Stagione 2009/10, esattamente 11 anni fa. Era il 27 marzo ed ero uscito con mia madre per fare una passeggiata. Era pomeriggio. Non era soltanto un orario un po’ atipico, ma anche una giornata molto atipica. O meglio, a quell’ora, in quel giorno, in giro per Roma, chi poteva esserci se non io e mia madre?
Perché il 27 marzo si giocava una delle partite più importanti della lotta al titolo. La Roma ospitava l’Inter. La Roma di Ranieri contro l’Inter di Mourinho. Due squadre divise da 4 punti. Ogni risultato sarebbe stato decisivo. L’Olimpico raccoglieva 75.000 spettatori, di cui 5.000 unità nerazzurre. E ricordo ogni minimo dettaglio.
Vivevo come se fossero stati anni 70/80. In giro, a fianco di mia madre, ma completamente isolato dalla sua voce, dai rumori della città, dai boati, da tutto. Avevo un MP3 nero che faceva anche da radio e mi immaginavo tutto come se fossi seduto in uno di quei seggiolini blu. Non era il mio primo approccio al calcio, ma sicuramente quello più meticoloso dopo i Mondiali del 2006. Cuffie all’orecchio e disegnavo con la mente i 22 giocatori in campo descritti da Francesco Repice. Il gol di De Rossi lo sentii passeggiando. Urlai talmente tanto che la gente non capiva. Giustamente, chi doveva capire stava a casa o allo stadio.
Il gol di Milito e il gol di Toni, invece, li sentii a casa, da un canale televisivo di un emittente locale che commentava la partita in diretta. Quel giorno ero in estasi. A -1 dall’Inter, della grande Inter di Mourinho, quella che poi, di lì a qualche mese, avrebbe vinto tutto. Lui, lo Special One, che dopo 11 anni avrebbe scelto la squadra dai “zero tituli”, con lo stupore di tutti. Perfino di chi ce l’ha portato.
Perché in quel Roma-Inter il destino era già scritto, nessuno avrebbe potuto cambiarlo. E così, dopo 11 anni, da che lo vedevo come il nemico numero 1, oggi, mi trovo a scrivere di lui.

L’annuncio di José Mourinho è stato uno dei più grandi impatti mediali del ventennio

L’annuncio di José Mourinho alla Roma è stato qualcosa di poderoso. Sembrava il boato dell’Olimpico dopo il gol di Toni 11 anni fa. Una sorpresa per chiunque, un colpo di genio che forse sarà impossibile da replicare. Tiago Pinto ha agito nell’ombra, deviando su un’uscita impercettibile, mentre tutti proseguivano sull’autostrada Sarri. Qualcosa di unico.
Il web è letteralmente impazzito. Nei social si è riversato il totale stupore di tutti. Emblematica è stata la faccia di Gianluca Di Marzio, mentre a Sky stava spiegando che Roma sarebbe stata con Maurizio. Ma è stata più o meno la faccia di tutti noi. Hanno cominciato a girare immagini, condivisioni di post, “stati” su Facebook che rispecchiavano la descrizione di José. Su Twitter, in pochi secondi, il trend topic era lo Special One. Una botta di adrenalina che si sarebbe scaricata dopo una settimana, e che invece ancora continua.
Tweet di attori, personaggi del web, streamer. Perfino politici. Come Virginia Raggi, attuale sindaco di Roma, come non poteva dare il benvenuto ad uno dei personaggi più chiacchierati del calcio. I quotidiani nazionali ed esteri, in prima pagina, avevano tutti il volto di Mourinho. I palinsesti radio sono stati letteralmente stravolti da Mou. Una cosa mai vista. Il titolo in borsa è esploso ad un +21,02%. Titolo sospeso per un eccesso di rialzo e chiusura.
Sembrava che avessero annunciato la fine della pandemia.

