"Juventus vuol dire cultura e stile che distinguono i dirigenti, gli allenatori ed i giocatori juventini. Vuol dire passione e amore: la passione che unisce i milioni di tifosi in tutta Italia, in tutto il mondo; l’amore per la maglia bianconera che esplode nei momenti di trionfo e non diminuisce il quelli meno felici (Michel Platini)"
“Qui bisogna lottare sempre e quando sembra che tutto sia perduto crederci ancora. La Juve non si arrende mai (Omar Sivori)"
“La Juventus ti entra nel sangue perchè è stile, classe e serietà. Nessuno in Italia sa vincere quanto e come lei. Lo scudetto si festeggia una sola notte, poi si pensa già al prossimo (Omar Sivori)”
“La Juventus è come un drago a sette teste. Gliene tagli una ma ne spunta sempre un’altra. Non molla mai. (Giovanni Trapattoni)”

Nei momenti di maggiore difficoltà, come quello che stiamo attraversando in queste ultime stagioni, viene spesso chiamato in causa il DNA della Juventus. Quasi sempre a sproposito, anche da parte degli stessi protagonisti. Chiunque si avventuri nell’impresa di raccontare un qualcosa di tanto grande come la Juventus e la sua storia, finisce per perdersi nella sciocchezza delle vittorie per 1-0, del corto muso e in altre meschinità simili, che al massimo rappresentano la mentalità di Allegri, ma di sicuro non rendono giustizia ad una storia secolare, iniziata su una panchina torinese nel 1897 e arrivata fino ai giorni nostri.
La Juventus non è quello che pretende di raccontare il suo attuale allenatore. 
Un personaggio che, ormai da anni, trasforma ogni conferenza stampa in patetici spettacoli di cabaret, arrampicandosi troppo spesso in sciocche e malriuscite battute per eludere le rare domande appena più scomode che i timidi giornalisti di oggi ogni tanto trovano il coraggio di porgli.
Un personaggio che ricerca continue giustificazioni per i suoi risultati fallimentari. Tira in ballo le assenze, nonostante lui stesso, nemmeno troppo tempo fa, abbia dichiarato come la media degli infortuni subiti dai giocatori della Juventus fosse in linea con quella delle altre squadre.
Un personaggio che continua a scaricare tutte le colpe sui giocatori pur di non assumersi la responsabilità di quanto (non) fatto dal giorno del suo sciagurato ritorno in bianconero. E’ ormai divenuto perfino irritante ascoltarlo quando imputa ad una corsa all’indietro sbagliata o ad un singolo passaggio non eseguito in maniera corretta le colpe di sconfitte e prestazioni purtroppo imbarazzanti.
Massimiliano Allegri rappresenta quindi un allenatore quanto più distante possibile da quella che è la vera storia bianconera, velocemente riassunta con alcune frasi significative presenti all’ingresso del museo e riportate in testa a questo pezzo. 
Una stagione nata male (le prime serie avvisaglie si erano avvertite già durante le amichevoli estive), sta scivolando verso un baratro. Dopo la sconfitta con il Benfica non c’è più altro tempo da attendere. Arrivati a questo punto non ci può essere più alcuno spazio per Allegri. La contestazione nei suoi confronti deve essere ferma, civile ma dura.
Per uscire da una spirale involutiva dentro la quale, stagione dopo stagione, si stanno bruciando risorse, economiche e tecniche, è necessario ripristinare i valori che, fin dal giorno della fondazione, hanno caratterizzato la Juventus e rappresentato milioni di tifosi nel mondo. Il cambio di rotta deve essere immediato e deciso, in società e in panchina. 
Serve un tecnico che si mostri integro e verticale. Un uomo in grado di guardare dirigenti e giocatori negli occhi e assumersi le proprie responsabilità. 
Un uomo che sia a tutti gli effetti una guida, un condottiero (a scanso di equivoci, nessun riferimento ad Antonio Conte, la sua storia con la Juventus già compromessa con la fuga del 2014 deve essere considerata definitivamente troncata dopo il suo ingresso nell'Inter).
Un uomo dinanzi al quale nessun giocatore possa cercare di accampare scuse e giustificazioni ma da cui nessun giocatore possa vedersi additato come responsabile unico di un risultato negativo.

