Una faccia da bravo ragazzo porta la Coppa dalle grandi orecchie mostrandola al pubblico: È Shevchenko, l'inimitabile Ronaldo dell'Est, come lo chiamavano per accostarlo all'unico Ronaldo fenomeno fino ad allora. Sarebbe dovuto venire ancora, infatti, il Cristiano, oltre l'altro Messia con la maglia blaugrana. L'uomo dai cinque palloni d'oro, dai record di gol stagionali frantumati anno dopo anno.

Inizia la partita. Il Liverpool ha un solo modo per poter giocare questa finale: pressing alto e asfissiante sull'impostazione del Real, distanze corte tra compagni e tra reparti, ritmi frenetici in cui esaltare Salah e Manè. Il Real sa che lasciare campo ai due potrebbe risultare fatale e ne concede poco, rendendosi vittima sacrificale dei primi minuti, in cui pensa più a gestire l'aggressività dei rossi che a costruire. La sensazione è che il Liverpool possa piazzare la zampata da un momento all'altro.

Ma cambia la partita. Forse fortuna, forse la malizia di un difensore navigato: Sergio Ramos trascina giù Salah, non prima di avergli agganciato il braccio destro. L'impatto con il suolo del faraone è innaturale e nasce da una rotazione costretta e vincolata dal madrileno. Salah è supino e in lacrime. Guarda subito il cielo e sa che quel dolore potrà cambiare la sua finale e la sua storia al mondiale. Klopp è teso e i suoi uomini sanno che la partita adesso è più in salita. Lo sanno anche i tifosi, perché questa sarebbe potuta essere la notte di Salah, coronamento di una stagione esaltante, da pallone d'oro

In campo calano i ritmi. C'è il contraccolpo. Manca l'uomo chiave della gran parte delle azioni offensive del Liverpool. Il Real sente la difficoltà ed inizia a spostare il proprio baricentro più su, complice una minore pressione dell'avversario. La partita scorre fino alla fine del primo tempo, con fino ad ora uno zero a zero che alla vigilia risultava piuttosto improbabile. Ci si aspettava una partita in cui si potrebbe vincere segnando un gol più dell'avversario e non prendendone uno meno.

E infatti nel secondo tempo si aprono le danze del gol. Benzema che scappa sul filo del fuorigioco non riesce a raggiungere la palla, ma riesce molto bene ad incutere quel pizzico di timore misto a confusione a Karius, il quale trova in quei classici centesimi di secondo di follia, la volontà di cui ti penti prima ancora di aver compiuto il gesto, di passare la palla ad un compagno con un passaggio ad altezza caviglia. Passa di là proprio la caviglia di Benzema, che lo punisce come un serpente velenoso che ti colpisce appena ti distrai e la palla finisce in porta all'angolino rotolando senza pietà. Raramente in una finale di Champions un gol così goffo. Il Real è forte, figuriamoci con i regali.

Il Liverpool non si perde d'animo. Pareggia con Manè su una palla inattiva in cui lui è il più lesto a trovarsi davanti alla porta. La partita è così ancora incerta. Le squadre si fronteggiano, ma sono lontani i tempi del pressing rosso dei primi minuti. Il Real inizia a costruire di più, con la solita disinvoltura di chi conosce i propri mezzi. Come nella partita con la Juventus, esce sulla distanza e tesse la tradizionale fitta rete di passaggi più tecnici che tattici, addormentando l'avversario per poi infilarlo al momento giusto. Entra Bale e viene in mente a tutti che si permettono il lusso di tenere in panchina i fenomeni. E infatti, Bale ci mette poco a fartelo vedere: solita palla con il contagiri di Marcelo e un unico pensiero universale dal Dio del calcio infuso nella mente del Gallese che si catapulta in cielo e colpisce la palla alla Ronaldocontrolajuve. Palla all'incrocio. Game over non nella partita ma nella testa di tanti sì. 

Adesso il Real ha in mano la partita. Il Liverpool prova a dimenarsi e colpisce anche un palo che pareggia quello di Isco a porta quasi spalancata. Non c'è neanche fortuna. Intanto il dramma di Karius è già in esecuzione, lo è da quella palla passata a Benzema. E come il cane che si avvicina sempre a quelli che hanno più paura, annusando quasi lo stato d'animo, Bale avanza sulla trequarti, si aggiusta la palla, e tira. Niente di irresisistibile, per un portiere normale, ma per il Karius nel dramma di stasera, è un bolide che gira ed assume traiettorie nuove. Tre a uno e game over anche della partita.

Si aspetta il fischio finale per alzare la storica terza coppa consecutiva. Zidane diventa il primo allenatore a riuscirci. Mai eliminato in Champions. Viene scritta la storia di una delle squadre più forti di sempre. Si festeggia, ma nenche poi tanto, forse sono abituati. Non sono vittorie scontate ma quando vinci la terza, per quanto ne possa dire Zidane in conferenza, sei diventato un abitudinario e le abitudini, si sa, danno gusto fino ad un certo punto. Non a caso Ronaldo, anziché festeggiare come si converrebbe ad uno che sale sul tetto d'Europa, non perde tempo per andare alle tv a chiedere velatamente un congruo ritocco all'ingaggio nel salutare i suoi tifosi, annunciando nei fatti che potrebbe andare via. 

Da Kiev la cartolina è quella degli ultimi due anni. Il Real è squadra tosta, difficile da battere, fortunata. Ma è anche una squadra che sa soffrire. Zidane ha preso dai suoi allenatori italiani il meglio. Sa gestire un gruppo di campioni come pochi. Magari se allenasse il Tuttocuoio farebbe pochissimo, forse. Ma quando chiesero all'Avvocato Agnelli se si sentisse fortunato nell'avere quella ricchezza lui rispose che nella vita si può diventare ricchi in tre modi: per accumulazione, per speculazione e per eredità. E disse che lui aveva ereditato, ma si sentiva addosso il merito di non avere sperperato. Ecco, Zidane, con classe, è uno che non ha sperperato. Chapeau!

 

Paolo Costantino