Dopo il turno dell’Epifania, la Serie A torna subito in campo. Roma - Juventus, la sfida tra le squadre che forse più di tutte hanno offerto un rendimento al di sotto delle aspettative durante il girone di andata, è la partita di cartello di questo turno che, ancora una volta, vede il covid protagonista al pari del pallone. Per entrambe le contendenti si presenta la prospettiva di una gara da vincere per rimanere agganciate a quel treno che porta al quarto posto, sul quale fino ad ora nessuna delle due è riuscita a mettere piede.

Squalificato Allegri per alcune parole di troppo rivolte all'arbitro Sozza al termine della sfida contro il Napoli, in panchina siede Landucci. Con il solito anticipo di una mezz'ora sul calcio d'inizio, vengono comunicate le formazioni ufficiali. Szczesny mantiene il suo posto tra i pali. Davanti a lui, la linea di difesa è formata da Cuadrado, De Ligt, Rugani e De Sciglio. Bentancur, Locatelli e McKennie agiranno a centrocampo. In avanti, insime con Dybala e Chiesa, Allegri offre una nuova opportunità a Moise Kean. Con Morata, che nonostante la categorica conferma di Allegri continua ad essere in bilico tra Torino e Barcellona, è forse il momento di capire bene cosa può offrire questo giovane centravanti tornato in bianconero sul finire dell'estate. Sulla sponda giallorossa, José Mourinho ripropone il suo abituale 4231, dopo un periodo nel quale attraverso il 352 ha cercato senza particolare successo di portare alla Roma un minimo di equilibrio in una stagione contrassegnata da un rendimento fino a questo punto altalenante e decisamene deludente per una piazza storicamente portata a lasciarsi trasportare da facile entusiasmo. Rui Patricio; Maitland-Niles, Smalling, Ibanez, Vina; Cristante, Veretout; Mkhitaryan, Pellegrini, Afena; Abraham; sono gli undici uomini scelti dal tecnico giallorosso per iniziare la partita.

Dazn apre il collegamento nel momento in cui i quasi quarantamila spettatori presenti all’Olimpico accolgono le due squadre, guidate sul terreno di gioco dall’arbitro Massa. Per la seconda volta nel giro di tre giorni, sono le enfatiche banalità di Pardo ad introdurre il tifoso davanti alla tv alla partita mentre in campo viene eseguito, fischiatissimo, l’inno della Lega e sbrigate le solite formalità tra i due capitani e gli arbitri. A quel punto, prima che la gara abbia inizio, nello stadio suona l’inno della Roma, come sempre cantato da tutti i presenti. Una battaglia condotta e vinta dagli stessi tifosi contro l’imposizione di un protocollo capace di spegnere ogni tipo di passione affogandola dentro un banale contenitore preconfezionato.

Nettamente meglio la Roma in avvio di gara. La Juventus, nei primi minuti di gioco, riesce a farsi vedere in avanti soltanto con un buffetto di Dybala, facilmente contenuto da Rui Patricio, e con un tiro da lontano di Chiesa terminato abbondantemente alto. Il pallone e la partita sono controllati dai padroni di casa, più aggressivi, più propositivi, fisicamente più brillanti rispetto agli avversari. Nella Juventus si palesano ben presto le solite difficoltà di una manovra sempre troppo lenta, a tratti impacciata, inquinata da errori tecnici che rischiano di regalare favorevoli opportunità alla squadra rivale. Ancorata a protezione della propria area da un baricentro che tende ad essere sempre piuttosto basso, la squadra di Allegri scivola tra un 433 e l’abituale 442 “storto”, nel quale, in questa circostanza, tocca a McKennie coprire, per alcuni frammenti della partita, la fascia destra. La Juventus non trova le giuste distanze tra i reparti, il centrocampo fatica nell’interdizione e la manovra offensiva è affidata esclusivamente alle intuizioni di Dybala e alle accelerazioni di Chiesa, l’unico sistema efficace per riuscire a portare il pallone dall’altra parte del campo.

