Il campionato giunge all’ultima curva con alcuni importanti verdetti ancora da emettere. La giornata conclusiva stabilirà quale squadra, tra Cagliari e Salernitana, accompagnerà Genoa e Venezia in serie B, chi tra Fiorentina e Atalanta otterrà il posto disponibile per partecipare alla prossima Conference League e, soprattutto, chi uscirà vincitore dalla corsa, tutta milanese, verso lo scudetto. Una lotta, quella per il titolo tricolore, che ha visto la Juventus estromessa già dopo le prime giornate. Con la trasferta di Firenze si chiude, viene da dire finalmente, il deludente campionato della formazione bianconera, capace di raccogliere ben otto punti in meno rispetto alla precedente stagione, quando a guidarla in panchina c’era soltanto un progetto di allenatore come Pirlo. La qualificazione per la prossima Champions League, arrivata soprattutto grazie al crollo verticale dell’Atalanta e al cammino altalenante di Roma, Lazio e Fiorentina, rimane un traguardo minimo che da solo non è sufficiente per considerare positiva l’annata che va a concludersi. 

 

Per l’ultima partita dell’anno, in programma allo stadio Franchi, Allegri presenta la sua squadra schierata con il 352. Perin; De Ligt, Bonucci, Chiellini; Bernardeschi, Miretti, Locatelli, Rabiot, Alex Sandro; Dybala, Moise Kean; sono gli uomini scelti dal tecnico bianconero per iniziare la sfida. Vlahovic, diffidato, partirà dalla panchina. Salta, almeno inizialmente, la possibilità di un nuovo faccia a faccia tra il serbo e i suoi vecchi tifosi. I fischietti, grandi protagonisti durante la semifinale di andata di Coppa Italia, per il momento rimangono silenti.

La Fiorentina, nell’ultima notte di campionato, insegue il ritorno nelle competizioni europee dopo diverse stagioni di assenza. L’equilibrato duello contro l’Atalanta, forse la delusione più grande del campionato, appena dietro la Juventus, troverà in questa notte la sua definizione. Con i bergamaschi impegnati in contemporanea sul campo di casa contro l’Empoli, il tecnico viola Italiano sceglie di affidarsi ancora una volta al 433. Terracciano; Venuti, Milenkovic, Igor, Biraghi; Bonaventura, Amrabat, Duncan; Saponara, Piatek, Gonzalez; sono gli undici che inizieranno la sfida.

 

Con l’animo appena sollevato dalla consapevolezza di essere finalmente ad un passo dalla conclusione di una stagione amara, il tifoso si sistema davanti alla tv per affrontare gli ultimi novanta minuti di un campionato che certamente non rimarrà tra i ricordi felici. Lo stadio completamente esaurito e colorato da migliaia di sciarpe e bandiere viola accoglie le due squadre, guidate sul terreno di gioco dall’arbitro Chiffi. Quella contro la Juventus rappresenta, per la tifoseria viola, la partita più attesa e sentita. Quella di cui celebrare per anni il ricordo delle poche vittorie ottenute stampando tazze e magliette. Le diverse motivazioni con le quali le due rivali affrontano l’ultimo impegno della stagione, la condizione fisica perennemente deficitaria esibita dalla Juventus in queste ultime giornate, lasciano immaginare una notte da ricordare per i padroni di casa.

 

Al fischio d’inizio del direttore di gara, la partita prende il via su ritmi lenti. Il copione dell'incontro rispecchia fin da subito le previsioni più accreditate. La Fiorentina gestisce il pallone, la Juventus attende. Schierata con un baricentro molto basso e compatta a protezione dell’area di rigore, la squadra di Allegri scivola tra la difesa a tre e quella a quattro a seconda delle circostanze richieste dalla partita. De Ligt, per la prima volta da quando veste il bianconero, si ritrova spesso chiamato a sperimentare una per lui insolita posizione da terzino destro.

