Napul è a voce e' criature ch saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sule.

Cantava così, in una delle sue più note creazioni, il compianto Pino Daniele, per descrivere in un fazzoletto di poesia quella che era ed è la sua città, un mistero di musica, bellezza e colore. Napoli ha un potere, una storia sussurrata che si nasconde tra quei vicoli stretti e che viene spesso sommersa dalla irrefrenabile teatralità, dalle voci alte, le chiacchiere tra i balconi e l'ospitalità innata.

A Napoli ci sono più religioni, tutte rispettate allo stesso modo, tutte con una loro precisa importanza, personale e sociale. C'è il profano che nulla ha da invidiare la sacro, e questo forse succede solo lì. San Gennaro è divinità, Maradona non lo è di meno. Il mare è più di un paesaggio, è uno stato d'animo, è un sapore, "Chi tene o' mare cammina c'a vocca salata", ti segue ovunque tu vada; il caffè è talmente importante che lo si lascia sospeso al bar, perché anche chi non ha niente né ha sacrale diritto, perché la giornata di un facoltoso avvocato e di un pescatore, di un ingegnere o di un falegname si comincia col caffè. Nella memoria popolare resta forte l'immagine di De Filippo che spiegava come creare il cuppitiello di carta per non farne sfuggire l'aroma.

E religione è anche il calcio. A Napoli si tifa il Napoli, la domenica (un tempo, prima del calcio spezzatino) ci si ferma, non ha importanza cosa si stia facendo. La terra ha letteralmente tremato nei momenti più belli e importanti della sua storia, per una giocata, per un gol, per un palleggio a ritmo di musica al San Paolo, del Calciatore di cui lo stadio ora porta giustamente il nome. Napoli sa tremare come nessun altro posto, e tanta l'intensità delle gioie tanta è quella della depressione nelle sconfitte e nelle delusioni.
Sì, perché Napoli è anche una carta sporca, Napoli è problemi irrisolti da secoli, è ritmo lento quando si tratta di crescere. Ma non sta a me parlarne, non è neanche questo il luogo.
Nella commistione tra vita e calcio, un fenomeno meraviglioso e difficilmente ripetibile altrove è quello dei calciatori che si innamorano perdutamente della città e dell'ambiente fino a volerne fare parte per tutta la durata di una carriera, e anche dopo. E c'è di più. Perché non sono più ospiti, non sono più turisti o "stranieri" che si prendono una vacanza. Diventano, irrimediabilmente e profondamente, napoletani.
Impossibile non citare el Pibe, il miglior calciatore della storia, che era già un fenomeno prima di arrivare al Napoli, avendo dimostrato le sue qualità a Barcellona, ma che con Napoli ha creato un rapporto indissolubile che è andato da subito al di là dei successi sportivi. Maradona era napoletano, chi si dimentica il video storico in cui cantava e ballava al ritmo di je so pazzo, in mezzo ad esempi di napoletanità purissima.
E se la sua nazionalità argentina, il sangue caldo di quel popolo, poteva lasciar spazio ad una facile similitudine caratteriale, più sorprendenti sono i recentissimi casi di Mertens e Koulibaly, due calciatori che arrivati a Napoli da due realtà completamente diverse sono presto diventati veri e propri napoletani.
Fa effetto vedere Ciro e KK cantare canzoni della tradizione, entrare così a fondo nella realtà del luogo, sentirsi parte di una cultura che di nascita non gli appartiene. Per chi conosce Napoli, per chi ne ha vissuto almeno un briciolo di sensazioni, non sarà certo una sorpresa.
Chi va a Napoli con il giusto spirito, chi la sceglie, viene adottato e che venga dall'Africa, dalla Cina o dalle Americhe altro non è che un napoletano. Ed è una sensazione meravigliosa, indescrivibile. È calore e senso di partecipazione.
E ci si lascia prendere dall'appocundria, che come diceva Pino, te scoppia ogni minuto m' pietto. 
Napoli è tante cose, mille colori e mille paure. E soprattutto, per chi non vuole sentirsi napoletano, resta un mistero.
Perché o sape tutto o munn, ma nun sanno a' verità.