In un noto talk show televisivo del giovedì sera sono ormai diventati resident diversi esponenti del mondo musicale Trap spesso affiliati alle cosiddette baby gang (bande giovanili), ai quali viene dato settimanalmente spazio per spiegare la loro arte e il motivo per cui questa parla di droga, scippi, rapine, violenze di ogni genere contro cose e persone non come se fossero il male ma al contrario il bene, la giusta via per un (loro) mondo migliore.

Forse la cosa che ha portato alla ribalta mediatica questi gruppi armati delinquenziali che girano per le città italiane cantando frasi stonate e a mio pare perseguibili dalla legge è che la maggior parte dei loro componenti, la quasi totalità, è di origine nord africana, si tratta di tunisini, marocchini, egiziani di seconda generazione (italiani a tutti gli effetti per la legge).

Probabilmente parlare di figli di stranieri fa odiens, soprattutto se questi italiani figli di non italiani invece di comportarsi in maniera esemplare rispettando lingua, tradizioni, leggi morali e scritte come Jannik Sinner (che potrebbe senza colpe sentirsi più austriaco che italiano), passano le loro giornate “sputando” sul Paese che gli ha dato un’identità, la possibilità di avere una casa, che gli ha concesso il diritto di studiare, di lavorare e di essere curato se ammalato.

Il male piace, il male attrae, il male raccontato in TV porta tanti spettatori e di conseguenza pubblicità pagata a caro prezzo per riempire le casse degli editori e le tasche dei conduttori. Il male è diventato l’oggetto del desiderio di chi fa l’informazione il suo mestiere: radio, giornali, internet, TV, ovunque si sguazza nel male.

Io personalmente non darei un solo secondo di attenzione, di spazio, di notorietà a gente che vive disprezzando chiunque, a persone che fanno del REATO una RAGIONE di VITA. Io opterei per l’indifferenza, che è (quasi) sempre la miglior medicina per curare comportamenti sbagliati, dannosi. Io però faccio un altro lavoro, non lavoro nel settore dell’editoria, sono solo un cittadino che preferirebbe vedere altre facce, sentir parlare di altri comportamenti, ma anch’io, pur contestando, confesso di guardare spesso i programmi che marciano sui drammi, sulle offese, sui crimini, sulle cose vomitevoli della società in cui vivo, in cui viviamo.

La riflessione che ho fatto ieri sera è stata: è la prima volta che in Italia la musica incita alla violenza, all’uso di sostanze stupefacenti, al vivere contro la legge?
Ho pensato ai miei anni giovanili, a cosa girava in radio, sui vinili, sulle musicassette, sui CD quando ero adolescente, e subito mi è venuto in mente quello che oggi è considerato da tutti un mito, quello che oggi riempie stadi portando in prima fila famiglie, ma che quarant’anni fa ha contribuito a creare con i suoi testi una generazione di alcolizzati, di tossici, di uomini poco inclini al rispetto delle donne, di DISADATTATI.

Ah, appena ti prendo da sola ti taglio la gola

Ieri ho sgozzato mio figlio, credevo fosse un coniglio

I bambini dell’asilo stanno facendo casino, ci vuol qualcosa per tenerli impegnati, ci vuole un dolcino, ci vuole uno spino

Generazione di sconvolti che non ha più santi né eroi, siamo solo noi

Penso al mio povero fegato, fegato spappolato

Dieci gocce di valium per dormire meglio, dieci gocce di valium per dormire sul serio

Coca cola a chi, coca cola a chi non vespa più e si fa le pere

Non mi vorrai far credere che una deviazione neanche…sì potrebbe essere tua figlia…quante volte ci hai pensato dai, a me lo puoi dire sai

Portatemi Dio, lo voglio vedere, gli voglio parlare, gli voglio raccontare di una vita che ho vissuto e che non ho capito

Queste sono alcune frasi di canzoni del primo Vasco Rossi, del Blasco anni ’80, quello arrestato per detenzione di grosse quantità di cocaina, quello che perse il caro amico e chitarrista Massimo Riva morto per overdose di eroina, quello che sicuramente NON predicava di bere acqua, fare sport e andare a letto alle 22.30 il sabato sera dopo aver letto i Vangeli.

I punk nella Londra degli anni ’70 ce l’avevano con tutti, soprattutto con se stessi, si facevano del male, non si lavavano, si drogavano, cantavano e suonavano porcheria, il loro stile di vita era lo sporco, un’esistenza fatta di immondizia.

Il Rap negli anni ’80 a New York e Los Angeles era sinonimo di violenza, di scontri tra bande rivali, era il modo dei neri per dire esistiamo. Un modo sbagliato, volgare, criminale, ma attraverso parole e musica, oltre a colpi di pistola che hanno insanguinato interi quartieri.

La musica è da sempre simbolo di identità, di pensiero, è forse il mezzo di comunicazione più rapido e penetrante, la più grande filosofia di vita inarrestabile.

Non fermiamo la musica, fermiamo il marcio che c’è dietro la musica