Il primo tempo riserva pochissimi spunti di cronaca. La Juventus in fase offensiva non si vede praticamente mai. Davanti agli occhi del tifoso, che osserva queste ultime ininfluenti partite seduto su una comoda poltrona, scorrono le immagini di tutta la stagione. La squadra di Allegri non propone in alcun modo una pressione sui portatori di palla avversari finalizzata ad un rapido recupero del pallone. In fase difensiva si dispone compatta a ridosso dell’area di rigore e, per quanto riguarda la proposta offensiva, si affida soltanto a sporadici e improvvisati tentativi di ripartenza che non producono alcun particolare esito. Dybala, fin dalle prime battute di gioco di quella che sarà la sua ultima partita da giocatore della Juventus, arretra costantemente alla ricerca di palloni giocabili. Con l’argentino risucchiato a ridosso dell’area bianconera, Kean si ritrova presto isolato, costantemente spalle alla porta e pressato dai due marcatori viola, a disputare la solita partita che il destino, sotto forma dell’idea di calcio di Allegri, riserva al centravanti della Juventus, che si tratti di lui, come di Morata oppure di Vlahovic. Del terzetto di punte a disposizione del tecnico toscano, la stagione ha già dimostrato che Kean è probabilmente l’attaccante, per caratteristiche, meno indicato al tipo di lavoro richiesto. L’atteggiamento di quasi esclusiva attesa e contenimento mostrato in campo dalla Juventus, evidenzia quella che al momento è la maggiore carenza del giovane Miretti. Costretto ad una partita di rincorsa, il ragazzo dimostra di soffrire in fase difensiva. Costantemente preso in mezzo negli scambi proposti dagli uomini di Italiano, il giovane prodotto del vivaio fatica in fase di contrasto, penalizzato anche da uno sviluppo fisico non ancora completato.

 

Con Vlahovic tenuto inizialmente in panchina, il pubblico del Franchi prende di mira Bernardeschi, l’altro ex, probabilmente molto meno rimpianto. In settimana è arrivata la notizia che la Juventus non rinnoverà neppure il suo contratto. Quella in casa della Fiorentina è dunque l’ultima partita di Bernardeschi con la maglia bianconera addosso. L’esterno saluta i suoi tifosi offrendo una sorta di riassunto di quanto ampiamente mostrato nel corso dei suoi cinque anni di permanenza a Torino. Porta dunque in scena tutto il repertorio, ormai conosciuto, di corse palla al piede senza sbocco alcuno, di passaggi sbagliati, di scelte incomprensibili in fase di rifinitura. Difficilmente il suo addio sarà causa di ulteriori spaccature nella già molto divisa tifoseria juventina.

In campo continua ad accadere poco. La Juventus non arriva praticamente mai ad infastidire Terracciano, mentre, dall’altra parte, le idee e il tanto possesso palla prodotto dai giocatori di Italiano si spengono contro il muro formato da De Ligt, Bonucci e Chiellini. Contro l’opposizione del difensore olandese e del vecchio capitano, si infrangono due conclusioni dal limite dell’area tentate da Bonaventura, che rappresentano le uniche occasioni da gol del primo tempo. La partita scorre via priva di emozioni, piuttosto tranquilla anche sotto l’aspetto agonistico, almeno fino a quando Igor e Kean, protagonisti di una disputa per un inutile fallo laterale proprio sotto il rettilineo opposto alla tribuna, trovano il modo di ricevere il cartellino giallo da parte dell’arbitro Chiffi. E’ l’unico motivo di sussulto per il popolo viola, almeno fino ai secondi finali del primo tempo. 

Il quarto uomo ha già comunicato l’assenza di recupero alle due panchine, quando la Fiorentina con Amrabat lancia in area il pallone. Si innesca una mischia nel cuore dell’area bianconera. Una serie di rimpalli tra Chiellini, Piatek, Bonucci e Bonaventura, origina un pallone invitante per l’accorrente Duncan. Da distanza ravvicinata, il tiro del centrocampista ghanese non lascia scampo a Perin. La Fiorentina è in vantaggio. Lo stadio esulta mentre le telecamere offrono primi piani di Chiellini e Piatek, rimasti feriti nella mischia. Il vecchio capitano abbandona il campo con la testa rotta e la maglia sporca di sangue. Non rientrerà sul terreno di gioco per il secondo tempo. L’ultima immagine che lascia è forse quella che più di tutte ha caratterizzato una carriera da guerriero.

