Poco fa sono state pubblicate le decisioni del Giudice Sportivo relative alla 28esima giornata della Serie A italiana di calcio e qualcuno di mia conoscenza è rimasto spiacevolmente sorpreso dalle sole quattro giornate di squalifica più un’ammenda di diecimila euro all’ormai ex allenatore del Lecce Roberto D’Aversa.

Quello che ha anche stupito parte dei miei conoscenti appassionati di football è la sanzione inflitta al giocatore del Verona Henry a causa del suo comportamento provocatorio negli ultimi minuti di gara e alla fine della stessa.
Le immagini che circolano in questi giorni si focalizzano sul gesto del coach dei salentini, che al fischio finale parte dalla sua postazione nell’area tecnica e si dirige a passo veloce verso un gruppetto di contendenti in scarpette chiodate che accennano ad un inizio di rissa, e una volta arrivato a destinazione tira una testata al povero Henry senza che lui possa accorgersene.
Un’esecuzione, un’azione vigliacca e delinquenziale che poteva, se fosse andata completamente a segno in maniera violenta e in un punto vitale, causare una tragedia.
Fortunatamente nessun danno serio per l’atleta francese, ma in quarantotto anni di vita non ricordavo di aver mai visto qualcosa del genere su un campo della massima serie del nostro Belpaese, questi sono fatti che di solito avvengono in Sud America.

Poi, pensandoci bene, mi sono ricordato del pugno di Materazzi a Cirillo sotto il tunnel di San Siro, mentre tornavano negli spogliatoi che ruppe il labbro a quello che all’epoca era uno dei difensori della Reggina se non erro.
Altro fatto più da ring che da prato verde fu l’aggressione dell’allenatore della Fiorentina Delio Rossi al suo giocatore Ljajic, che sostituito insultò il suo trainer.
Le botte si sfiorarono probabilmente in un Inter – Juve o Juve – Inter di pochi anni fa quando il traditore Antonio Conte, vestito di nerazzurro, uscendo dal campo, fece il dito medio ad Agnelli, Paratici e Nedved. Le tribune fecero fortunatamente da barriera.

Il calcio, gli sport di squadra in generale sono pieni di casi come quello D’Aversa – Henry. Nel basket americano due leggende come Dennis Rodman e Draymond Green oltre ad essere famosi per le vittorie lo sono anche per i cazzotti dati a compagni in allenamento e ad avversari in partita con conseguenti multe e squalifiche. Andare a Detroit contro i Pistons negli anni ’80 e ‘90 era un incubo per tutti: erano botte dentro e fuori il parquet.
L’hockey su ghiaccio è sinonimo di violenza, ogni partita è buona per azzuffarsi.
Leggenda popolare narra che il tennis sia per persone perbene, educate, rispettose dell’arbitro e degli avversari, accettanti della provocazione e della sconfitta. Vi faccio qualche nome, se lo conoscete fate viaggiare la memoria e poi ditemi: McEnroe, Connors, Fognini, Kyrgios, Paire.
Il tennis ha la fortuna di avere una rete di mezzo che divide, di non essere uno sport di contatto, di non avere, tranne in Davis, un vero tifo che fa salire l’adrenalina e di non avere un proprietario, un presidente, una dirigenza che stressano ogni minuto pretendendo la vittoria.

Lo sport dovrebbe tirare fuori il meglio da ogni essere umano, ma quando è competizione fa emergere a volte il peggio di ognuno di noi. Le provocazioni infastidiscono, le sconfitte ancor di più, e ogni persona reagisce a modo suo, perché in quell’attimo la razionalità diventa un vocabolo assente nel dizionario personale.
La mia opinione è che D’Aversa non si è comportato da uomo, che avrebbe dovuto eventualmente affrontare Henry faccia a faccia dandogli la possibilità di difendersi, di ribattere, ma le provocazioni non portano mai a nulla di buono ed è giusto che non rimangano impunite, come a mio parere ha giustamente fatto il Giudice Sportivo condannando gli sberleffi del veronese.

Attenzione, la violenza è sempre da evitare, non è mai corretta, ma per evitarla, a volte, basterebbe non andare a cercarla.