In questi giorni, a causa dell’ennesimo efferato omicidio perpetrato da un essere umano di genere maschile ai danni di uno di genere femminile, si parla come causa di patriarcato, di cultura patriarcale nella quale gli uomini detengono il potere in ogni contesto, soprattutto in quello famigliare, potere che, a detta di molte donne, esercitano continuamente in modo violento.

Il momento è brutto, è, per ragioni diverse, per le famiglie e gli amici di entrambi orribile, la scomparsa di una ragazza di poco più di vent’anni è una tragedia, il fatto che sia successo per mano di un suo coetaneo che diceva di amarla rende la cosa agghiacciante, da non credere.
Affrontare certi discorsi ora è difficile, forse poco educato, il silenzio probabilmente sarebbe di buon senso, ma ritengo che certe questioni se non vengono trattate nel modo corretto, quando la ferita è aperta, si rischia di farle cadere nel dimenticatoio e di non far rimarginare completamente lo squarcio, di rischiare seriamente che molto presto qualcuno ne provochi uno ancora più grande e doloroso.

Ho comunque deciso di evitare di parlare del singolo caso, lo fanno già in troppi, spetta alla giustizia scoprire l’intera verità e punire, secondo le leggi italiane, il colpevole.
Quello che voglio fare è analizzare una società sempre più malata di perdita di valori, sempre più improntata sull’apparire che sull’essere, sempre meno disposta al sacrificio, sempre meno propensa ad accettare i tradimenti, i NO, le sconfitte, gli abbandoni: tutti vogliamo essere eternamente al centro dell’attenzione, sul gradino più alto del podio, nessuno ammette le proprie mancanze, i propri errori, pochi fanno qualcosa per gli altri perché veramente sentono di volerlo fare, il vantaggio personale è il fine ultimo di parecchie azioni. Questo vale grandi e piccini, per gli uomini e per le donne, per un’intera razza umana che utilizza il più delle volte progresso, evoluzione e libertà non come punti d’incontro ma bensì come mezzi per la separazione, per il conflitto.

Definire oggi la società italiana e in generale quella occidentale patriarcale mi sembra un po’ anacronistico. In un mondo come quello europeo e americano dove per fortuna le donne hanno diritto al voto, allo studio, al lavoro, all’aborto, al divorzio, a condividere non solo economicamente ma in tutto e per tutto la vita di coppia, l’educazione e la gestione dei figli, dire con certezza che l’uomo è il capo assoluto, il padre padrone, non dà, a mio parere, l’esatta illustrazione di ciò che viviamo. La mia sensazione, e mi auguro di sbagliarmi, è che si voglia ingiustamente trovare il male anche dove non c’è, che ci sia in atto un tentativo di far passare la definizione maschio uguale a criminale.

Diciamo la verità, dagli anni ’70 del secolo scorso, da quando il movimento femminista, spalleggiato da una politica progressista, è riuscito finalmente dopo millenni a cambiare una parte di mondo, la qualità della vita delle donne è progressivamente migliorata, a discapito però, e questo è innegabile, della vita di coppia, che fino a quel momento si era basata su equilibri, o se meglio credete disequilibri, che improvvisamente sono cambiati, lasciando gli uomini interdetti, facendoli più deboli, vulnerabili, impauriti, dubbiosi, incapaci, privi di quelle sicurezze che li faceva sentire UOMINI.

I dati dicono che nelle società del nord e dell’est Europa dove da (quasi) sempre esiste la parità dei sessi o il matriarcato famigliare (opposto del patriarcato), i femminicidi, ossia qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, sono due o tre volte superiori a quelli italiani. Questo dato non significa che dobbiamo stappare bottiglie di champagne a festa, ma che forse il vero motivo della violenza sulle donne, che in alcuni casi sfocia addirittura nell’uccisione, non è da ricercare nel cosiddetto PATRIARCATO.

Cos’è allora che rende alcuni, forse tanti uomini così cattivi, così violenti, così vogliosi di fare del male a chi dicono di amare?
Può l’amore trasformarsi improvvisamente in odio?
Sicuramente entrambi i sentimenti sono legati da un profondo interesse verso qualcuno o qualcosa, l’indifferenza non porta ossessione, rabbia, violenza.

Io credo che nei casi di violenza sistematica che può portare fino all’omicidio siamo di fronte a soggetti disturbati, a persone con profondi disagi interiori, con dolori, drammi mai elaborati che costringono alla rabbia, al massacro come sfogo di un’insopportabile insofferenza verso il NO, verso il tradimento, verso l’abbandono, verso la sconfitta, verso se stessi. Persone non padrone della propria vita, insofferenti alla propria vita che sfogano lo schifo verso se stessi togliendo la vita a qualcun altro autoconvincendosi che sia la causa delle loro sofferenze. Sofferenze che invece in molti casi provengono da situazioni interiori irrisolte.

In un mondo pieno di guerre, la peggior guerra è tra uomini e donne, perché l’unione dell’uomo e della donna deve dare continuità, serenità, stabilità a questo povero pianeta malato, non deve contribuire a peggiorarlo, a velocizzarne la fine.
Non è puntando il dito contro tutto l’universo maschile che si risolve il problema, non è generalizzando che si fa nascere una società migliore, non è facendo diventare il rapporto tra i due sessi una disputa come quella tra fascisti e comunisti che finiranno le violenze.
Le violenze non finiranno neanche incolpando tutti, a partire dallo Stato, passando per la famiglia, arrivando alla scuola.

Nessuno Stato è indifferente alla morte per uccisione di tante donne, nessun genitore educa il proprio figlio maschio a far del male alle donne, nessuna scuola insegna la violenza.
Uomini contro donne o donne contro uomini: mai più!