Per la società è necessario compiere un passo in avanti. Assumere finalmente una visione differente che riporti la Juventus a riprendersi la storia che le appartiene. Non si tratta di vincere sempre, ma di ripristinare valori quali serietà, dedizione, consapevolezza  nei quali generazioni di tifosi si sono sempre riconosciuti.
Non si tratta nemmeno di giocare bene, di attaccare piuttosto che difendere ma di recuperare l'entusiasmo, la gioia, l'orgoglio di appartenere a questo infinito sogno chiamato Juventus che nel lontano 1897 un gruppo di studenti regalò al mondo scegliendo un nome unico, capace di travalicare ogni confine, ogni banale campanilismo e nel quale chiunque potesse identificarsi e scegliere di essere rappresentato. Sarebbe interessante chiedere a quei ragazzi, che ancora oggi mi piace immaginare raccolti attorno a quella panchina, se riconoscono la loro Juventus in quelle undici maglie bianconere che si muovono spaventate sul terreno di gioco.
La squallida figura rimediata contro il Benfica da società (con le pessime dichiarazioni di Arrivabene al quale, evidentemente più digiuno di calcio di quanto potessimo pensare, andrebbe spiegato che i tifosi, tra biglietti e maglie, i soldi alla società già li hanno dati. Non è colpa di quel tifoso se i soldi vengono poi dilapidati in assurdi contratti come quello di Allegri), allenatore  e squadra (che almeno ha avuto la dignità di guardare negli occhi il pubblico mentre veniva contestata) deve essere necessariamente messa alle spalle. La Juventus riprende la sua corsa in campionato facendo visita al neopromosso Monza, per un incontro dal quale deve ricominciare a recuperare qualche certezza per il prosieguo di una stagione che rischia di diventare perfino troppo lunga. 
Lo squalificato Allegri, sostituito in panchina da Landucci, presenta Perin tra i pali, protetto da una linea difensiva formata da De Sciglio, Bremer, Gatti e Danilo. McKennie, Paredes e Miretti compongono il trio di centrocampo, mentre in avanti Di Maria e Kostic avranno il compito di ispirare Vlahovic. 
Il Monza, reduce da un solo pareggio nelle prime sei gare e con in panchina il nuovo allenatore Palladino, chiamato a sostituire Stroppa, risponde schierando Di Gregorio; Marlon, Pablo Marì, Izzo; Ciurria, Sensi, Rovella, Pessina, Carlos Augusto; Caprari, Dany Mota. In condizioni normali, impossibile immaginare un esito diverso da una vittoria bianconera.
Il tifoso ritrova la solita scomoda sedia nel momento in cui le squadre entrano in campo. La regia dedica un primo piano ad Allegri, ancora seduto nel box a lui riservato. Subito dopo le telecamere staccano sul trio dirigenziale. Volti tesi ed espressioni scure per tutti, in particolare per Nedved, uno che probabilmente non ha mai completamente assorbito il ritorno del tecnico toscano.