Nella fase iniziale della gara, le occasioni migliori sono per la Roma e arrivano principalmente da situazioni di calcio d’angolo che la difesa bianconera, per una serie di ragioni, non manca mai di concedere in grande quantità ai suoi avversari. Dopo una parata di Szczesny su colpo di testa di Abraham, bravo a sfruttare la torre aerea di Smalling ma incapace di imprimere forza alla palla, la Roma passa in vantaggio. Dalla bandierina, Veretout calibra con il destro un cross forte, a rientrare sul primo palo. All’interno dell’area piccola, Abraham viene lasciato completamente libero di colpire di testa. Basta un tocco leggero per deviare il pallone in porta. La Roma è in vantaggio. L’Olimpico espolode. Pardo esulta. Dopo dieci minuti la Juventus è già sotto. Un gol regalato. Il replay evidenzia l’errore dell’intero sistema di marcature che ha permesso all’attaccante inglese di colpire indisturbato. Lascia qualche dubbio anche l’atteggiamento di Szczesny, inchiodato sulla linea di porta. Riaffiora, da un angolo della memoria, un antico insegnamento delle scuole di calcio del secolo scorso. “I palloni nell’area piccola sono tutti del portiere”. Oggi, evidentemente, non è più così. La Roma, galvanizzata dal vantaggio, dalla spinta del suo pubblico e da un avversario che fatica a trovare adeguate contromisure, continua a proporsi in avanti. Reclama un rigore per un tocco di mano di De Ligt, arrivato però dopo la deviazione con il piede dello stesso giocatore olandese, poi si presenta di nuovo al tiro con Cristante. Una conclusione rasoterra contenuta da Szczsny.

Cresce la preoccupazione per il tifoso davanti alla tv, che continua a vedere una squadra incapace di mettere insieme due passaggi in avanti consecutivi senza essere costretta a ricominciare dalla difesa. Nemmeno dieci minuti dopo lo svantaggio, la Juventus però riesce a pareggiare. La rete arriva al termine della prima azione finalmente costruita con qualità. Inizia tutto da Rugani che anticipa Abraham. Il pallone arriva a De Ligt che, in bello stile, si libera di Pellegrini, e serve in verticale Dybala all’altezza della trequarti avversaria. L’argentino controlla e apre sulla sinistra per De Sciglio, puntuale nel proporsi in supporto alla manovra. Il terzino apre per Chiesa che, largo a sinistra, imprime all’azione l’accelerazione decisiva liberandosi di Maitland-Niles e servendo Dybala al limite dell’area. Da lì in poi è la classe del capitano juventino a fare la differenza. Dybala controlla, quindi con l’interno sinistro trova con precisione chirurgica l’angolo alla destra di Rui Patricio, vanamente proteso in tuffo. La Juventus pareggia con un gol molto bello per costruzione ed esecuzione. Un gol arrivato inatteso per quello che la squadra di Allegri aveva fatto vedere fino a quel momento.

Raggiunto il pareggio, la Juventus attraversa un momento nel quale sembra aver trovato un buon assetto in campo. Per alcuni minuti, sono i bianconeri, guidati da un Dybala ispirato e in buona condizione, a prendere in mano la partita presentandosi con continuità nella metà campo giallorossa. La squadra non soffre più la pressione romanista, acquisisce maggiore sicurezza nella gestione della palla da dietro, grazie anche ad un Cuadrado forse meno appariscente del solito ma sicuramente molto attento e preciso. La Juventus ha trovato il corretto equilibrio con Chiesa e Dyala che partono larghi e McKennie che si inserisce in verticale. Soffre invece Kean, costretto ad una partita che non sembra adatta alle sue caratteristiche, costantemente chiamato a venire incontro al portatore di palla per offrire un punto di appoggio alla manovra. Il buon momento bianconero si esaurisce con l’infortunio, che appare subito piuttosto grave, di Chiesa. Costretto a lasciare il campo zoppicando, l’esterno viene sostituito da Kulusevski. La scelta del duo Allegri - Landucci provoca una sorta di terremoto tattico nello schieramento juventino. McKennie viene mandato sulla zona di sinistra per permettere al nuovo entrato di prendere la fascia destra, sfrattando, in maniera inspiegabile e ai limiti dell’autolesionismo, Dybala da una posizione di campo dalla quale stava dimostrando di essere in grado di poter colpire la Roma. La sintesi di tutto è data da un’azione praticamente identica a quella che ha portato al gol del pareggio. In questo caso però, il pallone servito da Mckennie è finito sui piedi di Kulusevski invece che di Dybala. Lo svedese, entrato male in partita, scivola e perde l’occasione. Con il nuovo assetto tattico, a questo punto ancorato al 442 “storto”, la Juventus perde completamente la fascia sinistra, rimasta affidata al solo De Sciglio, propositivo ma sempre isolato. Come contro il Napoli, McKennie, schierato da esterno puro, mostra comprensibili difficoltà. Mentre il tifoso davanti alla tv, si ritrova per l’ennesima volta a pensare che a questa squadra manchi un altro elemento deputato alla fase offensiva, Dybala è via via costretto ad arretrare il suo raggio d’azione per offrire un tocco di qualità ad una manovra tornata adesso decisamente faticosa. Il tempo passa e la partita scivola nuovamente nelle mani della Roma. Ad un soffio dal fischio di chiusura del primo tempo, i padroni di casa vanno ad un passo dal gol del nuovo vantaggio. Sempre da calcio d’angolo, un’altra torre di Smalling libera Abraham a pochi passi dalla porta. La goffa conclusione di coscia dell’attaccante inglese spedisce la palla sopra la traversa, strappando un “nooo” di disappunto a Tiribocchi, seconda voce in telecronaca, e ricacciando in gola a Pardo l’esultanza già pronta a trovare sfogo. 

