Entusiasmo, fervore, caparbietà: alcuni dei tanti aggettivi che riassumono il cammino della nuova Italia targata Roberto Mancini. Serviva la svolta dopo il disastro di due anni fa. Una svolta strategica, tattica e operativa. Un trinomio perfetto per dare nuova linfa ad una compagine uscita distrutta dalla mancata qualificazione ai Mondiali, attribuendo Giampiero Ventura di un record che di certo non lo ricorderà come il miglior c.t. della Nazionale.

Roberto Mancini: sicurezza e personalità
Dopo il disastro della mancata qualificazione, serviva un cambiamento forte, quelli che possano garantire fiducia sia nei tifosi che all’interno dello spogliatoio. Di Biagio è stato condottiero per poche settimane, giusto il tempo di scegliere l’uomo giusto alla guida di una panchina tanto scottante. Si gira la ruota e via ai tanti nomi. La freccia sembra fermarsi a Massimiliano Allegri. L’idea che fosse l’ultima stagione sulla panchina della Juventus era nell’aria e si credeva ad un possibile approdo di Zidane alla squadra di Agnelli e di un Max possibile sostituto di Ventura. Ma niente. La freccia scorre e sembra posarsi sul nome di Antonio Conte, un ritorno di fiamma che avrebbe garantito tanta affidabilità nella mente degli italiani. Ma niente, nemmeno lui.
La freccia fa qualche altro giro di nomi (Inzaghi e Ranieri) ma poi si ferma del tutto sul volto di Roberto Mancini. Allenatore intelligente, capace di carpire le individualità dei giocatori e mescolarle nel cocktail perfetto del gioco di squadra. Un nome importante su una panchina importante; un nome che può conferire sicurezza e personalità, quello che serviva all’Italia; un nome conosciuto sin da quando era calciatore; un nome apprezzato che dava ossigeno alla piazza, ancora troppo frastornata dallo smog dei giorni passati.

Roberto Mancini: svolta strategica
Concedere spazio ai giovani è una delle prime peculiarità dell’allenatore. A volte si sente dire “diamo più spazio ai giovani, ascoltiamoli quando parlano”, ecco, Mancini li fa parlare sul campo. È consapevole della voglia che hanno nel fare bene e non si pone problemi a farli giocare nel proprio scacchiere. Non dimentichiamoci però una calamita perfetta da agganciare ai giovani: avere talento. Mancini concede spazio a chiunque, ove questi possiedono talento. Non è scontata come cosa visto che uno dei punti di forza della squadra è anche basata sulla capacità del singolo di sbloccare le partite difficili. Talento e maturità. Non a caso, ha convocato Niccolò Zaniolo prima che esordisse in Serie A, conoscendo già le sue doti, ma l’ha lasciato a casa, insieme a Kean, per un comportamento poco maturo. Anche qui sta il tatto dell’allenatore. Insomma, giovani e talentuosi vanno a braccetto, ma senza portare con sé la testa allora si hanno poche chance.
A tutto questo però, è bene alleggerire i carichi ed evitare troppe pressioni.
Infatti, a differenza di Ventura, Mancini ha eliminato il doppio allenamento e ha preferito valorizzare momenti di svago, dove i giocatori possono concedere momenti per stare fra di loro. Questo punto non è da prendere sotto gamba: è molto importante che i giocatori affinino un’intesa non solo sul campo, ma anche fuori. Bisogna eliminare le competizioni all’interno dello spogliatoio, non devono esserci; devono essere lasciate a casa le antipatie nei confronti di un giocatore perché magari in campionato è trascinatore di una squadra rivale. Questo non deve esistere, ma Mancini lo sa, ne è cosciente. Ne è la prova dell’esultanza di Immobile in campionato quando, contro il Torino, ha mimato il gesto di Belotti, proprio per smentire le accuse dei giornalisti su una presunta rivalità.
Smorzata, oltretutto, dall’abbraccio dell’attaccante del Torino sempre nei confronti del centravanti biancoceleste, nelle qualificazioni: dopo aver realizzato una doppietta, corre in panchina per abbracciarlo. Questo è segno della cura di Mancini, della meticolosità che ha nel tessere la tela perfetta per i suoi giocatori, affinché possiedano quella giusta armonia che gli occorre. E che dire, ci sta riuscendo a mani basse.

Roberto Mancini: svolta tattica 
L’idea di Mancini è quella di esporre un calcio propositivo, che faccia divertire e che non smetta mai di attaccare anche dopo aver chiuso la partita. Possesso palla per amministrare il gioco, attendere che gli avversari salgano in pressione ed ecco che arrivano le verticalizzazioni per andare in porta. In fase di possesso, Donnarumma cerca di far allargare i due difensori centrali, in modo che prendano il posto dei terzini già proiettati in avanti; i due mediani si avvicinano nella propria trequarti per dar manforte alla manovra, mentre il trequartista, rimane vicino all’attaccante per offrire una soluzione in più nel caso questa non ci fosse in difesa.
Quando l’Italia costruisce l’azione, diventa un 3-2-4-1, con un terzino che si aggiunge in fase di attacco e con la punta che si fa vedere tra le linee; Verratti e Jorginho che occupano il cuore del modulo, impostano la manovra. Il ruolo del terzino è fondamentale perché è da lì che arrivano la maggior parte dei cross.
In fase di finalizzazione, la squadra di Mancini è letale: 37 gol in 10 partite, con Immobile e Belotti veri cecchini là davanti e con un buon inserimento dei centrocampisti (Sensi è un vero esperto).
In fase di non possesso non esiste un giocatore che non difenda. Il trequartista si abbassa sulla linea del centrocampo insieme agli esterni, difensori e terzini restano vicini aiutati, non solo dal posizionamento della linea di centrocampo, ma anche ad uno dei due mediani che si posiziona davanti la difesa. Il modulo da 3-2-4-1 diventa un 4-1-4-1. Il pressing è importante per Roberto Mancini, ma lo usa sempre con il buon senso. Contro le nazionali di minore rilevanza, questo diventa asfissiante, così da rubargli facilmente il pallone e ripartite con la manovra offensiva; quando si incontrano squadre di maggiore spicco, abili nel far girare la palla, allora il pressing, viene adottato con maggiore prudenza.

Roberto Mancini: svolta operativa
Dieci vittorie alle qualificazioni su dieci partite; undici vittorie consecutive nel complesso; quattordici risultati utili consecutivi da quando è alla guida; tredici vittorie, quattro pareggi e due sconfitte.
Dati importanti, colmati da 37 gol e 4 soli subiti nel girone, non così scontato dopo la disfatta precedente. Le svolte tattiche si sono viste nella pratica: una squadra che continua ad attaccare anche dopo aver chiuso la partita (Liechtenstein e Armenia ne sono la dimostrazione); l’inserimento dei centrocampisti (Sensi ricorda Perrotta nel suo modo di aggredire l’area di rigore); il pressing coadiuvato dalle cabine di regia, con un Verratti che recupera una quantità esorbitante di palloni facilitando il lavoro alla difesa.


Insomma, la squadra di Mancini ha dimostrato concretezza. Ha riconsegnato fiducia nello spogliatoio (Florenzi ha affermato qualche giorno fa che il mister trasmette entusiasmo e che, umanamente, è il miglior allenatore mai incontrato) e sugli spalti. 30 punti nel girone e 30 e lode per il lavoro fatto.
Ora c’è l’Europeo come ultima prova: a giugno, l’occasione per Roberto Mancini di laurearsi come uno dei migliori condottieri della Nazionale.