Quando si perde un uomo che ha scritto pagine di storia è come perdere un frammento del proprio vissuto, che inevitabilmente se ne va via con lui.

Succede in ogni contesto. Nell'arte, nella cultura, nello sport. Tutti ambiti in cui i protagonisti si distinguono tra uomini di talento e veri e propri eroi. I primi realizzano belle performances. I secondi  grandi imprese. I primi li ammiri. I secondi ti entrano dentro.

Un po' come accade nell'arte quando le opere dei grandi pittori salgono di prezzo dopo la loro morte, così pure nello sport, sebbene il valore di un campione non si misuri con un criterio di tipo economico, ma semplicemente con un indice di stampo romantico.

Nello sport quando un eroe va via le sue gesta diventano storia e sono la grande eredità che ci lascia, perchè il fatto che lui non ci sia più rende epica ogni vittoria mentre i ricordi confusi di un tempo lontano diventano tracce indelebili che si scolpiscono nella memoria.  

Penso a tutto questo quando vedo scorrere in tv le immagini in bianco e nero di Felice Gimondi. E ogni volta che lo vedo sulla sua bicicletta provo la stessa sensazione che avverto quando leggo le pagine di un tempo mitico che oramai non c'è più. Rendendomi conto che nonostante la partenza di chi le ha scritte comunque potrò leggerle in eterno, perchè il loro inchiostro non potrà sbiadirsi mai. Sono leggenda.


Felice Gimondi ci ha lasciato pochi giorni fa all'età di 77 anni. Ovviamente in questi giorni se ne è parlato tanto. Tanti i tributi di affetto indirizzati sia all'uomo che al campione, perchè per il ciclismo e per lo sport in generale è stato un eroe che ha saputo lasciare un'impronta sia quando cavalcava la sua bici sia quando ci scendeva e ti parlava, sorridendo. Con il suo carattere pacato. Le sue parole misurate. Il suo sorriso che ti trasmetteva  serenità. Chi lo conosceva di persona ce lo descrive come dotato di una simpatia unica e di modi dolcissimi e delicati. E' evidente che Gimondi era tanta roba! Non solo come sportivo. Ma soprattutto come uomo.

Io Gimondi non l'ho potuto ammirare quando era all'apice della sua carriera, perchè mentre dava il suo contributo alla storia dello sport dalle Alpi fino ai Pirenei, io, ahimè, non ero ancora venuta al mondo. Gimondi me lo raccontò mio padre che amava il ciclismo quasi quanto adorava il calcio. Ero davvero piccola quando gli chiedevo chi fosse e lui mi spiegava che oltre a Coppi e Gino Bartali, Gimondi era un altro che lo aveva fatto sognare. Mi raccontava del fatto che era bravo sia in salita che in volata e che oltre il Giro d'Italia aveva vinto anche il Tour e la Vuelta. Sebbene alle elementari mi avevano appena insegnato la differenza tra Spagna e Francia, compresi comunque che si stava parlando di uno bravo, perchè per vincere dappertutto devi essere per forza uno che vale. Poi mio padre mi raccontò di Eddy Merckx, un ciclista belga che tutti chiamavano il "cannibale". Mi spiegò che era talmente forte che quando cominciò a gareggiare per Gimondi arrivarono tempi duri, in quanto il fiammingo prese il vizio di batterlo quasi sempre, tanto che a Gimondi diedero il soprannome di "eterno secondo".  Ma aggiunse pure che, per i tifosi come lui, la sostanza non cambiò più di tanto perchè il vederli solo duellare era spettacolo allo stato puro e anche se Gimondi cominciò sovente ad arrivare secondo, la sensazione che fosse un vincente ti restava comunque appiccicata addosso. Incollata alla mente e stampata nel cuore. Poi Merckx si ritirò abbastanza presto contrariamente a Gimondi che continuò a correre e ricominciò a vincere.  Dalle ceneri di una sana rivalità fatta di duelli epici e sfide indimenticabili nacque una bellissima amicizia che unì i due fino alla fine, scritta dal destino soltanto pochissimi giorni fa. A testimonianza di come nessuna rivalità sportiva può soffocare il prorompere di valori veri quando dietro un eroe sportivo vive l'anima di un uomo vero.


Quest'immagine romantica stride con tutto quello che vedo oggi soprattutto nel calcio di questi tempi, quando l'egocentrismo, la rivalità spinta oltre i limiti della morale e la fame esasperata di successo e di vittorie fa dimenticare a molti campioni la loro natura umana che dovrebbe muoversi spinta comunque da principi di sana lealtà, anche quando si indossano casacche diverse e ci si sfida su un campo da gioco per essere migliori dell'altro. La sola legge che detta i tempi dovrebbe essere quella del rispetto reciproco. E invece il solo dogma che tutti gli addetti ai lavori seguono oggi è quello dei soldi e degli interessi economici. Discorso da estendere a tutti quelli che fanno parte del mondo del pallone. Ai dirigenti, ai procuratori, ai presidenti delle società che dovrebbero contribuire ad abbassare i toni delle rivalità, accantonando le polemiche ad ogni costo e restituendoci la pulizia di una rivalità sana che quando l'arbitro fischia la fine tutti si torna nuovamente amici come e più di prima. Cosa che accadeva una volta e che oggi non succede più, con i tifosi più accaniti fomentati dalla contorta amplificazione generale di interessi che con lo sport non hanno nulla a che vedere.

A proposito, parlando di calcio, Gimondi era un grande tifoso dell'Atalanta. Non uno qualunque, ma uno veramente innamorato dei colori calcististici della sua città tanto che era stato nominato presidente del coordinamento dei club Amici dell’Atalanta e seguiva con passione la sua squadra. Fin dai tempi in cui era solo un bambino. Felice era profondamente devoto alla sua "dea" del pallone, che in un certo senso è sempre stata un pò come lui. Una lottatrice, dedita alla fatica e al sacrificio. Determinata e indomita come era Gimondi in sella alla sua bici. Quando arrivare primo o secondo non faceva differenza, perchè ciò che contava davvero era avercela messa tutta. Lo hanno salutato così, quelli dell'Atalanta: "...Gimondi ha scritto la storia del ciclismo italiano ed internazionale e ha portato il nome di Bergamo in giro per il mondo.." ed effettivamente è stato così. Ora hanno un tifoso in cielo travestito da angelo che li sosterrà con passione anche da dietro una nuvola. Questa Atalanta sta regalando a Bergamo un sogno. Un po' come i sogni che gli regalava Felice.

Quando leggo di "odio" tra società, mi vengono i brividi e mi raggomitolo guardando l'esempio di Gimondi e Merckx e della loro amicizia sana, anche nel mondo del calcio. E' diventato storia l'abbraccio tra i due alla fine di Atalanta- Malines nell'aprile dell'88. A Bergamo si giocava la semifinale di Coppa delle Coppe. I due campioni di ciclismo seduti l'uno accanto in tribuna. Alla fine vinsero i belgi e si narra che Felice, pur rammaricato per il risultato, abbracciando Merckx gli disse <<Eddy, mi hai battuto anche nel calcio!». A bassa voce! Senza rabbia nè risentimento! Ma con stile e sportività.

Ecco come si restituisce allo sport la sua essenza più profonda. Grazie a persone che danno il giusto valore ai principi che contano davvero. Uomini veri, oltre che eroi leggendari. 
Questo sono i Campioni. Questo era Felice Gimondi.