L’opportunita sciupata da Abraham chiude, dopo quattro minuti di recupero, il primo tempo. I soliti commenti che accompagnano l’intervallo oltre ad evidenziare le consuete preoccupazioni circa la capacità di questa squadra di proporre gioco con continuità e di creare occasioni da rete, pongono l’attenzione sulla preoccupante facilità con cui i giocatori della Roma riescono a liberarsi all’interno dell’area in occasione dei calci piazzati. I palloni alti li prendono sempre loro.

Esauriti i quindici minuti di riposo, le due squadre rientrano in campo senza novità negli schieramenti. L’avvio di ripresa è da incubo per la Juventus e per i suoi tifosi. La Roma torna in vantaggio dopo appena due minuti. Segna Mkhitaryan con un tiro dal limite dell’area deviato da De Sciglio, arrivato al termine di un’azione in cui la squadra di Mourinho ha liberato l’armeno al tiro con due passaggi in verticale senza trovare il minimo disturbo da parte dei giocatori bianconeri, evidentemente ancora con la testa agli smartphone e ai loro profili social. Oltre al risultato, in questo inizio di ripresa, cambia anche il metro di valutazione dell’arbitro Massa. Presenza discreta e ininfluente nel primo tempo, il direttore di gara fischia adesso ad ogni minimo contatto. Arrivano anche i cartellini gialli. I nomi di Veretout, Vina e De Ligt finiscono sul taccuino dell’arbitro. In occasione del giallo mostrato all’olandese, decretato per un fallo nemmeno tanto evidente commesso ai danni di Abraham al limite dell’area, arriva la punizione che porta la Roma alla terza realizzazione. Segna Pellegrini con un tiro perfetto che scavalca la barriera e si infila sotto l’incrocio dei pali senza lasciare alcuna possibilità al tuffo di Szczesny. Il capitano giallorosso esulta sotto la curva sud. L’atmosfera diventa mesta davanti alla tv. Costanza si alza e se ne va. Gli altri restano. Per lealtà verso la maglia soprattutto. In questo momento, in questa situazione, è veramente difficile ipotizzare una rimonta bianconera senza ricorrere ad un atto di fede tipico di qualsiasi tifoso nei momenti di difficoltà.

La Juventus accusa il peso del doppio svantaggio maturato in nemmeno dieci minuti. La squadra non mostra alcuna rezione. Prosegue nella sua partita brutta, lenta e inquinata da una serie che sembra infinita di errori. Errori tecnici, errori di piazzamento, errori di distanza tra i reparti, errori di occupazione degli spazi sul campo. A sinistra c’è il vuoto. La Juventus da quella parte non attacca mai. Kulusevski si incarta su ogni pallone, incapace di offrire alla partita anche un semplice tocco pulito di prima intenzione. Partita dopo partita appare sempre più evidente che quella di ala destra non sia la posizione adatta a lui. Vittima di questa maledetta mania per il piede invertito che sta appiattendo il calcio su soluzioni sempre uguali e banali, distruggendo potenziali talenti dei quali non si è più nemmeno in grado di capire le caratteristiche. Se la posizione in cui Allegri vede il centrocampista svedese è questa, allora meglio liberarsene, anche per il suo bene. Certo, magari senza arrivare a prenderci quel Tanganga che una stampa come sempre ostile vorrebbe rifilarci. Kulusevski, e lo scrivo per l’ennesima volta, è un giocatore che ha bisogno di avere campo davanti a sé. Non ha l’agilità e il passo breve per sgusciare in mezzo alle maglie avversarie. Ha bisogno di ricevere palla guardando in avanti. In un centrocampo a tre è una mezz’ala, a quattro un esterno sinistro. 