Esaurito il cerimoniale introduttivo, l’arbitro Maresca autorizza il calcio d'inizio. La gara parte con la Juventus che prova a proporre immediatamente alcune iniziative offensive. Particolarmente attiva in avvio la zona sinistra del campo, dove Miretti e Kostic danno vita a un paio di discrete azioni che però non arrivano ad impensierire la porta di Di Gregorio. Sembrerebbe un inizio almeno incoraggiante per i colori bianconeri, invece quello che attende il tifoso nel prosieguo dei novanta minuti è uno strazio senza fine. Questa volta la Juventus non ha nelle gambe e, forse, soprattutto nella testa, nemmeno il misero quarto d’ora di discreta intensità esibita in quasi tutte le partite disputate in stagione. Fin da subito, dalla tv si coglie una squadra che pare stanca, sfiduciata, a tratti avvilita. Una squadra che sembra essere scesa in campo soltanto perchè costretta. Le espressioni sui volti dei giocatori, che si colgono dai fin troppi primi piani proposti dalla regia, non lasciano spazio a particolari aspettative per il prosieguo della partita.
Miretti è l’unico elemento che, in qualche modo, cerca di distinguersi nella massa informe di maglie nere che si muovono senza alcuna idea sul terreno di gioco. Il giovane centrocampista copre praticamente l’intero campo, lottando a contrasto e assumendosi in fase di impostazione responsabilità forse anche troppo grandi per quello che può dare in questo momento, che già è tanto ma non può essere tutto.
Con il passare dei minuti la Juventus, ammesso si sia mai accesa, progressivamente si spegne, avvitandosi su se stessa mentre il Monza, diretto da un Rovella che continua a dimostrare quanto di buono messo in mostra nella primissima parte della stagione giocata in maglia bianconera, guadagna metri di campo e fiducia. La squadra di Palladino prende senza particolari sforzi il controllo del pallone e riesce a tenere la partita prevalentemente nella metà campo avversaria. Non arrivano veri pericoli per la porta di Perin a causa di un livello tecnico non eccelso (Caprari e Dany Mota compongono forse la coppia d’attacco meno incisiva di tutta la serie A), ma i tiri in porta di un brutto primo tempo sono tutti per i padroni di casa, che riescono ad impensierire Perin in un paio di occasioni, con Rovella e poi con Ciurria.
Invano Allegri, dalla tribuna, prova a cercare una chiave per imprimere una svolta all’ennesima prova orribile della sua squadra, modificando il sistema di gioco.
433. 442. 352.
Con qualsiasi tipo di composizione, la Juventus presenta la solita manovra lenta e impacciata e le altrettanto solite difficoltà nel proporre un recupero palla avanzato. Manca anche qualsiasi tipo di sincronia tra i giocatori bianconeri. L’uomo in possesso della palla è costretto a più tocchi prima di avere la possibilità di passaggio, quasi sempre all’indietro. I reparti sono slegati, manca intesa, manca coordinazione. Si procede per improvvisazione. Gli esiti sono deprimenti.
Un passaggio corto vede il ricevente scattare profondità.
Un lancio profondo vede il ricevente venire incontro. 
In un crescendo di confusione che esaurisce ben presto la pazienza e la buona volontà di chi sta a guardare uno spettacolo pietoso.
Il piccolo gruppo davanti alla tv, cerca una soluzione. Qualcuno indica in Kean un’alternativa per ottenere maggiori soluzioni in attacco.
Qualcun altro propone Fagioli, per alzare il tasso tecnico del centrocampo.
Il tifoso davanti alla tv invece assiste rassegnato a quanto sta accadendo sul terreno di gioco, ormai convinto che non è più una questione di uomini e di moduli. Un grave problema, non l’unico ma comunque fondamentale, di questa Juventus siede in panchina. Non esistono sono soluzioni diverse da un taglio drastico.

E così, mentre la Juventus trascina la sua partita, stanca, vuota, persino annoiata, il Monza acquisisce sempre maggior coraggio. Addirittura alza la linea di pressione con Izzo e gli altri difensori che si spingono anche oltre la metà campo per disturbare i giocatori juventini in possesso del pallone. Accade quindi che Di Maria, quando mancano cinque minuti alla fine del primo tempo, abbia la brillante idea di colpire Izzo, autore di una trattenuta prolungata, con una gomitata nel costato. Il gesto è evidente e non giustificabile. L’arbitro Maresca vede tutto e caccia l’argentino.

La Juventus adesso è ad un passo dal baratro.
Sulla sciocchezza di Di Maria, testimonianza di un nervosismo crescente anche nei giocatori, il primo tempo si conclude. 
“Ogni stramaledetta domenica”
Gli amici che accompagnano l’intervallo con i loro messaggi stavolta esplodono. L’insofferenza che si respirava anche su whatsapp nelle ultime settimane, è ormai sfociata in una forte intolleranza verso una situazione insostenibile. Pur non ritenendo di risolvere tutto cambiando la guida tecnica, la sostituzione di Allegri appare ormai come un evento necessario e non più procrastinabile.
I quindici minuti di riposo scorrono via addirittura troppo velocemente per il povero tifoso che non ha tanta voglia di tornare a sedersi sulla scomoda sedia per affrontare altri quarantacinque minuti di calcio inesistente sperando che accada qualcosa. Gli avessero detto qualche anno fa che sarebbero riusciti a togliergli la voglia di seguire la Juventus, probabilmente non ci avrebbe mai creduto.