L’effetto Mourinho a Roma

Lo scudetto del 2001 non lo ricordo. Avevo da poco compiuto tre anni, e se dicessi che rimembro strade e sciarpe giallorosse ovunque, probabilmente, confondo ciò che mi dicono da ciò che effettivamente appartiene alla mia mente. Però me l’hanno raccontato. E se faccio una comparazione tra la narrazione di vent’anni fa e ciò che è accaduto dieci giorni addietro con il suo annuncio, trovo più analogie che differenze.
Oltre il fenomeno social, che ormai è pane quotidiano, qui a Roma, è risuonato tutto come un eco senza fine. Le radio romane avevano scansato tutti gli argomenti del giorno per far posto a José. E la cosa perdura ancora oggi. Non con la stessa intensità, perché l’adrenalina scema prima o poi, ma in ogni discorso il portoghese è presente. Il Romanista, l’unico quotidiano - almeno a livello nazionale – di una squadra di calcio, aveva fatto uscire un’edizione speciale in suo onore.
Nelle strade, in quel 4 di maggio, c’era gente che suonava il clacson urlando “daje” a squarciagola. Nei giorni seguenti, a Testaccio, noto quartiere romano, è stato raffigurato attraverso un murales su una “Vespa special” (come lui) e con sciarpa giallorossa attaccata al collo; come anche in Rione Monti, c’è stato un altro murales che lo vedeva come “San José”. Addirittura si può passeggiare in “Via José Mourinho”.
Mourinho è sbarcato anche sul fronte gastronomia. Una gelateria a Torre Angela, quartiere periferico di Roma, ha battezzato un nuovo gusto con il nome di “Special One” o anche “Zero Zuccheri” (che riprende lo “Zero tituli” di due lustri fa). Perfino la birra, anch’essa con il nome di “SpecialOne”.
Ma nulla è cambiato. Mou viene visto come il salvatore di Roma. È stato eletto imperatore ancor prima di esser sbarcato. Il finale di stagione importa fino ad un certo punto, perché il domani già si conosce.
José Mourinho, a Roma, ha vinto ancor prima di vincere.

I Friedkin parlano più di quanto non sembri

Lo scrissi anche a settembre scorso. La comunicazione, per la famiglia Friedkin, è la cosa più importante. È la base da cui partire. Ma lo hanno dimostrato, non con le parole, ma con i fatti. James Pallotta, ex presidente della Roma, disse che entro cinque anni avrebbe voluto vincere tutto. Incluso vedere il nuovo stadio. Gli anni sono stati dieci, e di trofeo nessuno. Per questo la nuova proprietà ha voluto volare basso ed agire alternativamente.
I tifosi hanno chiesto il ritorno al vecchio stemma e loro hanno risposto che, nella prossima stagione, la maglia di trasferta vedrà il logo passato. Come poi, qualche giorno dopo, si sono presentati allo stadio con la mascherina e il vecchio stemma stampato sopra. Un messaggio d’amore che è arrivato dritto ai cuori dei romanisti.
Ma soprattutto, l’ho scritto implicitamente ma è un passaggio importante, la presenza allo stadio. Ad ogni partita. Casa, trasferta, sono sempre lì. E se non c’è l’uno presenzia l’altro. Questo è quello che è mancato nella passata stagione. La presenza del “capo”, di chi “comanda”. Non c’è nessuno che ne fa le veci. Ci sono loro e basta. Così come a Trigoria, anche se leggermente di meno. Ma sono sempre lì, supervisori della loro Roma.
Come anche i braccialetti gialli e rossi al polso di Ryan. Quel polso mostrato ed esibito dopo un gol. Un’esultanza pacata, ma che ha completamento forato i sentimenti dei tifosi. Li ha colpiti dolcemente ma con un gesto incisivo. Dimostrazioni che appartengono più al tifoso che ad un Presidente aziendalista.
Infine, Mourinho, è stato soltanto l’ultimo capolavoro silenzioso del loro operato.

