Due americani a Roma

Se prima di americano ce n’era solo uno, adesso sono due: Dan e Ryan Friedkin, rispettivamente, padre e figlio. La scorsa estate, dopo una trattativa lunga, tortuosa, tanto da far presagire che ormai si fosse arenata, prelevano la società da James Pallotta. Proprio Pallotta, l’altro americano, che ha fatto esultare i tifosi due volte: quando è arrivato e quando se ne è andato.

Dubbi e scetticismi erano tanti, specie per il timore di trovare altre due figure speculari a quella precedente. E invece, pian piano, stanno acquisendo la fiducia del tifo, anche di quello più caldo, sia per il modo di porsi (silenziosi, ma contano i gesti) e sia per la loro costante presenza: allo stadio, dentro Trigoria, nello spogliatoio. Insomma, finalmente l’immagine del “capo” è reale, concreta e non più mitologica come gli anni precedenti.

Una Roma che sotto la loro guida appare più disciplinata in termini di organico, ma anche di scelte lineari e coerenti. Tira lo stesso vento dalle parti di Trigoria, cosa che, fino a qualche anno fa (basta rammentare le parole di Totti alla conferenza d’addio) sembrava ci fossero dieci tifoni contemporaneamente.

Lavorare silenziosamente

Perché è proprio quello che fanno. A Roma basta poco. Basta poco per conquistare la fiducia dei tifosi e basta poco per buttarla al secchio e vivere tutto il tempo da esiliati. I Friedkin non hanno scelto parole impattanti solo per creare fomento, ma parole confortevoli, quelle che mancavano nella Capitale:
[…] una responsabilità che prenderemo sempre molto sul serio.

E lo stanno dimostrando. Con la presenza, quella che mancava da troppo tempo. Sempre lì allo stadio e a Trigoria, pronti nel far sentire la loro vicinanza e ampliare il senso di responsabilità della squadra; parsimoniosi nelle spese, privilegiando lo snellimento dei contratti, senza cessioni di pilastri importanti del presente e del futuro; pazienti, confermando Fonseca (almeno rispettando i due anni di base del contratto), ascoltandolo e appoggiando le sue richieste sul mercato; lungimiranti, muovendosi con il nuovo sponsor (accordo con la “New Balance”) e pensando ad un nuovo spazio per lo stadio, dopo aver accantonato l’idea Tor di Valle; ascoltatori, perché i tifosi avevano chiesto il ritorno al vecchio stemma e, almeno parzialmente, saranno accontentati: la maglia di trasferta della prossima stagione dovrebbe avere proprio il vecchio logo.

La riservatezza ha un costo

Il loro modus operandi, a volte, sembra andargli contro. Perché non lasciando nessuna dichiarazione, non avendo una comunicazione ufficiale da parte loro se non attraverso l’ufficio stampa della Roma, lascia virare gli addetti ai lavori sempre su ipotesi. E forse è anche questo che amano di Fonseca. Il suo essere silenzioso come loro.

Basti ricordare la vicenda Dzeko: l’allenatore non ha mai detto esplicitamente cosa fosse successo e non ha mai smentito nessun litigio. Il suo modo elegante di sviare a domande scomode, che affondano nel gossip di Trigoria, piace tanto ai Friedkin. Fonseca si concentra solo sul suo operato, e questo, gli si ritorce contro: a gennaio, nonostante il primato ai gironi di UEL e il terzo posto in campionato, veniva già dato per spacciato a causa delle mancate vittorie negli scontri diretti. Insomma, veniva messa in risalto più l’ombra di Allegri che il lavoro del portoghese.

A quanto pare, la riservatezza ha un costo, ma questo non sembra intimorire i Friedkin che, anzi, sono sempre pronti a rispondere con i fatti.

L'assenza visibile contro la presenza invisibile

Non è un gioco di parole, ma quello che concretamente è avvenuto.
Da una parte Pallotta, una figura mistica, a tratti mitologica, che quasi mai ha presenziato all’Olimpico. Ancor meno a Trigoria. Un Presidente che non era sul campo e che faceva affidamento a Baldini, il suo braccio destro, ma che anch’esso non vedeva Roma da anni e che stanziava a Londra. La figura rappresentativa di Pallotta era Baldissoni, che ricopriva la carica da vicepresidente, ma si sa, quando non c’è “il capo” <<sono tanti i galli a cantare>>. Operazioni di mercato dolorose, dove ogni anno ci si preparava ad un processo di rifondazione, senza mai dare adito ad un progetto continuativo, ma sempre a singhiozzo. Se si facesse una squadra con le cessioni della Roma, staremmo parlando di una squadra che non lotterebbe solo per il quarto posto. Un’assenza visibile, dove i tifosi si ricordano solo di essere dei <<fucking idiots>>.

Dall’altra l’operato da agenti segreti, il lavoro sotto copertura dei Friedkin, che hanno creato un fil rouge con chiunque, dall’allenatore al General Manager, dai magazzinieri ai giocatori. Un rapporto di fiducia che comincia ad assumere una figura concreta anche con i tifosi, abituati a troppe promesse favolistiche, quando invece la loro richiesta era soltanto un po’ di verità e senso di appartenenza. La doppia sconfitta a tavolino – maturata per due ragioni differenti – deve essere ancora digerita, specie per la figura non troppo elegante che ha assunto l’immagine del club. Ma la loro presenza invisibile sotto la luce dei riflettori è qualcosa che piace, specie perché i gesti valgono più delle parole, e il caso Lega, ne è un esempio emblematico.

