12 MARZO. Il calendario recita San Massimiliano.
Come in quell'enigma dalla soluzione a portata di mano, se si riesce a riconoscere il tratto di un disegno già scritto e di una strada già tracciata, solo da ripercorrere in un'altra dimensione. Era questo il destino di una serata memorabile, che raccoglie gli insegnamenti amari delle rimonte sfiorate di Monaco e Madrid, e ripaga generosamente tutti: calciatori, allenatore, società e tifosi, con sulla schiena il soffio forte di un karma positivo che rispetta il lavoro, la semina, il sacrificio.

'UNA COSA SICURA: SAREMO PRONTI IL 12'. Nel pieno della bufera mediatica scatenata da una prestazione molto al di sotto delle attese, nel mezzo di una delle solite conferenze stampa pre-gara di campionato, Massimiliano si lascia scappare parole nette e forse una speranza, con quel minimo di spocchia classica di livornese di scoglio. Sembrano scuse, accuse ad una condizione fisica che non gli avrebbe consentito di fare la partita che avrebbe voluto, senza il freno a mano di chi ha visto impotente la propria porta violata due volte su palla inattiva e nessuna reazione degna di nota.

L'OMBRA DI UNA STAGIONE FALLIMENTARE - Più ombre cinesi forse, quelle proiettate dalle dita contorte dei suoi notori nemici, estimatori del bel calcio, esteti, cultori del vincere convincendo. Uno scudetto mai in discussione non sarebbe bastato a salvare una stagione orfana troppo presto della Coppa Italia, abbandonata male e senza gioco. L'esito dell'andata dell'ottavo era troppo: una stagione in gestione, al risparmio, forti della superiorità tecnica, per arrivare alla partita più importante dell'anno scarichi, assuefatti dai ritmi bassi che in Italia bastano per dominare. Juventus troppo brutta per essere vera, e con un Ronaldo sterile e troppo costoso per portare a casa solo lo scudetto, dicevano.

A DISTANZA DI VENTI GIORNI - Con il tempo di mettere a meno diciotto la seconda in classifica, una luce sembra abbattere il buio e disperdere quelle ombre rischiarando lo stadium. Una formazione impostata su un sistema di gioco diverso, con qualche debuttante assoluto (Spinazzola), e qualche esclusione eccellente (Dybala), impone ritmi altissimi dal primo minuto. Un allegriano escamotage tattico con Emre Can, Spinazzola che ara efficacemente la fascia sinistra, il troppo sottovalutato Bernardeschi che finalmente distribuisce classe ad ogni giro e tocco di palla. Manca solo il timbro del campione, del Re più atteso, che non tarda e non tradisce: uno, due, tre timbri, con il rigore che sigilla una prestazione che farà storia, con lo stemma del casato che regna in Champions, che siano d'accordo o meno a France Football.

LA PARTITA PERFETTA - Una condizione fisica eccellente, una partita lucidamente condotta e portata a termine. Atletico annichilito e sovrastato tatticamente, come poche volte accaduto nella sua recente storia. Una remuntada che sa di beffa per chi sentiva già di poter sognare di disputare una finale in casa e che esce sempre con le ossa rotte dagli scontri contro CR7. Non era un bluff quello di Allegri, non era un'arrampicata sugli specchi né il tentativo di salvare la dignità della sua, allora e forse ancora, probabile ultima stagione alla Juventus: il 12 marzo sarebbero stati pronti, per una serata al Max, l'ennesima.

 

Paolo Costantino