Un annuncio special

Un annuncio del genere ha generato un’esplosione gigantesca. I Friedkin hanno inteso subito come cavalcare l’onda emotiva dei tifosi. E l’emotività stava – ed è – davvero sotto ai piedi. La Roma sta concretizzando una delle stagioni più deludenti dal 2004/05, un’annata in cui rischiò la retrocessione. Per carità, la semifinale di EL, addolcisce leggermente l’amarezza accumulatasi in questi mesi, ma se poi si guarda al passivo di andata e ritorno, ecco che riaffiorano nuovamente i mugugni.
I tifosi volevano la testa di Fonseca. La volevano da diverso tempo in realtà, alcuni già dal derby d’andata perso 3-0. E per quanto “intoccabili” alcune colpe cominciavano ad essere indirizzate verso la proprietà che non agiva per salvare la stagione. Poi si è arrivati alla pre-vigilia di Roma-Manchester, partita già chiusa virtualmente. Due annunci a distanza di tre ore: il primo, si comunicava che Fonseca non sarebbe stato l’allenatore della Roma nella prossima stagione; il secondo, annunciava Mourinho.
Loro avevano l’accordo già dalla settimana prima. Prima della gara d’andata. Dovevano soltanto scegliere il momento adatto per annunciarlo. Visto poi il risultato, ascoltando i malumori della piazza, ecco che il 4 maggio arriva il comunicato. Tempismo perfetto.
Perfetto perché, con questa scelta, hanno spazzato tutte le tristezze, i malumori, le deflagrazioni emotive dei tifosi. Dapprima, sollevando il peso dell’argomento “allenatore”, ufficializzando la conclusione del rapporto. E poi con l’”annuncio special”. Da quell’attimo in poi, qualsiasi partita avrebbe avuto un significato diverso. Anche il terrore di un’altra imbarcata contro il Manchester era andato via. Perché tanto il futuro vede Mou. Perfino arrivare davanti al Sassuolo non viene vista come una priorità.
I Friedkin hanno compreso alla grande come gestire la piazza romana.

Mourinho il comunicatore

Un grande comunicatore, aggiungerei. Non solo perché parla sei lingue (italiano, spagnolo, portoghese, francese, inglese e catalano) ma perché trasforma la squadra. La carica, la motiva, la sprona. È un tuttologo nel vero senso della parola. E ne ha dato prova in questi anni. A volte gli è andata bene, altre male. Diventa il leader del gruppo, dove i giocatori sono <<disposti ad andare in guerra per lui>>.
Si crea nemici e questo fomenta la piazza. Forse anche se stesso. O forse, come disse Wenger, la sua sete di vittorie è motivata dalla sua <<paura del fallimento>>. Crea frasi e gesti ad effetto, ha la risposta sempre pronta. Ironica, sarcastica, a volte anche eccessiva, ma di certo non finisce mai di stupire.
Il giorno di presentazione come allenatore dell’Inter, rispose ad un giornalista dicendo di non essere un pirla. O quando parlò di <<prostituzione intellettuale>> e che preferiva l’<<onestà intellettuale>>, dando vita alla celebre frase dei “zero tituli”. Poi il gesto delle manette, il dito dopo la qualificazione alla finale di Champions del 2010, l’orecchio teso allo Stadium dopo la vittoria del Manchester United.
Fino ad arrivare ad oggi, con un “daje Roma” che ha fatto impazzire i tifosi. Ieri ha perfino mostrato lo studio dei giocatori della sua futura squadra.
Mourinho è un trascinatore e sa convogliare su di sé un’attenzione ai limiti del surreale, grazie al suo potente magnetismo. Aspettiamo tutti l’entrata in scena da nuovo allenatore della Roma.

Ma come sta adesso Mourinho?

Sono passati 11 anni dal Triplete. Per alcuni non è lo stesso Mourinho da quegli anni lì. Per altri da quando ha fatto ritorno in Premier. Altri addirittura lo danno per “bollito”, finito e che appartiene ad un’altra epoca. Descritto come troppo conservatore, non al passo con i tempi. Talmente narcisista che il problema non è lui, ma i giocatori: <<same coach, different players>>. Certo che definire “bollito” uno che in carriera ha vinto 25 trofei ce ne vuole.
Ma come sta davvero Mourinho?
Sicuramente, durante il suo ritorno in Premier, ha incontrato la sua fase discendente. Ma ha comunque portato a casa diversi trofei. Le due esperienze più spinose sono state quelle di Manchester e Tottenham: la prima, per motivi di spogliatoio e litigi anche con alcuni calciatori; la seconda, in generale, la più disastrosa. Non solo un gruppo praticamente svuotato nell’identità, ma proprio una squadra asettica, che voleva raggiungere l’iperspazio con lui in panchina dopo la finale (persa) di Champions, e che invece si è trovata all’inferno. C’è chi dice che, dopo il suo esonero (il secondo consecutivo), alcuni giocatori si siano liberati di un peso.
Se prima c’era l’intenzione di <<andare in guerra per lui>>, adesso, c’è il timore che in guerra lo lascino da solo. Che l’esercito fragoroso di cui riusciva sempre a dotarsi non creda più in lui. E che forse la paura del fallimento di cui parlava Wenger non era poi così sbagliata. Probabilmente per questo Mou ha scelto l’Italia. Più che l’Italia, la Roma. Per ritrovare quella scossa che lo faccia sentire bene con se stesso.