 

Nonostante lo svantaggio e l’incapacità della squadra di creare il minimo fastidio ai padroni di casa, Allegri, alla ripresa del gioco dopo i quindici minuti di intervallo, sceglie di rimpiazzare l’infortunato Chiellini con Rugani. Mossa difficile da comprendere e che sicuramente non porterà particolari vantaggi ad una manovra rivelatasi fino a quel momento sterile e inoffensiva. Con l’inizio del secondo tempo, il tifoso che riprende posto davanti alla tv ha però l’occasione per celebrare l’ingresso di Pinsoglio che, per gli ultimi quarantacinque minuti del campionato, sostituisce Perin tra i pali. 

 

Si vede pochissimo calcio nella ripresa. La Juventus, già priva di idee, non sembra avere neppure le risorse fisiche necessarie per provare a cambiare passo e tentare di riequilibrare la sfida. Il gioco subisce, fin dalle prime battute del secondo tempo, numerose interruzioni. Diversi giocatori viola cercano di guadagnare preziosi minuti con le solite perdite di tempo che siamo abituati a vedere su ogni campo. In particolare, tra Bonaventura e Nico Gonzalez inizia una sfida all’ultimo tuffo. Il centrocampista, in un paio di occasioni, cerca, senza riuscirci, di procurarsi un rigore. L’argentino dal canto suo non manca invece di rotolarsi a terra dopo ogni contrasto. Difficile stabilire il vincitore della particolare sfida. Si lascia forse preferire Gonzalez che, ad ogni caduta, pare sempre sul punto di dover lasciare il campo, prontamente rimesso in sesto dallo spray del massaggiatore. Una mano sulla schiena, proprio nel punto che tormenta da qualche giorno anche il tifoso davanti alla tv, quindi riprende a correre. Fino al tuffo successivo.

La Juventus non pare in grado di proporre alcunché. Nemmeno uno spunto individuale. Il numero dei tiri in porta è ancora fermo a quota zero quando Allegri decide di concedere mezz’ora di campo al giovane Akè. Esce Bernardeschi che chiude con l’ennesima prova negativa la sua storia con la Juventus. Una storia che non ha mai ripagato le alte aspettative che la società aveva riposto nei suoi confronti rilevando il suo cartellino per 40 milioni. Le poche attenuanti a favore del giocatore riguardano il non aver mai avuto una posizione in campo definita ma di essere sempre stato considerato una sorta di tappabuchi e l’essere quasi esclusivamente impiegato sulla fascia destra, zona di campo nella quale mostra evidenti limiti. Giunti ormai alla conclusione del percorso, si può probabilmente affermare che si è trattato di un giocatore che non si è mai dimostrato adeguato all’alto livello del club per il quale ha giocato per cinque stagioni. Bernardeschi non è mai riuscito a ripagare investimento e attese. Ormai è andata così. Gli auguriamo il meglio per il prosieguo della sua carriera.

 

La Fiorentina, pur non creando occasioni da rete, continua a gestire la partita in grande tranquillità. Quando manca un quarto d’ora al termine della sfida, Allegri regala finalmente soddisfazione a tutti quei fischietti che riposano tristi in fondo alle tasche dei tifosi viola. Esce Kean. Entra Vlahovic. La storia della partita non cambia. Testimonianza più evidente che abbandonando le punte al proprio destino difficilmente una squadra riuscirà a creare occasioni da gol, chiunque sia il terminale offensivo. La Juventus chiuderà l’ultimo impegno del suo campionato con un imbarazzante zero nella casella dei tiri verso la porta avversaria contro una squadra capace di prendere quattro gol da Udinese e Sampdoria. Assieme al centravanti serbo entra anche McKennie, che rivede il campo dopo l’infortunio subìto in casa del Villarreal. Gli lascia il posto Miretti, che ancora una volta, nonostante le maggiori difficoltà incontrate nel corso della sfida, ha dimostrato di essere uno dei pochi elementi in rosa capaci di giocare a calcio di prima intenzione e in verticale. Un ragazzo che, per la personalità e la qualità mostrate in questo scorcio finale del campionato, merita di restare in rosa anche nel prossimo anno, per essere seguito passo dopo passo in un percorso di crescita che promette di essere interessante.

