Breve ma necessaria premessa a questo articolo: chi lo sta scrivendo non ha l’età per poter dire di aver vissuto a pieno gli anni di cui si tratterà in questo elaborato, di conseguenza non c’è alcuna pretesa di parlare di cambiamenti tattici, societari o del gioco del calcio in generale da un punto di vista oggettivo, poiché sono convinto che niente ti possa far comprendere un periodo quanto averlo vissuto.
Le mie riflessioni si incentrano sulla sfera emotiva, cioè sulle sensazioni che il calcio è capace di generare in noi, quella serie di emozioni che si susseguono e si intrecciano nelle nostre menti e nei nostri cuori ogniqualvolta osserviamo, per 90 o più minuti, quella palla rotolare su un immenso prato verde.

Ho un ricordo ancora nitidissimo, nonostante avessi solo 6 anni, di quando impazzava per le radio la canzone Marmellata #25, interpretata da Cesare Cremonini, malinconica ma godibile e ritmata. La ascoltavo con le orecchie di un bambino, incapace e soprattutto poco interessato a confronti con il passato e riflessioni sul tempo che scorre mutando ogni aspetto della vita umana in un perpetuo panta rei. Nemmeno il calcio è immune da questo flusso che modifica ogni cosa, ma io non lo sapevo o, per meglio dire, non avevo modo di saperlo in quanto non avevo alcun termine di paragone con il passato.

Dopo qualche anno però mi capitò di riascoltare quella famosa canzone di Cremonini, e al passaggio della celeberrima frase ‘Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica’, mi incuriosì. Da poco i miei genitori avevano acquistato il nostro primo computer e decisi di cercare dei video su questo Roberto Baggio. Certo, lo avevo già sentito nominare poiché seguivo il calcio già dai mondiali del 2006, ma non avevo mai potuto apprezzare le sue prodezze.

Il video iniziò e fu amore a prima vista. Rimasi imbambolato inizialmente, poi mi presero una serie di sensazioni che non pensavo una partita potesse dare: meravigliosi tocchi morbidi, passaggi geniali, tiri all’angolino basso e poi a quello alto, dribbling leggiadri e incontrastabili. Tutto quello che vedevo mi lasciava senza fiato, mi rapiva e mi trascinava in un mondo che trascende quello terreno e sfiora la dimensione onirica. Subito dopo arrivò il momento: le immagini mostrarono una partita tra Brescia e Juventus, Pirlo lancia per Baggio e il “divin codino” esegue un controllo che non oso descrivere poiché non avrei le parole adatte, salta il portiere e insacca.

Nella mia ancor breve vita non avevo mai visto, sportivamente parlando, tanta magnificenza.

Forse non parliamo del gol più della storia, forse nemmeno del più bello di Baggio, ma fu quello che mi fece definitivamente innamorare di questo splendido sport che ad oggi osservo e difendo con ardente passione.

Nonostante le centinaia di partite viste, non ho mai più provato nulla del genere, probabilmente. perché il primo amore non si scorda mai o perché non guardo più il mondo con gli occhi di un bambino e, ancora oggi, mi prende una sorta di nostalgia apparentemente immotivata per un periodo che non ho potuto vivere. Nel calcio moderno si sente parlare troppo di schemi, fair play finanziario, arbitri, VAR e non ci si meraviglia più per le piccole cose. Troppo spesso ci dimentichiamo che questo sport esiste perché per ogni tifoso è molto più di 22 uomini che corrono dietro ad un pallone, è vita.

E mentre trepidante perseguo l’illusione di poter osservare una giocata che mi faccia ricordare quelle emozioni, vorrei solo ringraziare, per quanto poco possa valere, l’uomo grazie al quale oggi sono qui a scrivere questo articolo e del quale racconterò ai miei figli, se mai dovessi averne.

Grazie Roberto.