NOTA della redazione per i blogger: per il mese di febbraio, sono stati sospesi i voti agli articoli, ecco perché tutti i blogger ricevono una bassa valutazione con il voto 1; vogliamo dunque chiarire che non è un giudizio negativo al pezzo qui proposto. Grazie per continuare a scrivere su VxL.



Phil Foden era poco più di un bambino quando nel 2017 lo vidi giocare per la prima volta, aveva 17 anni il ragazzo cresciuto a 11 chilometri da Manchester al suo esordio in prima squadra con la maglia azzurra degli Sky Blues nei quali ha sempre militato fin dai primi calci.
Il nanetto mancino di Stockport (171 centimetri) rappresenta per il Manchester City quello che Federico Dimarco è per l’Inter, ossia il tifoso che è riuscito dopo tutta la trafila nelle giovanili a diventare un titolare inamovibile della squadra per cui tifa, squadra della città in cui è nato.

Quelle di Foden e Dimarco sono favole meravigliose, sono il sogno di tutti i bambini diventato realtà, sono l’eccezione in un mondo calcistico nel quale le società vanno ormai a prendere i giocatori ovunque tranne che nella città in cui hanno sede.
La prima volta che vidi Phil toccare il pallone con il piede sinistro ebbi la stessa sensazione che una quindicina di anni prima mi fece pensare che Messi sarebbe diventato il più forte al mondo, subito capii che in quel teenager inglese c’era qualcosa di speciale, un talento naturale di quelli che nascono ogni vent’anni.
Paragonare Foden a Messi è un po’ azzardato. Il primo è un super esterno offensivo, il secondo è tra i cinque più forti di sempre, ma i due hanno in comune lo stesso piede forte, più o meno la stessa altezza, la stessa rapidità di esecuzione, l’innata predisposizione al dribbling, alla giocata impensabile per il calciatore medio.

Messi a ventiquattro anni aveva già realizzato una novantina di goal nella Liga spagnola e una trentina in Champions League, Foden è al momento a poco più di una quarantina di goal in Premier League e a una dozzina in Europa, i numeri non dicono tutto ma un significato ce l’hanno.
Foden oggi è probabilmente più accostabile per ruolo, caratteristiche tecniche e capacità realizzative a due altri grandissimi mancini del calcio moderno, il gallese Ryan Giggs, che ha sempre giocato con la maglia dei Red Devils di Manchester vincendo ogni titolo possibile, e Arjen Robben, favoloso piede sinistro olandese vice campione del Mondo con la sua nazionale nel 2010 in Sudafrica e campione d’Europa con il Bayern Monaco nel 2013.

Il piede sinistro ci ha regalato nella storia del football campioni incredibili, fuoriclasse unici per tecnica e fantasia, spesso folletti eccezionali nell’insinuarsi nelle ragnatele avversarie, nel dribblare nello stretto, nel rientrare per calciare e disegnare traiettorie spettacolari ed efficaci.
Sivori, Puskas, Riva, Beccalossi, Palanca, Corso, Conti, Savicevic, Hagi, Recoba, Rivaldo…e Diego Armando Maradona.
Foden
ha avuto in dono dalla natura quel magico piede sinistro che fa innamorare, che in un calcio ormai fatto solo di corsa e fisicità fa venir voglia di andare allo stadio, di stare attaccati alla TV che trasmette una partita, di andare in un campetto di paese o periferia a provare ad emulare certe giocate che fanno ancora dire “il calcio è lo sport, il gioco più bello del mondo”.

Un amico ogni tanto mi dice: a pallone puoi giocare solo se sei alto sopra il metro e ottanta, oppure se sei Xavi, Iniesta o Messi.
Io gli rispondo: oppure se sei Phil Foden, uno special one.