La partita ormai è indirizzata. Il tifoso davanti alla tv, rassegnato all’ennesima sconfitta stagionale, attende con impazienza il triplice fischio di Chiffi che chiuderà il brutto spettacolo al quale si è imposto di assistere per un senso di lealtà verso quella maglia tanto amata. Rimane il tempo per applaudire Pinsoglio, che si prende la sua piccola parte di gloria con un ottimo doppio intervento su due conclusioni ravvicinate di Piatek e Bonaventura, nate dagli sviluppi di un calcio d’angolo. La sfida è ormai alle battute conclusive. Le notizie che arrivano da Bergamo, con l’Atalanta sotto nel punteggio in casa contro l’Empoli, accendono la festa dei tifosi viola che ritrovano una competizione europea dopo cinque anni. Nel primo dei tre minuti di recupero concessi da Chiffi, Torreira entra in area dalla sinistra e subisce l’intervento falloso da parte di Bonucci. Il direttore di gara decreta il calcio di rigore. Le immagini sembrano dare ragione all’arbitro. Sul dischetto si presenta Nico Gonzalez. L’argentino apre il piatto, spiazza Pinsoglio e stampa la sua immagine sulle varie tazze e magliette celebrative che nei prossimi giorni diventeranno oggetto di culto per i tifosi della Fiorentina. La partita si conclude con la rete del due a zero. 

 

Chiusa la trasferta di Firenze, grigia come l’effetto delle nuove maglie create dallo sponsor Adidas, finisce finalmente in archivio una stagione infelice per i colori bianconeri. Partita con il proposito di lottare per i massimi traguardi, anche in virtù del ritorno in panchina di Allegri, la Juventus ha mostrato, fin dalle prime partite, evidenti criticità che di fatto l’hanno estromessa dalla corsa scudetto nel giro di quattro giornate. La lieve apprensione con la quale il tifoso bianconero è costretto ad attendere gli ultimi novanta minuti che decideranno la volata verso il titolo tricolore, augurandosi di cuore un'affermazione del Milan ai danni della poco sopportata Inter, più di ogni altra cosa dovrebbe fornire la misura di quanto deludente sia stato il campionato appena concluso. 

Finisce un anno che ha regalato poche certezze. Le basi per un nuovo progetto che, nelle intenzioni di società e tecnico, dovevano essere poste in questa stagione non si vedono. Non si è registrata alcuna crescita da parte dei giocatori in rosa ed anzi la sensazione è che molti di loro siano regrediti. Tolti pochi elementi, risulta difficile in questo momento valutare con certezza il reale valore del gruppo. Lo dimostrano le cessioni di Kulusevski e Bentancur, necessarie per arrivare a Vlahovic e Zakaria durante il mercato di  gennaio. Lasciati andare senza rimpianti da parte dei tifosi, i due giocatori hanno dato un impulso forse fondamentale al Tottenham per raggiungere, a meno di improbabili crolli all’ultima giornata in casa del retrocesso Norwich, il quarto posto in Premier League. In un campionato giustamente considerato di un livello tecnico superiore alla modesta Serie A, due scarti della Juventus, considerati senza mezzi termini dei bidoni dai raffinati intenditori che popolano social e forum calcistici, hanno invece dimostrato di essere giocatori di un certo spessore.