Mourinho, un progetto special

Tre anni di contratto, fino al 2024. 7 milioni netti a stagione più bonus. Bonus che dipenderanno dal posizionamento in campionato fino al raggiungimento di qualche trofeo. E dipende ovviamente dal peso del trofeo. Con il decreto crescita, peserà 9,17 milioni nel complessivo lordo. In più, la prima stagione, arriverà a guadagnare 16 milioni grazie anche ai 9 del Tottenham.
L’obiettivo è quello di crescere insieme al club. Cioè, nessun istant-team, ma agire principalmente sulla mente dei giocatori. L’idea è che, la squadra attuale, possa far sicuramente meglio di questa stagione. Quindi la base è questa, poi, un focus per ogni reparto: un portiere, un difensore, un centrocampista e un attaccante. Questa la priorità. Il primo anno è quello di ritornare competitivi in campionato, perlomeno raggiungendo il quarto posto, poi, nel caso, si punterà più in alto.
I nomi fatti, ad oggi, sono tutte supposizioni. Di vero, c’è il nome di Amelia che potrebbe entrare nello staff di Mourinho. Certo è che, ci sarà da aspettarsi qualcuno. Mourinho vorrà delle garanzie e, la società, potrà sfruttare non solo il fascino del suo nome, ma anche l’agenda dei calciatori di Mendes. Il modulo prediletto potrebbe essere il 4-2-3-1, ma occhio anche all’attacco a due con il 4-3-1-2.
Alcuni giocatori rientreranno alla base. Viene in mente Kluivert, di cui il portoghese nutre grande stima e ha speso belle parole. Con Mkhitaryan e Smalling il rapporto non è idilliaco, però magari avranno tempo (o già lo hanno avuto) per chiarirsi. Per il primo, però, dovranno fare in fretta perché ha il contratto in scadenza e la sua risposta ancora non è arrivata.
Quindi, tanta crescita e un mercato eco-sostenibile. Anche se, il contratto dello Special, è tutt’altro che “eco”. C’è da aspettarsi qualche altro colpo? Pinto ha dato prova della sua imprevedibilità.

Cosa dobbiamo aspettarci da Mourinho?

Se da dopo la partita con l’Inter è iniziato il conto alla rovescia per il derby di sabato, un'altra clessidra ha cominciato a far cadere la sabbia da quel 4 maggio. L’attesa di vedere all’opera la Roma di Mourinho è elevatissima. L’eccitazione si sente nella voce dei tifosi, ma anche tra gli addetti ai lavori. L’idea di rivedere un personaggio come lui nelle conferenze stampa ha generato un senso di euforia a tutto tondo.
In campo, però, bisognerà essere pazienti. Non appartengo alla fetta di chi pensa che basta l’allenatore forte per vincere. Ovvio che un leader carismatico in panchina ti faccia fare il salto di qualità. Se si crea l’alchimia giusta si può giungere ad un capolavoro. Ma servono anche i giocatori. E, la Roma, ad oggi, serve qualcosa di più.
Bisognerà cambiare tanto. Occorre togliere gli esuberi in eccesso e investire su calciatori che ti portano il successo. Soprattutto in un ambiente come questo. Un ambiente che può farti sentire “special” senza nemmeno esser arrivato, ma che sa anche prenderti a calci se le cose non vanno come avrebbero dovuto.
Nelle interviste ci farà divertire. Noi, speriamo anche in campo.