Da poco è trascorso il sessantesimo minuto, il tifoso davanti alla tv è praticamente rassegnato ad una sconfitta che sembra inevitabile, quando arrivano le prime sostituzioni per Allegri e Landucci. Perfino tardive, dopo quella obbligata dall’infortunio di Chiesa nel primo tempo. Esce Kean, sostituito da Morata. Esce anche Bentancur, rilevato da Arthur. L’ingresso di Morata provoca la scossa necessaria per cambiare la partita della Juventus. Nonostante la solita stampa ostile racconti di un giocatore ormai con la testa a Barcellona, lo spagnolo entra in campo con il giusto atteggiamento e la voglia di combattere per una maglia alla quale tiene come una seconda pelle. La sua capacità di offrire alla manovra il riferimento verticale che era mancato fino a quel momento, le sue giocate, puntuali, pulite ed efficaci, segnano la differenza e danno il via a sette minuti che resteranno indelebili nei ricordi dei tifosi juventini (e negli incubi romanisti).

Lanciato sulla destra da Dybala, Morata mette a sedere Ibanez con una bella giocata poi, dal fondo, calibra un cross preciso nel cuore dell’area. Locatelli, libero tra Smalling e Cristante, di testa segna il gol del 3-2. Mancano venti minuti, comincia ad insinuarsi una piccola speranza di riprendere la partita. La Roma, definita fragile dal suo stesso allenatore, accusa il colpo, perde la convinzione esibita fino a quel momento. Va in confusione anche Dazn che manda la pubblicità prevista durante le sostituzioni mentre la partita è in corso. La Juventus capisce l’occasione che le si sta presentando e affonda. La squadra di Allegri si riversa adesso nella metà campo romanista. Muove il pallone nel tentativo di aprirsi un varco tra le maglie allentate della difesa giallorossa. Lo spazio giusto lo individua Locatelli con un passaggio alto che premia l’inserimento di Cuadrado sulla destra. Il colombiano di testa serve Morata al centro dell’area. Lo spagnolo con il controllo di petto aggira Smalling e calcia. La conclusione viene contenuta dalla scivolata del difensore inglese che però non riesce ad allontanare il pallone che rimane nella disponibilità di Kulusevski a pochi passi dalla porta. Lo svedese di sinistro, di prima intenzione, indovina la prima giocata della sua partita, calciando con forza in rete la palla del pareggio. La bandierina alta del guardalinee smorza però l’esultanza. Gol annullato. Sembrava troppo bello. Il replay non mostra però una chiara posizione di fuorigioco da parte dei giocatori bianconeri. Cuadrado è sicuramente in posizione regolare e anche Morata non pare più avanti del colombiano nel momento in cui gli passa il pallone. La partita infatti non ricomincia. Il controllo da parte del Var si protrae a lungo. Una timida speranza si affaccia nel cuore del tifoso davanti alla tv che però si sforza di non illudersi troppo. La decisione arriva liberatoria. Si può esultare. Il gol è buono. La Juventus ha ripreso la partita. Non è ancora finita però. La marea bianconera monta ancora ed è travolgente. Morata si allarga a sinistra per ricevere palla da De Sciglio e scarica su McKennie largo sulla fascia. L’americano premia l’inserimento del terzino alla spalle di Smalling, servendolo con un pallone alto che viene corretto dal goffo intervento del difensore inglese (che a Roma descrivono come un fenomeno ma me era sembrato scarso fin dalle prime partite giocate nel Manchester United di Ferguson). De Sciglio si ritrova libero in piena area. Sul suo piede destro il pallone del vantaggio. Non sbaglia. Il rasoterra si infila implacabile alla destra di Rui Patricio. La Juventus, che nemmeno dieci minuti prima era sotto di due reti, adesso conduce per 4-3. Grande esultanza da parte dei giocatori in campo, degli uomini in panchina e di tutti i tifosi, allo stadio oppure davanti alla tv.

