C'era un tempo in cui ai bambini insegnavano una filastrocca alquanto originale. Priva di rime, versi o metrica particolare. Ma semplice, semplice. Senza la luna, le stelle, e nemmeno il mare. Diversa da quelle che ti chiedevano di recitare salendo su una sedia di fronte a tutti perchè erano arrivati Pasqua o Natale.

Iniziava più o meno così "Zoff, Gentile, Cabrini..." e sebbene non fosse un'ode e nemmeno un sonetto, per chi amava il calcio, era meglio di una qualunque poesia.

Correva l'anno 1982. Erano i tempi del Mondiale di Spagna. Di Zoff che alzava la coppa in una magica notte d'estate. Del presidente Pertini che gioiva in tribuna come fosse un bambino. Di un paese intero dove tutti festeggiavano, anche i piccoli o le massaie, perchè quando giocava l'Italia tutti scendevano in campo anche se di pallone non ci capivano niente.

Se cominciavi a seguire il calcio in quei giorni prima ancora di spiegarti le regole del gioco t'insegnavano la poesia "Zoff, Gentile, Cabrini.." e ti mostravano in tv le immagini di quella notte mondiale, in cui Scirea, Conti, Rossi e Altobelli ti sembravano i personaggi dei fumetti, tipo quelli che andavano di moda a quei tempi. Qualcosa di simile a Superman o L'uomo Ragno, tanto per intenderci. Perchè anche senza la maschera o il costume incollato al fisico d'acciaio, quella notte erano diventati più forti e più belli degli eroi. 

All'epoca, tutto era più semplice. Non esisteva il fantacalcio e a differenza dei bambini di oggi,  non imparavi ad usare il computer fin dalla scuola materna, perchè internet ancora  non esisteva e il web era soltanto lo strano pianeta di una galassia sconosciuta e lontana. I cellulari non li avevano ancora inventati e i grandi, i risultati delle partite, non li potevano trovare nemmeno lì. Se volevi telefonare da fuori casa, per sapere qualcosa, dovevi avere in tasca un gettone che se glielo mostrassi oggi a mio nipote che ha solo quattro anni, mi spalancherebbe gli occhi chiedendomi se per caso non si tratta di un pezzo di lego con cui giocava mio nonno quando aveva più o meno la sua età.

Quelli erano i tempi della Nazionale di "Zoff, Gentile, Cabrini". La squadra di tutti. Dove i colori erano i tre della bandiera più quello della maglietta che ricordava l'azzurro del mare. Allora non capivi che quando ti cantavano "Con Rossi e Tardelli, c'è anche Altobelli" era per ricordare che la squadra non era fatta solo del blocco Juve, ma c'erano anche campioni di altre squadre ad aver reso grande quell'Italia. Queste cose non le potevi ancora capire perchè eri solo un bambino. E se la filastrocca continuava con "Oriali e Collovati prima di Scirea" poco t'importava. Perchè il calcio per te era solo quello lì. Senza alcuna differenza. 

Ma il calcio non era soltanto quello . Quello di tutti. Quello che univa le persone dietro gli stessi colori.  Il calcio era anche altro. Quello fatto di tante squadre rappresentate dai più fantasiosi abbinamenti di colore. Gli stessi che imparavi grazie all'album di figurine della Panini, quando a scuola avevi a malapena imparato a leggere e a contare. Ti spiegavano presto che "essere tifoso" significava scegliere una squadra e sperare che facesse gol ogni volta che scendeva su quel terreno verde con due porte alle sue estremità. Di solito non dovevi sforzarti più di tanto. Ti bastava scegliere quella del tuo papà o quella del tuo amichetto vicino di casa, facendo capire all'altro che anche se non avevi scelto la sua gli volevi lo stesso un mondo di bene. Poi dovevi gioire ogni volta che quelli con la tua maglia facevano gol, e il gioco era fatto! Ma sapete qual'era la parte più divertente? Era rendersi conto che anche se non eri sceso in campo anche tu con quella maglietta quando quelli della tua squadra vincevano, ti sembrava ogni volta di aver vinto un pò anche tu. E questo ti bastava per essere felice. Tipo la notte magica di Madrid, quella di "Zoff, Gentile Cabrini...". 

Allora, capivi presto che il calcio era fatto di tante piccole cose. Tipo le domeniche pomeriggio, quando non ti azzardavi a chiedere di andare alle giostre perchè a casa non poteva volare una mosca fin quando papà non si decideva a spegnere quella benedetta radiolina. E ti pareva un momento catartico, perchè se papà a volte era felice e a volte lo era molto meno, quando spegneva la radiolina mamma smetteva ogni volta di sbuffare e tu a giocare ai giardini, ci andavi lo stesso. A prescindere dai risultati. Ma in ogni caso il calcio era il rito della domenica pomeriggio. Ai tempi di "Zoff, Gentile, Cabrini" non esistevano anticipi, posticipi e dirette. Oltre quella radiolina, in tv c'era solo "90° minuto" con quel giornalista sorridente e rassicurante che tutti amavano e che chiamavano Paolo Valenti. E se per non litigare con la mamma papà non lo aveva potuto vedere, poi c'erano Domenica Sprint e la Domenica Sportiva, che gli mostravano i gol di giornata come fossero  i supplementari di una domenica che rimaneva comunque sempre domenica.

Erano altri tempi. I tempi in cui i bimbi guardavano il mondo del pallone con disincanto. Anche quelli juventini. Che si ritrovarono anche in quell'altro calcio, fatto di più squadre e tanti colori, la favola di "Zoff, Gentile, Cabrini".
Una favola di divertimento e di vittoria, a prescindere dal colore a volte azzurro e altre bianco-nero. Ciò che contava davvero era impararla a memoria come si faceva a scuola.
Perchè per chi ama il calcio, sarà sempre poesia.