In principio fu battaglia. Dieci giorni fa, Lele Adani e Max Allegri si incontrarono davanti ai microfoni Sky. Si era appena chiuso il match di San Siro tra Inter e Juventus. Come ormai è noto ai molti, tra i 2 nacque un’accesa discussione relativa al tipo di calcio proposto dalla Vecchia Signora. Il mirino del celebre opinionista era puntato soprattutto sulla doppia sfida tra bianconeri e Ajax che provocò l’eliminazione ai quarti di finale di Champions League dei piemontesi. Il dibattito non terminò tra petali di rosa e il tecnico toscano lasciò l’intervista. Per qualche giorno vi furono strascichi, ma in tanti si auguravano un’immediata ricomposizione della situazione.

In effetti si tratta di 2 grandi uomini di calcio. Sono intenditori dal palato sopraffino. Per l’appassionato di questo magnifico sport, è stato davvero spiacevole assistere a tali schermaglie. Venerdì scorso, all’Allianz Stadium, andava in scena la stracittadina torinese e l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Non a caso, l’intelligenza dei 2 contendenti ha avuto la meglio.

Nel post partita del derby, Allegri si è ripresentato tranquillamente all’intervista di Sky e Marco Catteneo, conduttore della trasmissione, ha dato modo ai 2 contendenti di raggiungere l’atteso chiarimento. Adani ha riproposto la medesima domanda di 6 giorni prima e ne sono derivati circa 20 minuti di magnifico dibattito.

Gli appassionati di calcio che attendevano tale momento erano davvero molti. Si presumeva e si sperava, infatti, che da un successivo incontro tra questi pensatori del pallone potesse nascere una discussione costruttiva e affascinante. Così è stato.

Il tema centrale è sempre il medesimo. Trattasi dello scontro frontale tra 2 delle correnti filosofiche più in voga nel mondo del calcio. Se da un lato si vive il dualismo tra i sostenitori di Ronaldo e quelli di Messi, dall’altro ecco la sfida tra i fautori del “bel gioco” e coloro che, invece, badano al concreto.

Si parta da un presupposto. Non si sta discutendo del “bene” e del “male”. Non esiste “la ragione” o “il torto”. Non ci sono “bianco” e “nero”. La divisione in categorie è solo una necessità della mente umana per meglio comprendere gli argomenti. Il pensiero ha bisogno di schematizzare e classificare per agevolare lo studio, l’apprendimento e la memoria. Preme, dunque, specificare che non si sta parlando di 2 fazioni in guerra. Semplicemente come accaduto, per esempio, ai grandi pensatori della storia della filosofia, le categorie all’apparenza contrastanti si pongono su piani opposti, ma in realtà potrebbero trovare il loro “Empireo” proprio fondendosi in un fantastico sistema.

Max Allegri è uno dei tecnici più pragmatici del calcio attuale. A lui, interessa il risultato. Così, anche venerdì scorso ha donato spunti importanti a sostegno delle sue tesi. Il toscano ha proposto molte tematiche ognuna delle quali avrebbe realmente meritato ampio spazio di analisi. Lo stesso vale per Lele Adani che, invece, è più avvezzo a un calcio diverso.

Innanzitutto, urge chiarire che quanto scritto sarà un’interpretazione del pensiero del tecnico bianconero e dell’opinionista reggiano. Non si vuole assolutamente ergersi a verità.

Il toscano ha rimarcato come si debba avvalorare anche quanto proposto dagli allenatori del passato. Da quanto emerge dal pensiero del livornese, è come se questo nuovo credo calcistico che vede nel cercare a tutti i costi il dominio delle operazioni, le redini della manovra, l’estetica, il ritmo e l’intensità abbia in parte superato alcuni aspetti negativi del passato. Non bisogna, però, estremizzare tale concezione, altrimenti si rischia di cancellare pure quelli che furono i dogmi positivi che i trascorsi ci tramandano. Non è un discorso retrogrado. Anzi, può essere molto utile soprattutto ai giovani tecnici, a coloro che li prepara e a quelli che ancora stanno conseguendo il celebre “patentino”.

