Chissà se Giovanni D’Anzi, milanese di genitori pugliesi, che nel 1934 scrisse testo e musica di quello che è considerato l’inno di Milano, era milanista o interista?
Le mie ricerche su internet non hanno dato risposta all’interrogativo sul tifo dell’autore di O mia bela Madunina, non ho trovato nulla che riconducesse ai colori della bandiera da lui sventolati.
La famosa canzona del D’Anzi parla anche di fratellanza, ma diciamo la verità, tra interisti e milanisti, soprattutto il giorno del derby, non c’è traccia.

Ci chiamiamo, ci chiamano cugini, ma si sa, le peggiori lotte d’odio nascono in famiglia, e come (quasi) tutti sanno la storia di rivalità tra Inter e Milan nasce con la fondazione dei nerazzurri nel 1908 ad opera di un gruppo di soci dissidenti del club rossonero.
Parenti serpenti, più stretta è la parentela tra i litiganti, maggiore è l’accanimento reciproco.

Ho amici come me interisti che riversano il loro “odio calcistico” principalmente nei confronti dei bianconeri di Torino e da sempre mi chiedo il perché, è un po’ come se i supporters del Torino sentissero come primo nemico sportivo per esempio il Padova o l’Udinese.
La partita con la Juve è una partita più o meno come tante altre, quella con il Milan no. E’ come il Palio di Siena, chi vince è il padrone della città per sei mesi, tutto il resto non conta.

Nicola Berti, idolo dei tifosi della Beneamata della mia generazione, ha sempre raccontato che ai suoi tempi, alla fine degli anni ’80 inizio ’90, nelle settimane precedenti e in quelle appena successive al derby, se incontrava i giocatori del Milan nei locali milanesi, non li salutava.
Il derby è come quelle partite all’oratorio tra ragazzini di compagnie rivali, quelli più fighettoni contro quelli magari più sfigatelli: se non ci si prende a calci e a parolacce, non è partita vera.

Oggi, il giorno del derby della Madunina, a parte gli incivili sulle balaustre del secondo blu e verde che sputano e lanciano giù di tutto, si va allo stadio mano nella mano con il tifoso avversario.
I giocatori la sera prima e quella dopo vanno a cena insieme, e se io mi imbestialisco perché un ragazzotto arriva nel bar interista con la maglia del Milan (con sfottò compreso scritto a caratteri cubitali sulla parte posteriore), tutti mi guardano come se fossi matto.
Viviamo nell’ipocrita epoca del politicamente corretto, del tutti uguali, tutti amici, tutti fratelli, e ci vogliono imporre che anche chi indossa il rossonero è uguale a me che indosso il nerazzurro.

No signori, i colori esistono e per fortuna che esistono, altrimenti sarebbe un mondo in bianco e nero, e permettetemi una battuta, vista la condotta dei bianconeri della Continassa, meglio un mondo a colori, e che ognuno scelga e difenda il suo, se vuole rifiutando, senza violenza, quello degli altri.

Viva i tempi in cui Nicola Berti tirava le pallonate contro i giocatori del Milan durante il riscaldamento nella palestra condivisa di San Siro.
Viva quel giorno di primavera di fine maggio 1993, quando con un amico che guidava lo scooter siamo scappati tra le bancarelle della festa di paese sventolando la bandiera dell’Olympique Marseille, rincorsi da milanisti infuriati.

Viva il calcio vero, il tifo vero,
viva il derby della Madunina tuta d’ora e piscinina.