È da molto tempo che non guardavo una partita di pallone, della mia Viola, a prescindere dalla chiusura forzata causa pandemia, e di conseguenza il sangue mi si è un po' svuotato da quell'elemento che ne è stato spesso protagonista, il calcio.
Ieri ho deciso, dopo una giornata un po' stressante, di dare un'opportunità al match di serata, tra Fiorentina e Lazio; forse volevo ricordare quelle sensazioni, forse volevo immergermi di nuovo nella freschezza delle acque del giuoco più amato dagli italiani e non, dell'industria più redditizia e controversa nello sport, per combattere la calura estiva giunta anche qui in Inghilterra, dove vivo.
Qui manca un po' la chiacchierata da bar, le lamentele, la filosofia spicciola del 4 4 2, nel mio nuovo piccolo mondo non sento la foga dei milioni di allenatori che viviamo nel bel paese. 
Accendo il computer, con poche speranze considerato l'andazzo di questo campionato per la mia squadra, e mi allungo sul letto, abituato (questo sì, ancora) all'idea di potermi addormentare davanti al deludente spettacolo che ahimè da qualche anno a questa parte gli uomini col giglio al petto regalano al pubblico.
Con grande sorpresa vedo invece una fiorentina frizzante, sicuramente confusa ma vogliosa e attiva, intensa nel cercare la via della rete. Pochi tiri, as usual, ma qualche trama discreta e un coraggio inaspettato a fronte di una squadra tecnicamente molto più attrezzata e sulla carta difficilissima da battere. 
Un uomo su tutti, alla soglia del tramonto della carriera, ha insegnato calcio in campo, mostrando sia la meravigliosa tenacia dei "vecchietti" del vecchio calcio, sia la pochezza del livello del nostro campionato, che infatti in Europa non porta mai granché, finali juventine a parte.
Franck prende in mano le redini e cerca di proporre idee, seguito senza classe ma con volontà apprezzabile dai suoi mediocri compagni. E quando capisce che il suo altruismo non gli frutterebbe altro che qualche commovente trafiletto sui giornali riguardo la sua umiltà, si inventa dal niente un gol meraviglioso, che porta in grembo tutto il repertorio dei campioni che si stanno estinguendo.
Serpentina, controfinta, botta sul primo palo. Meritatamente in vantaggio. La partita tiene buoni ritmi, sembra possa davvero essere una mini svolta per i ragazzi di Iachini. Ma la pugnalata era dietro l'angolo, e mentirei se dicessi che non me l'aspettavo.
Dopo una gestione dei cartellini cervellotica, da entrambe le parti, il pessimo è confusionario Fabbri si mostra deciso sulla caduta plateale di Caicedo. No dubbi, no var, rigore. In presa diretta sfido chiunque a non fischiarlo, ma se abbiamo conquistato con fatica l'ausilio della tecnologia perché non usarla?

Oggi, per pura e ingenua curiosità (resto sempre interessato alle letture sui quotidiani italiani), vado a leggere cosa ne pensano le menti del giornalismo sportivo del fattaccio.
Ebbene sì, una levata di scudi sulla forza morale dei biancocelesti, mai domi agli occhi di tutti, e l'episodio del rigore liquidato così: "Caicedo furbo, Dragowski ingenuo".
Ora, io ho amato visceralmente il calcio nei miei anni andati, in modo specifico ho amato e amo la Fiorentina, la compagine che mi ha accompagnato sin da piccolo in realtà diverse in cui ero l'unico a sostenerla, non essendo nato né vissuto a Firenze. Ma non sono più in vena di urla al complotto o simili, non fosse altro perché mi sono stancato di discussioni futili.
Quindi mi soffermo sui commenti, sulle parole, sulla gestione delle argomentazioni da parte di chi, nel ramo sportivo, ha il compito di informare e di farlo bene, per un tacito giuramento alla professione. 
Il calciatore laziale è in caduta, il portiere resta fermo, fa un mezzo passo e, mentre l'attaccante si distende al suolo come fucilato dagli spalti, gli tocca un punto imprecisato della gamba. Cosa vuol dire definire il biancoceleste furbo? Come direbbe il buon Verdone dei bei tempi "in che senso?".
Gettarsi a terra e ingannare una decisione arbitrale è furbizia o scorrettezza? E se anche volessimo rispondere la prima, può questa furbizia essere considerata una qualità?
Era una partita di calcio, in ballo ci sono tre punti che possono decidere una stagione, ma non è certamente un caso di stato, i tifosi viola hanno acceso le tv sapendo di perdere e pochi forse si sarebbero immaginati di rimanerci male per la sconfitta. Nessuna tragedia. 
Ma ne viene fuori un tema culturalmente molto importante, uno specchio limpido di una società che va in una direzione oscura, in cui per sopravvivere non serve essere caparbio, intelligente, dotato e impegnato. Ma furbo. Solo questo. 
Siamo un paese con una quantità di problemi immane, che il recente virus ha solo sottolineato a penna rossa, non scopriamo niente di nuovo, e una partita non è altro che novanta minuti di distrazione dalle magagne quotidiane. 
Ma una riflessione va fatta, e con umiltà è rispetto, con la giusta dose di oggettività. Chi sono i nostri eroi adesso? A chi vorremmo rubare le capacità, chi vorremmo imitare diventando grandi? Non più figure maestose che con sacrificio hanno ottenuto grandi risultati, no, ma quelli che arrivano dalle retrovie, dalla scorciatoia, la strada comoda. I furbi.
Immagino una scuola calcio, bimbi innamorati di quella sfera che rotola e, imprevedibile, regala emozioni e sudore buono, sapido, sudore di gioco e spasso. E immagino i pulcini guardare i grandi e pensare "io voglio diventare così".
Ma non più Totti, che resta a vita nella sua città per amore, non più Maldini, non più il Bati che giocava con le caviglie tritate pur di non deludere sé stesso e il pubblico. Ma i furbi, chi ottiene senza faticare, chi studia come accorciare la via al successo, piuttosto che scriverla da sé. 
Caicedo non è stato furbo, ma truffaldino, Dragowski non è stato ingenuo ma leggermente scomposto, non sono personaggi di Esopo ma calciatori, che lavorano per il pubblico pagante. È andata così, e al fischio finale poche cose importano. 
Ma non giustifichiamo la scorrettezza chiamandola con un altro nome.
Mi perdoni il Machiavelli, ma io, il principe laziale non lo giustifico affatto.