Da quando seguo questo sport, ho assistito tante volte all’addio di grandi bandiere che hanno segnato epoche, emozionato generazioni diverse di tifosi e difeso strenuamente i colori di una sola maglia, senza mai sfilarsela come se l’avessero tatuata sulla propria pelle.

Alcuni saluti mi hanno coinvolto emotivamente più di altri, ma, a prescindere dai colori indossati dai campioni che più o meno mestamente ponevano fine alla propria carriera, ogni volta sentivo una piccola parte del mio animo da tifoso spegnersi. Il motivo è semplice, avvertivo sempre più vicino il crollo di un regno immaginario, eroicamente difeso da coloro i quali non si sono mai lasciati convincere dalla bramosia di denaro e di gloria, in nome di un ideale più alto e di un sentimento impossibile da spiegare.

Ogni ultimo giro di campo, ogni standing ovation, ogni lacrima versata dai tifosi mi ha indotto a pensare che la fine di un calcio fatto di passione stesse giungendo e che sarebbe stata seguita da un’era caratterizzata dalla cupidigia, nella quale le favole avrebbero trovato sempre meno spazio.

Di conseguenza, allo stesso modo in cui un trauma plasma il proprio carattere, tutti questi addii hanno modellato la mia forma mentis calcistica, portandomi ad analizzare le situazioni in maniera pragmatica e distaccata.

È proprio per questo motivo che ritengo non criticabile la volontà di Maurizio Sarri di allenare la Juventus, poiché, valutando la situazione oggettivamente, è la scelta migliore per la sua carriera, da un punto di vista economico e di prospettive di vittoria. Alcuni mi risponderanno che ciò che il tecnico ex Napoli ha fatto è sinonimo di incoerenza, e io dirò che sono d’accordo, anzi, per meglio dire, lo sarei se credessi ancora in quel calcio fatto di valori genuini. Poco importa delle offese, dei diti medi mostrati agli juventini, Sarri ha scelto di diventare l'allenatore di una delle rose più forti al mondo, senza basarsi sui colori che avrebbe rappresentato, ma con il luccichio del denaro e dei trofei riflesso nell’iride. Il tecnico toscano ha coscientemente preso la decisione di essere uno dei tanti, di quelli che vincono e restano nella storia e negli almanacchi ma non nei cuori e nei racconti che le generazioni di adesso faranno un giorno ai propri figli.

Quindi cari amici napoletani, lo so che molti di voi si sentiranno traditi e delusi, ma approfittate di questa esperienza per imparare, ancora una volta, un’amara lezione: gli uomini vanno e vengono, pochi sono quelli che, nonostante tutto, sono in grado di anteporre i sentimenti al proprio tornaconto, ma vengono da un calcio che non ci appartiene più. Oggi tutto ciò che ci resta è la maglia, perché l’amore per i nostri colori, a prescindere da quali essi siano, nessuno ce lo può portare via, nemmeno firmando il contratto più ricco del mondo.