Nella stagione che va a concludersi con un giudizio complessivo sicuramente negativo, nessuno può essere sollevato dalla sua parte di responsabilità. La società, nel corso di un ciclo di vittorie unico e irripetibile, ha procrastinato forse troppo a lungo un progressivo rinnovamento che l’inevitabile usura degli uomini che hanno rappresentato i cardini di dieci anni di successi ha reso ormai urgente e necessario. In particolare, nel corso degli anni, sono state sottovalutate alcune lacune presentate dalla rosa in diversi ruoli, a cominciare dalla difesa che si ritrova in discreta emergenza per quanto riguarda i terzini. Alex Sandro a sinistra appare da tempo ormai molto lontano dalla sua forma migliore. Difficile comprendere perchè in questi anni non sia mai stata individuata un’alternativa valida, o almeno credibile, per dare respiro al giocatore brasiliano. Pellegrini, provato con una certa insistenza nel corso di questa stagione, non ha offerto le necessarie garanzie per poter essere ritenuto affidabile. Non sembra andare meglio sulla corsia opposta, dove la Juventus non dispone di un sostituto di Danilo. Cuadrado, nella posizione di terzino, fin dalla prima partita giocata contro l'Inter nell’ormai lontano 2018, ha sempre mostrato evidenti lacune in fase difensiva. Un esperimento che sembrava terminato sul nascere, si è invece protratto negli anni a seguire fino a diventare una scelta definitiva che appare poco comprensibile. Difficile da comprendere, inoltre, anche la sottovalutazione dei problemi fisici di Chiellini, oltretutto noti già da diversi anni. La decisione, forse troppo superficiale, di considerarlo alla sua età un elemento effettivo del pacchetto arretrato, in troppe circostanze ha tolto ad Allegri un giocatore di spessore al centro della difesa. Rimane infine, per quanto riguarda il reparto difensivo, molto complicato giustificare la decisione di mantenere in rosa giocatori come De Sciglio e Rugani, rientrati entrambi da esperienze in prestito non particolarmente produttive, e che già avevano ampiamente dimostrato nel corso delle precedenti stagioni di non essere in grado di rappresentare una valida alternativa a compagni di ben altro livello. Allo stato attuale delle cose, i soli Bonucci, De Ligt e Danilo rappresentano gli unici sicuri punti fermi di un reparto che necessità di una forte ristrutturazione.

 

Il centrocampo, ormai da anni, è il settore della rosa bianconera maggiormente contestato dai tifosi. Assemblato negli anni sicuramente in maniera non del tutto coerente, viene molto spesso chiamato in causa per giustificare sconfitte e prestazioni deludenti. L’equivoco del centrocampo juventino, più che dall’effettivo valore degli uomini che lo compongono, nasce però dalla combinazione di elementi che non sembrano del tutto intersecabili tra loro. Arthur si è confermato un giocatore totalmente estraneo alle idee di calcio di Allegri. Locatelli, Rabiot e Zakaria, per caratteristiche, sembrano più adatti per giocare in un reparto a due, mentre McKennie, mezz’ala di incursione, ha dimostrato di rendere al meglio in un centrocampo formato da tre uomini, dove può ricoprire una posizione che gli consente di sfruttare le sue doti di inserimento. Nella valutazione negativa del reparto di mezzo, hanno inciso, oltre alle già citate scelte poco coerenti effettuate in sede di mercato, che di fatto hanno creato un centrocampo non perfettamente omogeneo, anche le responsabilità del tecnico che, in tutta la stagione, non è mai riuscito a dare una definizione tattica propositiva alla sua squadra. La costante della Juventus di questo primo anno del nuovo ciclo con Allegri in panchina, è data dalle due linee di quattro uomini, compatte a ridosso dell’area di rigore, che hanno rappresentato l’unico aspetto tattico riconoscibile nel corso dell’anno. Scegliendo di giocare in maniera prevalentemente conservativa, con un baricentro molto basso e l’idea di speculare sugli episodi per risolvere le partite, il tecnico si è ritrovato molto spesso a dover forzare le posizioni di alcuni uomini in campo. Dalle convinzioni del tecnico è scaturita una sorta di 442 “asimmetrico” che, per questioni di equilibrio, ha previsto quasi categoricamente l’impiego di tre mediani nella linea centrale formata da quattro uomini. Inevitabile che uno finisse fuori ruolo. La scelta, nella maggior parte degli incontri disputati, è ricaduta su Rabiot. Il nazionale francese, in difficoltà per gran parte dell’anno in una posizione da esterno di fascia sinistra che non gli appartiene, ha nettamente migliorato il suo rendimento nella parte finale della stagione, quando finalmente gli è stato concesso di muoversi nelle zone di campo più congeniali a quelle che di fatto sono le sue caratteristiche da mediano di contenimento. Per il tipo di giocatori a disposizione, la rosa chiedeva forse un atteggiamento leggermente più coraggioso. Un impianto di gioco basato su un 4231 e l’inserimento di almeno un altro uomo offensivo per poter sfruttare entrambe le fasce con maggiore profitto. Il gioco d’attacco della Juventus ha invece sofferto della totale aridità di idee nella proposta offensiva del tecnico livornese. Il campo ha evidenziato l’esistenza di due soli schemi ricorrenti, peraltro già abbondantemente conosciuti nei precedenti cinque anni con Allegri alla guida della squadra. Il lancio lungo di Bonucci verso la zona sinistra del campo per sfruttare la torre del centrocampista schierato da quella parte e un possesso palla prolungato, mirato ad aprire un varco tra le maglie avversarie attraverso una giocata individuale degli uomini schierati sul fronte offensivo. Le idee, forse ormai superate di Allegri, hanno partorito una squadra che, è vero, ha avuto la quarta miglior difesa del torneo (con una media di gol subìti significativamente peggiorata soltanto nelle ultime tre partite ormai prive di significato) ma arranca, in maniera non giustificabile, a metà classifica per quanto riguarda il numero dei gol segnati. Soprattutto, la Juventus quasi in nessuna partita è riuscita a trovare una continuità di gioco tale da trasmettere la sensazione di essere in grado di creare un numero importante di occasioni da rete nel corso dei novanta minuti. 

