Nel giorno successivo alla conferenza stampa di Francesco Totti al Coni, appare chiaro che qualcosa all’interno della società Roma non funzioni. In realtà, già le sole dimissioni dell’ex capitano giallorosso avevano destato sconcerto e lasciato intravedere una situazione tutt’altro che rosea, poiché per convincere “Er pupone” a lasciare Trigoria ci vuole ben più di una semplice incomprensione.

Nel salone d’onore del Coni si è assistito a qualcosa di mai visto prima, ossia una conferenza nella quale si ha l’impressione che il protagonista dell’intervista stia dicendo la verità, senza rifugiarsi in frasi di circostanza e ipocrisie del caso. Allo stesso tempo non si deve incappare nell’errore di prendere per oro colato tutte le parole pronunciate da Totti, poichè non si può valutare una situazione così delicata dall’esterno e senza conoscerne tutte le sfaccettature.

La sensazione che aleggia però è che nella sofferenza dello storico 10 della lupa risieda l’insoddisfazione di non aver potuto contribuire a fare ciò per cui ha sempre dato tutto se stesso, ossia aiutare la Roma a competere ai massimi livelli. Totti si è ritrovato, citando le sue stesse parole, a “sentirsi un peso”, nonostante sapesse di avere le capacità per rendersi utile alla causa romanista, cioè allo stesso modo in cui probabilmente si è sentito negli ultimi due anni di carriera calcistica.

A prescindere da quanta fiducia si voglia al fuoriclasse romano, Pallotta e Baldini escono da questa conferenza in ginocchio, perché ciò che è stato detto pesa eccome. Era cosa risaputa che l’ingresso di Totti in società rappresentasse anche una mossa fatta per compiacere i tifosi, tuttavia non ha alcun senso averlo insignito di una carica delicata e fondamentale nella società senza poi affidargli anche i diritti e i doveri del caso. Chi altri avrebbe potuto aiutare a gestire situazioni spinose e prendere decisioni fondamentali per il futuro meglio di chi a Trigoria ha vissuto 30 anni della propria vita? Inoltre è aberrante che in due anni il presidente non si sia degnato di comunicare personalmente, o quantomeno tramite terzi, con quello che è un dirigente, oltre che una figura storica della propria squadra.

E’ proprio questo probabilmente il punto della questione, Francesco Totti è più grande della Roma stessa e Pallotta non poteva accettare un personaggio così ingombrante in società, e ha di conseguenza deciso di relegarlo ad un ruolo marginale. Seguendo questa teoria, si spiegherebbe anche l’addio forzato di De Rossi, il quale, su scala inferiore rispetto al suo ex capitano, rappresentava un ostacolo al dominio che il presidente americano vuole avere, il quale si estrinseca tramite i suoi fedelissimi a Roma, mentre lui resta geograficamente distante.

Questa volontà di Pallotta di voler ricoprire il ruolo di primadonna sta lentamente logorando società e ambiente, con i tifosi che chiedono la testa del proprietario americano e che faranno sentire la propria voce. I romanisti a questo punto sperano che la questione legata allo stadio e le tensioni convincano il magnate di origini italiane a lasciare la Roma. In caso contrario, la sua permanenza sarà tortuosa e ogni tentativo di cambiamento sarà vano, né le vittorie né lo stadio permetteranno ai tifosi di vederlo diversamente da colui che ha commesso il più imperdonabile dei peccati, ossia allontare Francesco Totti dalla Roma.