Nazim Hikmet avrebbe saputo trovare parole al miele per descrivere quel sentimento, seppur misto, negli occhi di un bambino cresciuto abbastanza per saper riconoscere il sapore di un addio. Amaro, come gli ultimi mesi di un viaggio di cui non riesci a gustarti più il presente, perché il futuro e la meta sono lì, a una manciata di miglia, e li conosci già. 

U picciriddu, per una sera, ha provato a fare il grande. E le ha trattenute, le lacrime, per tutta la partita e soprattutto alla sostituzione che tutti, compreso lui, aspettavano.The Last dance l'ha vissuta dentro, a ogni stop, ogni corsa e ogni sguardo incrociato con i compagni, perché una storia d'amore per finire ha bisogno di essere vissuta fino in fondo e il coraggio di farlo non gli è mai mancato. 
Così come quando, appena arrivato da una caldissima piazza del sud che lo aveva svezzato, aveva indossato i 40 milioni di maglia spesi per lui senza lasciarsi intimorire dal freddo sabaudo e da promessa era diventato realtà in mezzo a tanti campioni. 
E sono arrivati, immancabili, gli scudetti.
E sono arrivate le grandi notti, quella con il Barcellona in casa, immensa, che lo aveva dipinto nella scuola di Atene di Raffaello, accanto a Platone e Aristotele, al centro di un progetto prospettico che guardava ad una finale di Champions, giocata male e persa peggio. 
Giocata male, sì, perché lui probabilmente è un calciatore d'altri tempi, uno di quelli che se avesse giocato quella finale negli anni '60 ne sarebbe stato il migliore in campo e forse l'avrebbe anche vinta. Modernità calcistica crudele, che divora la tecnica in nome delle velocità, delle fisicità e dei tatticismi. 
Ed è stata proprio la tattica la sua più grande nemica: nonostante Allegri abbia cercato di cucirgli addosso un tuttocampismo accentratore ed equilibratore, questo nel tempo non ha portato che un progressivo allontanamento dalla porta ed un abbrutimento dal punto di vista realizzativo. Quello che sarebbe stato un Sivori d'altri tempi è divenuto un calciatore normale di cui la dirigenza ha maturato nel tempo poter fare a meno.
Non a torto, forse, visti i ripetuti infortuni nei momenti cruciali delle stagioni, e vista la resa in campo che, tranne nell'anno di convivenza con il Ronaldo di epoca sarriana, non ha mai restituito la potenzialità realizzativa e l'incisività in più partite importanti.
La presenza di Chiesa, inoltre, pilastro della Juve che verrà, farebbe propendere per un attacco a tre con Vlahovic. Dybala ha mostrato in più occasioni di non poter ricoprire il ruolo di terzo attaccante di destra. Il mercato della Juve si muoverà anche in quella direzione e chiaramente è stata fatta una scelta. 

In quel pianto a dirotto, quindi, che non ha saputo nascondere il dolore di una perdita, non c'erano solo la profonda tristezza di chi parte e lo smarrimento di quello che sarà, c'era un incurabile rammarico di quello che poteva essere e non è stato, la rabbia di non essere stato sempre all'altezza dell'amore riservatogli e di non aver saputo trovare sempre uno spazio consono alla sua indubbia classe. 
Magari succederà in qualche altra squadra, neanche così lontana da Torino, ma nonostante questo Dybala rimarrà uno dei calciatori più amati di sempre in bianconero, perché la storia non si fa sempre e solo con le vittorie e a volte la più bella è proprio quella che non è stata mai scritta. 

Paolo Costantino