita ancora aperta per il popolo zebrato e motivo di rivalsa, al contrario, per l'attuale tecnico del Napoli.

A favore dell'allenatore, oggettivamente, gioca un ruolo, non marginale, l'ostilità di un ambiente, orfano dell'amato Lippi, che lo ha sempre designato come un nemico, prima da calciatore (Roma e Milan), poi da allenatore (Parma, successivamente Milan e, oggi, Napoli); l'inizio di un nuovo ciclo è stato, di conseguenza, precluso, anche, da un discorso societario, rivolto ad un ricambio generazionale, con element non all'altezza (vedi Van der Sar). Da segnalare, al tempo stesso, un Del Piero, in lenta risalita, dopo il baratro dell'infortunio, rimpiazzato, temporaneamente, da due meteore bianconere, alias Juan Esnaider e, udite udite, Thierry Henry. Anche se, proprio la leggenda del calcio francese si separò, dopo appena sei mesi, dalla Juve, a causa, soprattutto, dell'errata collocazione tattica attribuitagli dall'allora tecnico bianconero, che lo vedeva ala e non centravanti.

In un tourbillon di dichiarazioni al veleno, striscioni, suini, coppe, campioni e rivincite, la liason, trattata in queste poche righe, tiene ancora banco in tutto l'ambiente calcistico e, sicuramente, si sentirà parlare, per molto altro tempo, di una delle controversie più affascinanti del pallone italiano, data la rivalità che sussiste fra la Juve e il Napoli, attuale team di Ancelotti, in lotta, da anni, nella corsa allo scudetto.

To be continued...