Il caso Lega: ricostruzione Juventus-Napoli

Juventus-Napoli si sarebbe dovuta giocare il 4 ottobre 2020. Poi, in seguito al documento rilasciato dall’Asl Napoli 2 e dalla risposta emessa dall’Asl Napoli 1 - per causa di un chiarimento richiesto dalla società -, la partita non si è più disputata. Si è arrivati ad un 3-0 a tavolino in favore della Juventus e un punto di penalizzazione ai danni del Napoli. De Laurentiis ha effettuato il ricorso che poi è stato accolto dal Collegio di Garanzia, con tanto di restituzione del punto di penalità e con la decisione di rigiocare la partita. La data di recupero era stata fissata per il 17 marzo e, solo dopo un accordo tra le due società, Napoli e Juventus, si è rinviata nuovamente al 7 aprile. Il nuovo rinvio ha mandato su tutte le furie la Roma.

Il caso Lega: l’ira della Roma

Hanno descritto i Friedkin come “incazzati neri” dopo aver appreso il nuovo rinvio di Napoli-Juventus. A ruota, in trend topic su Twitter, compariva l’hashtag “RinviateRomaNapoli”. La rabbia funesta della società e dei tifosi era causata dal fatto che i giallorossi avrebbero avuto meno tempo e meno energie – a seguito della trasferta con lo Shakhtar Donetsk – per preparare la gara di domenica, mentre il Napoli avrebbe avuto forze fresche e non limitate - dal recupero contro la Juventus – per il match all’Olimpico.

Insomma, la Roma avrebbe chiesto dei chiarimenti in merito a tutto ciò. Avrebbe chiesto il senso di questo rinvio. Soprattutto perché il regolamento afferma che, in seguito ad una partita rinviata, essa, si gioca nella prima data disponibile per entrambe le squadre. Che in quel caso era stata decisa per il 7 marzo.

Il caso Lega: la lettera

In merito a tutto questo, l’ad della Roma Fienga e il dottor Scalera, hanno inviato una lettera alla Lega per chiedere tutte le motivazioni che hanno portato a questa decisione e, soprattutto, quando tale richiesta da parte di entrambe le società – Napoli e Juventus – è stata effettuata.
Qui un estratto della lettera:

[…] Vi chiediamo soprattutto di renderci edotti delle idonee motivazioni di interesse sportivo che, come noto, devono essere alla base della vostra disposizione di rinvio in deroga. Allo stato, infatti, essa è del tutto priva di adeguata giustificazione salvo quella implicita di favorire il calendario del Napoli che avrebbe dovuto incontrare la scrivente società la successiva domenica 21 marzo […]

In queste parole pungenti si nota la rabbia della società.

Il caso Lega: la risposta

La Lega non ha avuto particolari difficoltà nel rispondere, scrivendo che “Tutto [è stato] fatto secondo le regole”. Non solo, ma oltre a ribadire la legittimità del loro operato, ha spiegato alla società capitolina che i 15 giorni menzionati nell'articolo 29 dello Statuto si riferiscono a impegni dei club legati alle Coppe europee, che non è quindi il caso del recupero tra Juventus e Napoli.

Queste le parole di Fienga:

La risposta della Lega sul rinvio della nostra partita con il Napoli dopo quello di Juve-Napoli? Non voglio commentarla perché è più ridicola della decisione originale. Le uniche motivazioni per cui sono state prese alcune decisioni non sono raccontabili. Immaginate cosa può succedere se si applicasse questa regola fino a fine anno, cioè che due squadre, quando non sono coinvolte le coppe, possono mettersi d'accordo per il rinvio di una partita.

La “sensizzazione” della famiglia Friedkin

Eppure, tutto questo fermento, anche se non ha portato ad un nulla di fatto, ai tifosi è piaciuto.
Questo perché ha dimostrato quanto la società sia vicina, non solo alla tifoseria, ma sente a cuore la Roma stessa, cercando di difenderla fino ai limiti del possibile. Una lettera così tagliente non è stata scritta a caso. Così come anche le parole scelte. Quel “vi chiediamo di renderci edotti delle idonee motivazioni di interesse sportivo” ricordano tanto alcune battaglie dell’ex presidente della Roma: il buon Franco Sensi.
Sensi che parlava del “vento del nord” o della “strategia della tensione” contro la Roma. La sua Roma. Le motivazioni dell’allora presidente erano tre: la scelta del campo neutro di Udine con il Vicenza; il posticipo della gara contro la Reggina e il posticipo della gara contro la Fiorentina. Sensi, che insieme a Cragnotti – ex presidente della Lazio –, dovevano allearsi “per sconfiggere il sistema”, quello che “favoriva solo le squadre potenti”, quelle dell’alta Italia.

E così, in questa pratica di “sensizzazione” i Friedkin sembrano riavvicinarsi a quel senso di appartenenza alla Roma, quel senso di responsabilità di cui parlava Dan stesso.
Poi, il tutto, non ha portato a niente. Però ai tifosi basta poco. Bastano i fatti, le azioni concrete. Perché ad essere dei cantastorie riescono tutti (o quasi), ma con i gesti, invece, si è in pochi. Davvero pochi.