Martedì 3 marzo 2020, sapremo se l'Italia è davvero una nazione di pagliacci: perché tra qualche ora si vedrà se il figliolo di un ricchissimo imprenditore cinese possa dare impunemente del pagliaccio a colui che guida la Lega Calcio, ovvero uno dei comparti produttivi più rilevanti del sistema Paese.
È probabile, però, conoscendo la vasta platea di lacchè e servi sciocchi che popolano l'Italia, che nessuno rappresenti al giovane figlio di tal ricchissimo papà l'inopportunità di parlare di salute pubblica, di fronte ad un'emergenza che nasce proprio nella sua terra madre, quella Repubblica Popolare Cinese che, per stessa ammissione dei primi scopritori del virus, ha snobbato gli allarmi che avrebbero consentito un più pronto contenimento dell'epidemia planetaria in atto.
A nostro avviso, il giovane imprenditore cinese andrebbe ufficialmente redarguito dalle istituzioni di questo Stato, semmai ce ne siano, o quantomeno da quelle sportive. Ma temiamo che, in ossequio al principio supremo del "pecunia non olet", molti si guarderanno bene dal dire alcunché. Siamo d'altronde diventati una terra di conquista, luogo di scorribande di una pletora di ricchi in cerca di remunerative avventure, spesso caratterizzati da un'arroganza direttamente proporzionale alle proprie disponibilità economiche: come dimenticare gli insulti che gli imprenditori italo-americani hanno nel tempo riservato a tifosi, sia i propri che quelli avversari, agli allenatori e - rigorosamente solo in caso di sconfitta - persino agli arbitri?
Purtroppo, non siamo l'Inghilterra, dove il senso delle istituzioni, anche sportive, è tuttora vivissimo: siamo una piccola colonia della decrescita infelice, che ha disperato bisogno dei quattrini che vengono da Oriente e Occidente.
Però qualcosa emerge da questo spiacevolissimo teatrino: la Juventus vorrebbe giocare, com'è suo diritto, la partitissima con l'Inter con l'apporto del pubblico, l'Inter vorrebbe invece il vantaggio irripetibile di giocare a porte chiuse. Entrambe si trincerano dietro ragioni di interesse generale, i nerazzurri di salute pubblica, i bianconeri di immagine commerciale.
Ma come diceva l'ex dirigente federale Valentini, molto esperto di questioni sportive e calcistiche, le ragioni addotte dall'ex dirigente juventino Marotta sono poco credibili. In particolare, quella secondo cui giocare di lunedì sera, come avviene da anni soprattutto in Inghilterra, patria del football, non avrebbe permesso all'Inter di avere i propri tifosi residenti in Lombardia al seguito: a parte che probabilmente sono altrettanti i tifosi lombardi bianconeri che non avrebbero potuto partecipare, ma sicuramente lo spicchio di tifoseria destinato agli ospiti allo Stadium non avrebbe consentito l'esodo biblico che il dirigente interista sembrerebbe prefigurare.
In secondo luogo, l'ex dirigente juventino avrebbe sostenuto che giocare di lunedì avrebbe costretto al recupero di due partite di Coppa Italia di giovedì, con un danno irreparabile alla RAI: azienda pubblica che invece non ha battuto ciglio, come si addice a chiunque abbia effettivamente a cuore la salute pubblica e l'interesse generale.
Dunque l'intempestivo attacco del giovane imprenditore cinese, in un momento in cui tutte le altre squadre sembravano aver ottenuto un accordo, non ha davvero ragion d'essere, nei tempi e soprattutto nei modi. Probabilmente, vuole essere un tentativo di togliersi di mezzo un dirigente, che, tra i pochi in Italia, ha voluto, magari goffamente, difendere l'interesse nazionale, cioè l'immagine di una nazione in difficoltà, anche a livello economico, per un virus nato e diffuso proprio in Cina. 
Ma Paolo del Pino è italiano e quindi ha pensato in primis all'Italia: per questo come italiani, e come sportivi, lo ringraziamo per aver tutelato l'immagine del calcio italiano nel mondo, nonostante le troppe pagliacciate a cui abbiamo assistito in questi giorni di isteria collettiva e egoismo diffuso.