 

La partenza di Ronaldo, decisione del giocatore subìta da società e allenatore e definita soltanto negli ultimi giorni di mercato, dopo un’estate trascorsa ad attendere l’offerta giusta per lasciare Torino, offre almeno un’attenuante parziale al tecnico che si è ritrovato con Kean al posto dell’attaccante portoghese. Per tutto il girone di andata, la convinzione che la Juventus non avesse in Morata, numero nove di riferimento ad inizio campionato, un centravanti adeguato si è fatta strada nel pensiero comune che, inspiegabilmente, non sembrava cogliere le difficoltà della squadra che continuava a proporre un impianto offensivo scheletrico, quasi angosciante nella sua ripetitività e nella continua mancanza di idee e che troppo facilmente veniva disinnescato dalle difese avversarie. Il centravanti della nazionale spagnola, dunque non uno qualsiasi, si è ritrovato così ad essere indicato come uno dei maggiori responsabili di un cammino che scivolava sempre di più verso una china che non era quella prevista. La Juventus ha rischiato di restare fuori dai primi quattro posti molto più di quanto si possa pensare adesso, guardando la classifica finale. Una buona serie di risultati positivi, rovinata da qualche pareggio di troppo, e, soprattutto, il crollo dell’Atalanta e il cammino incerto delle altre rivali, che hanno abbassato di quasi dieci punti la quota di qualificazione, hanno consentito alla squadra di Allegri di ottenere un piazzamento fondamentale per proseguire il progetto, ammesso che ve ne sia uno.

