L'andata della storica semifinale tra Fiorentina e Atalanta si è chiusa con uno scoppiettante pareggio, un 3-3 che riscatta l'altra partita sul tabellone conclusasi senza acuti e che rimanda ad alcune riflessioni interessanti.

Il fatto che si siano qualificate squadre meno abituate a vincere, eliminando le big, lasciava presagire uno spettacolo più blando; nell'epoca dei diritti televisivi e dello show business non c'è da dubitare che l'eliminazione di Roma, Napoli, Inter e Juve abbia spaventato i vertici delle tv dal punto di vista meramente economico, le quattro squadre sopracitate coprono sicuramente una fetta di tifo impressionante e perderne gli ascolti si è palesato come un incubo terribile ai loro occhi.
Eppure, e non lo dico da tifoso di parte, non fa male riavvicinare il resto d'Italia a questa competizione, che può dare un'occasione di rivalsa a chi, come detto, non ha chiare attitudini alle vittorie.
Beh "l'esperimento" che il caso ha voluto portare avanti ha dato frutti interessantissimi, specialmente nel match più insolito per una semifinale, quello di stasera tra viola e orobici.

Le due squadre si sono date battaglia, l'intensità è stata altissima e la sfida ha mostrato qualità, oltre che quantità. Delizioso il fatto che si sia chiuso senza polemiche strazianti, nonostante un altro grossolano errore arbitrale che ha portato all'ammonizione del diffidato Hateboer per un fallo di mano inesistente. L'ironia si scatenerà senz'altro nei prossimi giorni, ma il timore che ho avuto in quel momento pare (spero) rimarrà infondato.
Applausi alle due squadre, belle e giovani, dunque, e gioia per il messaggio che passa: per lo spettacolo non è necessario ci sia di mezzo una big.

Detto ciò la motivazione che mi porta a scrivere è un'altra, di ben diverso tenore. 
Nel prepartita, come previsto, i tifosi di casa hanno pensato una coreografia per ricordare, come sempre ma con maggiore visibilità, il capitano sempiterno della loro squadra, il ragazzo che quasi un anno fa ci lasciava in maniera silenziosa e devastante.
Bellissimo sentire cantare tutto lo stadio, i brividi sono incontrollabili alla comparsa del suo nome in gigantografia e dello striscione della curva: "Il tuo ricordo scolpito nella mente e la consapevolezza che niente potrà mai cancellarlo".
Resterà incancellabile, quel ricordo, nitido, netto. L'intensità di quel sentimento non sfugge a nessuno dei sensi, qualcosa si è fermato allora per ripartire con lentezza, con un diverso concetto di tempo, come se fossero in crisi storia e filosofia della realtà calcio. Quasi un anno se n'è andato e tante cose sono cambiate ma su quel prato, tra quei giocatori, "ogni domenica, ogni mercoledì, ogni allenamento" (Chiesa dixit) aleggia un dolore, un colore mistico di forza indomita, un messaggio velato che pare sussurrare stimoli ed energie alle teste di quei ragazzi diventati uomini di colpo di fronte ad una tragedia che li ha privati della mantella divina del personaggio-calciatore e li ha vestiti di umanità, di un velo che, trasparente, ne facilita l'empatia.

La Fiorentina sembra, davvero spesso, giocare in dodici. Una delle caratteristiche che maggiormente ha irritato il tifo della Fiesole negli anni è stata quella mancanza di verve, di agonismo, di spirito di sacrificio che porta a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà; nemmeno ai tempi del bellissimo gioco di Montella e de "il pallone è quello giallo", quando al Franchi si davano spesso e volentieri lezioni di calcio, c'era questa energia. Era una squadra bella e vanitosa, che spessissimo si perdeva nello specchio in cui le piaceva sguazzare.

Ora quella classe non c'è, non c'è nemmeno quel talento diffuso, ora circoscritto a pochissimi. Ma non mi è mai sembrato come ora che le partite possano davvero essere vive fino all'ultimo secondo. E se è da sciocchi e romantici riportare questa bellissima furia agonistica al pensiero di Davide poco importa, ché sciocchi e romantici spesso vedono la luna di giorno. E sorridono.

Non si sa se vinceremo questa coppa, lo spero da tifoso ovviamente e le possibilità non sono mai stato così alte negli ultimi anni. Ma l'orgoglio che provo nel saluto al capitano di fine partita, nella corsa instancabile di Fede, nella sua cavalcata imperitura verso la porta e verso la curva ad ogni fine sfida mi restituisce ogni momento di sconforto che ho vissuto nella mia vita da cuore viola.

Comunque vada, brividi. E proviamoci, in dodici si può.