Senza alcun cambio, le due formazioni si ripresentano dagli spogliatoi pronte a dar vita al secondo tempo. Niente sembra essere cambiato nei cuori e nelle menti degli undici uomini vestiti di nero. La Juventus continua a dare l’impressione di essere scesa in campo perchè costretta dal calendario. E’ subito il Monza a rendersi pericoloso con Dany Mota che spreca a pochi passi dalla porta un servizio invitante di Ciurria. Palladino capisce che la partita può regalare un’impresa alla sua squadra. Prova ad infondere vigore ai suoi con tre cambi in un unico momento. Escono Marlon, Sensi e Dany Mota. Entrano Caldirola, Barberis e Gytkjaer. Quest’ultimo ha subito sulla testa il pallone del possibile vantaggio ma non riesce a deviare in porta il cross di Izzo. Un primo piano del biondo attaccante all’improvviso rievoca nella mente del tifoso il fantasma di Gaich, l’autore del gol che permise al Benevento di espugnare Torino nell’anno della gestione Pirlo.
In campo sembra esserci solo il Monza. La partita resta in parità a causa dei limiti, grandi ed evidenti, di una squadra in grado di raccogliere un solo punto nelle prime sei giornate di campionato. Carlos Augusto impegna Perin dalla distanza. Allegri passeggia nel suo box. Le espressioni dei dirigenti in tribuna sembrano più scure rispetto all’inizio della gara. 
Quando mancano meno di venti minuti alla conclusione, la partita si decide. Segna proprio Gytkjaer, bravo ad infilarsi tra Bremer e Gatti, talmente concentrati sulla palla da dimenticare l'uomo che puntava la porta, e a correggere in rete l’ennesimo cross tagliato di Ciurria verso il cuore dell’area. La rete del Monza viene accolta con la rassegnazione verso un evento che appariva inevitabile e continuava ad essere rimandato soltanto per limiti dei nostri avversari.
Sotto di un gol e con lo spettro di una clamorosa sconfitta a danzare sull’uscio di casa, Allegri prova a cercare da quella panchina così poco apprezzata nelle dichiarazioni della vigilia le risorse per riequilibrare la gara. Uno spento Kostic lascia il posto a Kean, che ha sulla testa l’unica occasione da gol che capiterà agli ospiti in tutto l’incontro. Sul cross di McKennie, probabilmente al suo primo pallone toccato, il nuovo entrato salta nel cuore dell’area ma da favorevole posizione non riesce a fare di meglio che passare la palla a Di Gregorio.
Il cronometro scorre lentissimo verso il novantesimo. Quasi divertendosi a prolungare il supplizio di tutti i tifosi bianconeri chiamati ad assistere all’ennesimo scempio. Siamo tutti perfettamente consapevoli che la Juventus non sarà mai in grado di segnare e che la sconfitta sia ormai certa
Allegri si agita nervoso nel suo box, come se un pareggio strappato nei minuti finali potesse cambiare la valutazione di una partita squallida. Entrano anche Fagioli e Soule per gli ultimi cinque minuti. Ennesima dimostrazione di un uomo ormai in confusione.
La gara scivola verso la conclusione. 
Ancora un primo piano della dirigenza. Lo sguardo di Nedved è sempre più cupo. Arrivabene invece ha l’aria preoccupata di chi forse sta iniziando a fare i conti per capire quanto chiedere a quel tifoso per poter pagare un nuovo tecnico. A questo punto il cambio sembra inevitabile.
Ripensando all’uscita infelice di Arrivabene, viene quasi da domandarsi come una persona come Elkann possa farsi rappresentare da questo personaggio.
Tra le continue perdite di tempo da parte dei padroni di casa, i cinque minuti di recupero, divenuti sette, si esauriscono. Si sarebbe potuto giocare anche fino al giorno dopo, la squadra di Allegri non avrebbe mai segnato.
E così, mentre la squadra, guidata da Bonucci, si schiera di nuovo sotto la curva che accoglie i tifosi ospiti per subire una nuova contestazione e il tecnico scompare dal box, inghiottito dal ventre dello stadio Brianteo, il piccolo gruppo di ascolto davanti alla tv, si scambia occhiate smarrite.
“Questo è il fondo”

Nel momento in cui questo pezzo viene sottoposto all’approvazione da parte della redazione, Allegri si trova ancora al suo posto, per la felicità degli ormai pochissimi seguaci rimasti accanto al tecnico in quello che ormai è un vero e proprio atto di fede. In una contestazione ormai continua e inarrestabile, capita ancora di leggere sui vari forum qualcuno capace di difendere l’indifendibile e scrivere letterine d’amore al caro Max. Del resto, sono quelle persone che hanno avvelenato la stagione di Sarri, passata per fallimentare nonostante lo scudetto, con continui paragoni con il predecessore.
“Con Max questa non la perdevi mai”
“Max te la faceva vincere così” Oggi che il loro re è nudo, che tutti i nodi sono infine giunti al pettine, per questi personaggi la colpa è della rosa, inadeguata per competere contro le “corazzate” in testa al campionato di Serie A. Una squadra di nazionali, di gente che parteciperà all’imminente Coppa del Mondo, non sarebbe all’altezza di battere Sampdoria, Salernitana e Monza.
Quando vincevamo era tutto merito di Max, adesso la colpa è della squadra. 
Qualcosa non torna. 
L’esonero tarda ad arrivare. Il tifoso bianconero, seriamente preoccupato di rivedere Allegri alla Continassa alla ripresa degli allenamenti, ripensando alle parole di Arrivabene, si dichiara disposto ad acquistare una maglia immediatamente dopo l'allentamento del tecnico. Un piccolo contributo (peraltro mai fatto mancare) affinché venga chiusa definitivamente una delle pagine più brutte della storia bianconera.
Ma per favore, Dottor Arrivabene, cacciatelo via. 
Ridateci la Juventus. Quella così bene narrata sui muri del nostro museo. 