Nemmeno l'arrivo di Vlahovic a gennaio, sforzo enorme profuso dalla società per arrivare prima di tutti su uno dei migliori prospetti internazionali, ha portato un miglioramento tangibile nella capacità realizzativa della squadra. Il principio di cambiamento che, ad onor del vero, il tecnico sembrava aver avviato nelle partite immediatamente successive all’arrivo del centravanti serbo, nelle quali abbiamo potuto vedere all’opera, con buoni risultati, un trio offensivo formato dallo stesso Vlahovic insieme a Dybala e Morata, si è fermato praticamente alle intenzioni soprattutto a causa dei numerosi infortuni che dal mese di gennaio in poi hanno preso a falcidiare la rosa, e il centrocampo in particolare, rendendo nei fatti insostenibile un assetto tattico maggiormente propositivo. Allegri è tornato a rifugiarsi nel suo 442 “asimmetrico”, con la squadra raccolta a protezione dell’area di rigore e gli attaccanti distanti almeno cinquanta metri dalla porta avversaria, cercati quasi esclusivamente con lanci diretti dalla difesa. In questa situazione, l’impatto del centravanti serbo, dopo un buon inizio, è andato via via attenuandosi fino a portare il giocatore ad evidenti momenti di nervosismo derivato da una frustrazione montante. Se da un lato possono rappresentare una spiegazione per il rendimento della squadra nettamente al di sotto delle aspettative, i numerosi infortuni, che esclusi quelli traumatici subìti da Chiesa e McKennie sono stati quasi tutti di natura muscolare, occorsi a gran parte degli elementi della rosa, uniti ad una condizione fisica perennemente deficitaria, accendono i riflettori sul lavoro dello staff di preparatori. Senza voler entrare in un ambito estremamente complesso, per comprendere a pieno il quale non si hanno i necessari strumenti e le necessarie conoscenze, sembra evidente che qualcosa nei metodi di allenamento non abbia funzionato come previsto.

 

Arrivati alla conclusione della stagione, avanza la sensazione di un’annata, per vari motivi, tra cui il livello decisamente modesto del campionato che si sta concludendo, quasi gettata via. La qualificazione ai gironi della prossima Champions League, permetterà però alla società di affrontare il mercato con maggiori risorse a disposizione e la possibilità di non essere costretti a subire, nei limiti del possibile, i tre mesi di trattative che si apriranno nei prossimi giorni. 

Gli addetti ai lavori raccontano di due importanti acquisti ormai in via di definizione. La prossima settimana sembra essere quella giusta per celebrare il ritorno a Torino, dopo sei stagioni, di Paul Pogba, in scadenza di contratto con il Manchester United. Convinto dalla proposta di un importante contratto triennale, il giocatore francese è pronto a vestire di nuovo il bianconero per ricoprire un ruolo centrale nella ricostruzione del prossimo centrocampo della Juventus. L’esperienza deludente nel club inglese e i numerosi infortuni subìti dal giocatore in questi ultimi anni, non sembrano intaccare l’entusiasmo di una tifoseria pronta a riabbracciare un ragazzo che non avrebbe mai voluto veder andare via. Pogba, nell’impianto tattico della prossima stagione, che pare andare verso un 433, dovrebbe essere il vero sostituto di Dybala nel ruolo di giocatore in grado di funzionare da raccordo nella manovra offensiva. Sarà il campo, come sempre, a stabilire la validità dell’operazione ormai ad un passo dalla definizione.

Assieme a Pogba, la Juventus sembra ormai molto vicina a concludere l’arrivo di Angel Di Maria, anche in questo caso a parametro zero, che potrebbe sbarcare a Torino con qualche anno di ritardo sulle speranze dell’autore di questo pezzo, che per l’ala argentina ha sempre nutrito una particolare ammirazione. Giocatore di qualità indiscutibile e di grande esperienza, Di Maria rappresenta il profilo ideale per permettere a Chiesa di recuperare al meglio dal suo infortunio. Prenderà il posto in rosa che era di  Bernardeschi. Nonostante l’età del nuovo arrivo, il miglioramento appare evidente.

Oltre ai due acquisti ormai imminenti e alle trattative che porteranno a Torino altri nuovi giocatori, la società lavora anche su una conferma fondamentale. I vari mezzi di informazione danno ormai in dirittura di arrivo il rinnovo fino al 2026 di De Ligt. Un giocatore che nelle intenzioni rappresenta un pilastro nel nuovo progetto juventino, sceglie di proseguire la sua avventura in bianconero. Il rinnovo dell’olandese rappresenta probabilmente il migliore attestato di fiducia che la dirigenza potesse ricevere in questo momento.

 

Con la fine del campionato, si rende per me necessario ringraziare tutti gli amici che hanno avuto la pazienza di sopportare me e i miei articoli nel corso di questa lunga stagione.