Cosa c'è di più forte dell'amore, in particolare della sua componente passionale, quella estrema, inafferrabile, che ci fa compiere gesti immensi e stupidaggini ancora più grandi. Per passione si possono fare migliaia di chilometri in condizioni poco consone alle abitudini umane di quotidianità occidentale, per passione si può mollare in un secondo una vita costruita con una quantità di sacrifici incommensurabile.

E si badi bene, non sempre c'è di mezzo una donna, o un uomo. La passione ci caratterizza come umani e ci sconvolge dentro con i metodi più strani, ci si può innamorare di qualcuno o di se stessi, o di un paesaggio che è lì e da nessuna altra parte sarebbe uguale. Si può dire sia il più speziato dei condimenti su quella pasta un po' scotta che è la routine.

L'amore, inoltre, inteso come sopra, è trasversale rispetto alle condizioni di vita, economiche e sociali, culturali, di genere, di provenienza. Innata, devastante, può colpire chiunque senza che si possa davvero scansarsi in tempo.

E quando colpisce un uomo potente il rischio aumenta perché, ovvio a dirsi, molte possibilità economiche comportano rischi maggiori in mani di uomo rapito dalla follia.

Chi non è mai stato nella splendida Verona, a guardare con gli occhi dolci quel balcone che aveva ed ha il fascino di una scenografia tra le più memorabili della storia? Quel balcone, quella pietra invecchiata nei secoli ed erosa dalla potenza dei giuramenti falliti sotto la sua ignara responsabilità, canta di un amore che sfidava persino gli affetti che per nascita sono più cari e che ha portato ad una piccola strage, tra veleni e lacrime.

C'è stato un pazzo, in un tempo ormai messo via dal nuovo calcio, che in quella passione si tuffò con tutte le scarpe, uscendone infine nudo e pieno di vergogna per gli sguardi degli altri pazzi che se l'erano scampata bella, fuggiti in barca all'assalto degli squali bianchi della giustizia sportiva. Un pazzo, un folle, forse davvero un fuorilegge, sicuramente uno schiavo dei suoi amori. Donne, droghe e la sua amata, ereditata da un padre amato e saggio, così diverso dal suo approccio alla vita.

Vittorio (nomen omen si potrebbe dire in parte visto che dopo di lui solo il nulla in bacheca), si innamorò di quella viola, se ne innamorò perdutamente. Non parlerò dell'uomo fuori, delle indagini a suo carico, di ogni capo d'accusa su di lui; e non certo per svicolare, ma perché la legge lo ha già punito e non c'è in me alcun'ombra di revisionismo, è stato quello che le carte dicono.

Quello di cui non si parla, dicevo, è l'amore che lui sicuramente aveva per quella squadra, un amore cresciuto con bei risultati e giocatori stupendi, che hanno fatto davvero la storia della maglia dal colore che amo. Vuoi sia stata l'adrenalina del vincere, vuoi il periodo favorevole alle grandi spese, vuoi che fosse davvero in fondo un tifoso romanista, poco importa, lui amò la Fiorentina. 

La sua era una squadra, non un'azienda, la sua era una liaison a ritmo di mare mosso, con picchi altissimi e cadute infime, fino alla fine, fino alla morte di una società gloriosa che oggi vediamo amministrata da grigi impiegati con la camicia stirata e inamidata e la giacca che odora di tabacco fine e risate posticce; non c'erano foulard in quel Franchi, non c'era profumo di marca, non c'era la comoda seduta, ma lo scomodo sudore, la foga, il tribolare che ci dava un'identità. E venire al Franchi era una fatica per chiunque, persino fuori dai confini italici che non superiamo da tempo ormai.

Vittorio non amò da un balcone, ma da una balaustra, da cui urlare la sua dichiarazione ad ogni pié sospinto, fino a srotolarla a mò di striscione quando la voce non bastava. E un campione assoluto come l'inimitabile Gabriel Omar Eduardo Batistuta non era passibile di news di calciomercato, chiuso nelle stanze presidenziali con le orecchie coperte dai lauti assegni staccati ogni anno dal grande pazzo capo.

"Batistuta è incedibile" firmato il presidente. Questo lo striscione che riassume il personaggio critico e criticatissimo che fu Cecchi Gori da Firenze. 

Altri tempi, altre possibilità. Amò la Fiorentina e mi piace pensare che per amore la uccise, benché di ben altre storie si parla. Il fallimento fu un'onta che resta incancellabile, non verrà mai dimenticato; ma nemmeno l'altro lato della luna, quello luminoso, può essere mai messo da parte, specie ora che sguazziamo in una mediocrità che crea rimpianti alla velocità della crescita industriale asiatica.

Sono felice di avere la Fiorentina in Serie A, sereno nel saperla stabile economicamente. Ma quanta maledetta nostalgia per quei brividi, per quei palcoscenici, per quei campioni, quando il viola era brillante di orgoglio, non scuro di tristezza.

La mia pasta scotta mi fa passare la fame, la passione scema lentamente, l'amore no, quello non muore. Ma quando posso apro la scatola dei pensieri e assaggio quei ricordi, dal sapore irrobustito dal tempo.

Come un buon vino.