PAGELLE 
PERIN 6 Sul gol che determina la sconfitta non può fare nient’altro che guardare. Si fa trovare pronto quando il Monza lo chiama in causa.
DE SCIGLIO 5,5 Sta lì, sulla destra. Il massimo che si può pretendere è che non faccia danni. Continua a tenere il posto che dovrebbe appartenere a qualcun altro. In avanti non si vede proprio mai.
(SOULE’ SV Entra a cinque minuti dalla fine)
BREMER 5,5 Attirato dal pallone, guarda Gytkjaer sfilargli indisturbato davanti in occasione del gol senza riuscire ad intervenire. Appare incerto in diverse occasioni e poco sicuro in impostazione.
GATTI 5 Anche lui guarda soltanto il pallone e finisce per farsi prendere alle spalle da Gytkjaer in maniera piuttosto ingenua in occasione del gol. Trasmette una sensazione di poca tranquillità nella gestione del pallone. In un momento come quello attraversato dalla Juventus in questo periodo, preferirlo a Bonucci non sembra la scelta più lucida che un tecnico possa compiere.
DANILO 5,5 Come al solito gli tocca ricoprire più ruoli a causa della confusione tattica che attanaglia la squadra bianconera. Ha sulla coscienza l’errore nella gestione di un contropiede in cui sbaglia la scelta decisiva, vanificando una situazione di netta superiorità numerica.
MCKENNIE 5 Vaga per il campo senza dare la sensazione di essere mai in partita. Continua a lasciare l’impressione che quando non segna non sappia come rendersi utile alla squadra. Due buoni cross e nient’altro in novanta minuti. Troppo poco.
PAREDES 5 Dopo un paio di buone partite, inizia a ricordare molto da vicino Locatelli. Lento, confusionario, falloso. Perde nettamente il confronto con Rovella. E’ l’ennesima dimostrazione che la soluzione ai problemi della Juventus non passa soltanto dal mercato dei giocatori. Nel frattempo la società continua a dilapidare risorse.
MIRETTI 6 Come al solito, gran parte delle iniziative degne di nota della Juventus lo vedono protagonista. Nonostante i 19 anni, gli viene richiesto di fare perfino troppo. Lui almeno dimostra la personalità necessaria per assumersi le responsabilità.
(FAGIOLI SV. Cinque minuti anche per lui. Non sia mai scoprissimo che è un buon giocatore)
DI MARIA 4 Dopo un tempo passato a cercare di capire come muoversi dentro una squadra che non prevede nessuno schema anche vagamente riconducibile al gioco del calcio, si arrende. Avvilito, rifila una gomitata a Izzo e si fa cacciare via. 
VLAHOVIC 5 Prosegue nel suo momento complicato. Ben presto isolato in avanti e mal supportato da una squadra che non esiste, perde subito la calma e in preda ad un forte nervosismo colleziona diversi errori. Un altro patrimonio tecnico ed economico che rischia di finire bruciato sull’altare di Allegri.
KOSTIC 5 Un paio di spunti interessanti in apertura di partita per poi spegnersi senza dare più alcun segnale della sua presenza.
(KEAN 5,5 L’unica occasione da gol della Juventus capita sulla sua testa. Colpisce in maniera troppo debole e centrale. Si batte ma non può fare molto di più)

ALLEGRI SV Impensabile vederlo sulla panchina della Juventus un solo giorno di più. Ha avvelenato cuori  e menti con le sue assurde teorie completamente al di fuori da ogni logica proposta dal calcio contemporaneo. Ormai sembra soltanto interessato a difendere soltanto il personaggio che si è creato. Il suo percorso è finito. La società ne prenda atto e lo spedisca al Gabbione.
La misura è colma.