Un’altra tematica fondamentale toccata dall’allenatore della Juventus è quella relativa alla divisione in schemi e numeri del gioco. Il calcio non è scienza perfetta e relativamente a questo pare difficile porre un’antitesi. Parte dell’evoluzione più attuale del “pensiero esteta” del pallone ha proprio la necessità di fondarsi su trame ben precise che si devono studiare durante gli allenamenti, apprendere nel migliore dei modi e riproporre nei 90 minuti di gioco. La partita di calcio, però, è un sistema complesso. Al suo interno sorgono variabili imprevedibili. Queste sono milioni ed è impossibile studiarle a tavolino ed analizzarle. Se il gioco è totalmente impostato e perfettamente preconfezionato, il rischio è che il sistema si inceppi quando incontra un imprevisto. Proprio in aiuto a tale situazione giungono i campioni. Questi sono dotati di una capacità innata di riuscire a comprendere immediatamente la difficoltà e di trovare la soluzione per superarla. Infatti, Allegri ha sempre sostenuto di volere all’interno della sua squadra uomini pensanti.

Tale concezione è chiaramente un’estremizzazione del concetto espresso dal toscano e conduce diritti al passaggio successivo. In una stagione, si possono attraversare varie fasi. Non essendo automi, ma esseri umani, i giocatori non sono soggetti all’ingegneria, ma alla biologia e alla psicologia. Hanno, quindi, bioritmi naturali e variano la loro capacità di prestazione durante il corso della stagione. Il “calcio moderno”, invece, li vorrebbe “sempre sul pezzo”. Ha necessità di calciatori che abbiano costantemente il piede schiacciato sull’acceleratore per governare il gioco e gestire le operazioni. Sotto questo aspetto, risulta davvero illuminante l’esempio che ha proposto lo stesso Allegri. Se si dispone di un’auto in riserva di carburante, non la si può spingere al massimo della velocità. Si dovrà cercare di condurla al distributore per, poi, riaccelerare. In caso contrario, il rischio è quello di restare appiedati. In sostanza, l’allenatore deve essere molto abile nel comprendere i momenti psicofisici della sua squadra per gestirli nel migliore dei modi.

Il toscano, poi, tocca un altro tasto fondamentale. Sottolinea come ogni squadra abbia un suo DNA. Vi sia, quindi, un codice, un modello che non si può modificare e sul quale ogni società calcistica si fonda e basa i suoi successi. La Juventus non è il Milan di Berlusconi. Il toscano cita pure il Bayern Monaco che da sempre prosegue in un mantra di calcio molto teutonico. Il Barcellona, invece, ha una concezione diversa. Ognuno, in sostanza, ha il suo modo di operare e un tecnico non può snaturarlo. E’ un concetto assolutamente fondamentale e tutt’altro che banale. Il livornese ha utilizzato sovente il verbo “scimmiottare”. Un celebre vocabolario della nostra magnifica lingua fornisce tale definizione: “Imitare maldestramente, in modo goffo e pedissequo”. Ecco, pare che il vocabolo utilizzato da Allegri sia perfetto per esprimere il pensiero che voleva proporre. Ognuno ha il suo stile e non può snaturarsi per imitare quello altrui. Il rischio è di originare solo una “brutta copia”.

Detto questo, “non è tutto oro ciò che luccica”. Adani ha assolutamente ragione quando rimarca la necessità di un calcio propositivo e coraggioso. Una squadra non può pensare di vincere rimanendo sempre nell’attesa del gioco avversario. Una compagine non può chiudersi, difendersi ardentemente e con grande capacità per poi sperare nella giocata estemporanea dei suoi campioni. Come detto, i calciatori sono umani e, come tali, non sono infallibili. Non posseggono costantemente la password per scardinare i piani di gioco avversari. Occorre facilitare loro l’opera cercando di giocare un calcio propositivo. Le grandi squadre hanno necessità di avere un’identità di gioco importante, di occupare perfettamente gli spazi e, soprattutto, di essere coraggiose.

Quello che emerge da questo fantastico dibattito è che è molto difficile trionfare con una sola filosofia. I sostenitori dei 2 pensieri hanno colto il punto in comune. Entrambi sanno che alcuni elementi della tesi hanno necessità di altri da ricercarsi nell’antitesi per riuscire a rendere al meglio. Non a caso, la Vecchia Signora targata Allegri ha mostrato anche gare per esteti dal palato sopraffino. Gli esempi più eclatanti sono la sfida di ritorno contro il Borussia Dortmund negli ottavi di finale della Champions League del 2014-2015, la semifinale di andata dello stesso torneo contro il Real Madrid o la sfortunata trasferta di Monaco nell’annata successiva. Rimane, poi, il diamante del 3-0 con il quale Dybala e compagni rispedirono in Catalogna un certo Leo Messi nel 2017 oppure il celebre 3-1 rifilato a domicilio a Ronaldo e soci nella trascorsa annata.