A questo punto si contano i minuti che mancano alla fine della gara. Ancora dieci, oltre ad un recupero che sarà prevedibilmente lungo. Mourinho interviene sulla sua formazione inserendo Carles Perez al posto di Veretout. La Roma cerca una reazione. Abraham in girata, in piena area, incontra l’opposizione di De Ligt. La partita prosegue per un minuto, nemmeno i giocatori romanisti, sempre pronti a reclamare per qualsiasi cosa, dalla pettinatura dell’erba alla tensione della rete, protestano. C’è quindi una certa sorpresa quando il Var richiama Massa al monitor. Dal replay si vede un tocco con il gomito da parte di De Ligt. Il braccio è appena allargato ma il movimento sembra congruo. La distanza tra i due giocatori è minima. Il commentatore arbitrale Luca Marelli spiega che il rigore è netto. Massa, dopo una rapida revisione, infatti concede alla Roma il tiro dal dischetto. Arriva anche la seconda ammozione per De Ligt che è dunque costretto a lasciare il campo, visibilmente contrariato. Senza voler discutere la decisione di almeno tre arbitri, in questi casi si affaccia sempre il pensiero che le regole siano state fatte da chi non ha mai messo piede su un campo di calcio, neppure all’oratorio. Pazienza, è andata così. Mentre Chiellini prende il posto di Dybala, il tifoso bianconero, rassegnato al pareggio, cerca consolazione pensando che alla fine, per come si era messa la partita, anche un punto non sarebbe da disprezzare. E’ il momento decisivo. Pellegrini sistema il pallone sul dischetto. Il pensiero del tifoso va invece al tocco con la mano di Mertens nella partita contro il Napoli. In quel caso, nonostante lo stesso Marelli avesse parlato di situazione da rigore, il Var era rimasto silenzioso. Vai a capire perchè. I pensieri però volano via. Bisogna aiutare Szczesny a respingere il tiro. Pellegrini calcia. Il portiere polacco para. Pellegrini sulla ribattuta scivola e mette il pallone a lato. L’esultanza del tifoso davanti alla tv non è riferibile. Dopo il rigore di Veretout nella gara di andata a Torino, il portiere polacco neutralizza dal dischetto anche il  capitano della Roma. Mancata l’occasione più grande, la squadra di Mourinho si arrende. La Juventus governa in maniera sicura in minuti finali, compresi i sei di recupero concessi dall’arbitro Massa. L’ultimo tiro della partita è di Carles Perez, una conclusione da fuori area che, deviata, di spegne a lato della porta juventina. Finalmente arriva il fischio finale.  “Finisce qui. Dopo sei minuti di recupero. Vince la Juve.” Annuncia Pardo con un tono di voce che pare un filo meno euforico rispetto ad una mezz’ora prima. 

La partita si conclude con la vittoria bianconera. L’entusiasmo con cui la squadra si abbraccia sul prato dell’Olimpico, è condiviso da ogni tifoso e viene rilanciato dai tanti messaggi che arrivano dai gruppi di amici su whatsapp. Vincere in questa maniera a Roma, soprattutto per chi non abita nemmeno troppo lontano dalla Capitale, è una soddisfazione ineguagliabile, in qualsiasi condizione di classifica. Calmata un minimo la grande euforia, legittima, arriva il momento della riflessione. La vittoria, per quanto arrivata in maniera entusiasmante, non cancella una partita giocata per lunghi tratti male e cambiata in maniera netta con l’ingresso in campo di Morata. Senza voler gettare addosso a Kean responsabilità più grandi di quante non ne abbia in realtà, appare evidente come la differenza tra i due attaccanti della rosa bianconera sia netta. Fin troppo criticato da un pubblico (virtuale) bisognoso di un capro espiatorio, il centravanti spagnolo è un elemento in grado di giocare con e per la squadra. Gli attaccanti della Juventus sono costretti troppo spesso a giocare lontani dalla porta, a farsi carico di far salire la squadra e, in troppe circostanze, sono costretti a coprire cinquanta metri di campo ad ogni azione. Il problema della Juventus non è Morata (la maggior parte degli attaccanti avvicinati alla Juventus in questo mercato di gennaio, in questa situazione, affogherebbe esattamente come accaduto a Kean all’Olimpico) e, ci mancherebbe altro, non è Dybala. L’argentino costretto, da una squadra sbilanciata all’indietro e infarcita di corridori, ad arretrare nella propria metà campo per avviare l’azione, si ritrova sempre troppo lontano dall’area, dalla zona dove il suo sinistro potrebbe marcare una netta differenza con i nostri avversari. Quando è lui a toccare la palla, questa assume una velocità e una precisione differente rispetto al tocco di qualsiasi altro elemento presente in rosa. Nonostante le critiche, che spesso giungono a sproposito da una parte di tifoseria ormai assuefatta al culto del gregario, Dybala rimane il giocatore migliore tra quelli che vestono il bianconero e tra quelli che calcano i campi della Serie A. Le recenti parole di Arrivabene in merito al rinnovo non inducono all’ottimismo. La società faccia le proprie scelte ma una coppia d’attacco come quella formata da Dybala e Morata non è semplice (e sicuramente non economica) da sostituire. Forse sarebbe più facile metterli nelle condizioni di rendere al meglio, costruendo una squadra capace di offrire un degno supporto e limitando le distorsioni tattiche in nome di un presunto equilibrio che, in realtà, non riusciamo a trovare.