Sanguigni, fantasiosi, spesso irragionevoli e diversissimi tra loro seppur legati da un seme indistruttibile, la toscanità. La classifica finale dello scorso campionato ci ha consegnato una statistica interessante, vedendo sulle panchine delle prima quattro squadre tre toscani più l'outsider Di Francesco, pescarese e romano d'adozione.
Come detto parliamo di personaggi molto diversi tra loro, per idee di gioco e anche come presenza scenica, ma la scuola toscana si è rivelata dominante in questi ultimi anni e non può essere totalmente un caso. Andare ad indagare sulle motivazioni rischia di essere complesso e fuori dalle possibilità di un sito di calciomercato ma andiamo a vedere chi sono i nostri uomini.

Max Allegri, per iniziali e per classifica, è sicuramente il primo della lista. Allenatore pluridiscusso, arriva sulla prestigiosa panchina bianconera dopo un esonero al Milan, cosa non frequentissima. Al primo campionato con i rossoneri si era aggiudicato lo scudetto, poi le cose col tempo sono andate meno bene e l'acciughina si è ritrovato a essere messo alla porta dall'allora vulcanico Berlusconi, che tanto amava scegliere la formazione. Quando è arrivato alla Juve dopo gli anni del dominio creato da Conte le contestazioni (perdonatemi l'involontario gioco verbale) sono state accese, i tifosi non vedevano il buon Max all'altezza della situazione. 
Ad oggi però Allegri può dire di aver fatto meglio di Conte, avendo continuato a vincere in Italia (avversari dove siete?) e raggiunto persino due finali di Champions, con esito noto. Questo doveva (potrebbe) essere l'anno della cosacrazione, con l'arrivo in estate del più forte giocatore del mondo l'obiettivo dichiarato era vincere tutto.
La coppa Italia ha messo in mostra la distrazione e le debolezze, seppur poche, di questa squadra, e annullato le possibilità di quel triplete tanto agognato. In Champions la situazione non è idilliaca ma non è certamente finita; aspettiamo il ritorno.

Maurizio Sarri, cuore napoletano ma ossatura da toscanaccio, ha incantato per anni qualsiasi amante del bel gioco. Con l'Empoli e una rosa non proprio di prim'ordine ha mostrato doti tattiche fuori dal comune, attirando le attenzioni dei grandi club. Se lo aggiudicò proprio il club della città natìa, con De Laurentiis innamorato del suo modo di far girare le squadre.
Anni magici al Napoli, con il culmine lo scorso anno in una stagione che ha quasi riportato lo scudetto sotto il vesuvio e, soprattutto, lo ha quasi tolto alla corazzata bianconera. Il finale è storia, le liti col presidente lo portano via, oltremanica, a tentare di conquistare un altro calcio.
Ed era partito anche bene, con vittorie convincenti e una squadra che tornava a vedere calcio, dopo gli anni difensivi di Conte. Il neologismo Sarrismo diventa sarriball. L'idillio finisce presto, con alcune cocenti delusioni e uno score non all'altezza degli obiettivi iniziali; le ultime cronache raccontano di una stretta di mano mancata al suo idolo Guardiola e una tuta strappata per un giocatore che rifiuta il cambio.

Veniamo a Lucianone Spalletti da Certaldo, personaggio antipatico anche allo specchio, antipatico per vocazione. Salito alla ribalta per anni di bel gioco all'Empoli e all'Udinese, si trasferisce alla Roma dove ottiene soddisfazioni e secondi posti, ma senza riuscire a riportare quello scudetto che la società gli chiedeva, specie in anni in cui non c'era la juve a combatterlo. Si trasferisce in Russia dove come sempre vince quello che si può senza andare oltre i limiti.
Tornato nella capitale si fa ricordare più per aver accelerato e rattristato l'addio al calcio di uno dei migliori giocatori italiani di sempre che per meriti sportivi. L'Inter decide di puntare su di lui e il primo anno è nei ranghi giusti, bisognava tornare in Champions ed è arrivato il quarto posto. La stagione in corso però è abbastanza sotto le aspettative e l'inter è sotto la lente di ingrandimento più per le sozzure social di Wanda che per risultati. La scenata di ieri al gusto di "e allora incrocio le braccia" fa più tenerezza che rabbia, ed è intelligenza pura a livello di marketing per chi sta perdendo le redini del tifo nerazzurro.

Talenti più o meno esplosi in carriera, ma ora in un periodo grigio, quando non nero. 
Da buoni toscani non fatico a credere che si riprenderanno, basta solo che non esagerino a diventare permalosi.
Eh, una parola.