Il calcio è il calcio, non basterebbero libri per descriverlo. Ogni tentativo di definizione risulterebbe riduttivo, e non sarò certo io, semplice appassionato, a riuscire nell’ardua impresa.

Non posso esimermi dal dire che abbia provato a spiegare cosa rappresentasse per me, in particolare quando qualcuno lo accusava di essere una perdita di tempo. Ho sprecato parole, mi sono lanciato in sperticate lodi e ho edificato dedali di concetti, per poi realizzare solo successivamente che il mio interlocutore non aveva alcuna voglia di percorrere a ritroso il percorso segnato dal filo d'Arianna per arrivare a comprendere ciò che dicevo, o che forse quello stesso filo non esisteva.

Sono giunto alla conclusione che non è possibile spiegare il calcio a chi non vuole o non può capirlo, come non si può spiegare l’amore a chi non lo ha mai provato o far emozionare un cieco che si trova dinanzi ad un Van Gogh. Di conseguenza ho lasciato perdere, non perché mi fossi arreso, l’ho fatto per rispetto di una passione talmente grande da essere parte integrante di me e della mia quotidianità, che merita molto più delle mie indegne parole pronunciate a chi non ha orecchie per ascoltare. In fin dei conti cosa importa ? E’ davvero necessario che tutti capiscano quali sensazioni scaturiscono dalla visione di una semplice palla che rotola su un prato verde? No, non lo è. D’altronde se il calcio fosse comprensibile per tutti, perderebbe la sua unicità.
Non mi si venga a dire che non si possono spendere parole del genere per uno sport che vanta tifosi di ogni età, estrazione sociale, idee politiche e religiose, poiché tra l’essere accessibile a tutti e l’essere banale e ordinario ne passa. Non si può far intendere a chiunque il motivo per il quale durante quei novanta minuti ci si ritrovi in una realtà parallela nella quale i problemi ci abbandonano e le emozioni amplificate ci imbrigliano e ci trascinano, variando repentinamente tra rabbia e gioia, sconforto e esaltazione, in un’esperienza al limite del mistico. D’altra parte, non posso dare torto a chi mi dice che ci sono cose più importanti, nulla di più vero.
Esiste un numero tendente all’infinito di cose che contano più di un semplice sport, ma ciò non implica che lo si debba sminuire. Perseguire la propria passione non può mai essere un errore poiché non impedisce in alcun modo di dedicarsi alle cose definite “più importanti”. Non mi risulta che tifare abbia mai rappresentato un ostacolo al raggiungimento del proprio obbiettivo nella vita, né che sia d’intralcio all’essere un buon genitore, un onesto cittadino, un saggio mentore e così via. Nel mio mondo, utopico ma non troppo, il calcio è un insieme di valori positivi. In quest’epoca di estraniazione e isolamento, essere uniti ad altri individui solo perché si hanno nel cuore gli stessi colori è meno scontato di quanto possa apparire. Avere una possibilità di riscatt

Ho capito solo nel tempo il motivo per il quale le persone giudicano negativamente noi tifosi e credo che non esista frase più calzante per esprimerlo di quella pensata da un grande del passato che con il calcio aveva nulla a che fare, Friedrich Nietzsche diceva: ”Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica”.
Allora continuerò a ballare, non interessandomi del parere di chi mi considera folle, e a chi mi dirà, per l’ennesima volta, che esistono cose più importanti, mi limiterò a rispondere che “il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”.