Juve, sei finita?
Vederla così in basso fa sempre un certo effetto. Per me, che per metà della mia vita ho visto i bianconeri al comando; per gli adulti, che l’hanno vista lassù per quasi due lustri; e, infine, per chi ha nove anni, che ha visto sempre e solo Juventus tagliare il traguardo per prima.
Quest’anno, però, la musica è cambiata. Il monopolio durato nove anni è stato infranto. E i primi sentori si sono ravvisati la stagione scorsa, quando, con Sarri, sembrava essersi anestetizzata una squadra sempre a mille. Abbuffata di trofei pareva non metterne più in pancia. Eppure, lo scudetto, il tanto scontato scudetto, è riuscito a portarlo a casa. E anche con un paio di giornate in anticipo.
Poi quest’anno, con Andrea Pirlo. Se un anno fa gli scricchiolii cominciavano a sentirsi, con la sua nomina in panchina, è scoppiato il terremoto fra i tifosi. La paura era quella di non vincere il decimo, tanto che Elkann disse: <<più difficile vincere 10 scudetti di fila che la Champions>>. Forse lo avrà detto per scaramanzia, fatto sta che, ad oggi, la Juve non solo non vincerà il campionato – e non ha vinto manco la Champions – ma rischia anche di non qualificarsi nei posti che contano.
Siamo alla 33esima giornata e il campionato recita quarto posto. Certo, va decontestualizzato. Si trova a pari punti con il Milan quinto e a due punti di distanza dalla Dea seconda. Ma parliamo di una squadra che si è spenta nei match alla sua portata e si è esaltata nei match più caldi; parliamo di una squadra che è uscita con il Porto in Champions e che ha vinto con il Barcellona 0-3; parliamo anche di una squadra che, in campionato, non ha mai realizzato tre vittorie di fila.
E, quindi, chiedo: Juve, dove sei finita? Oppure, meglio ancora: Juve, sei finita?

C’erano delle alternative ad Andrea Pirlo?
Non ha avuto nemmeno il tempo di presentarsi con l’U23 che, qualche giorno dopo, è stato chiamato in prima squadra. Lo sgomento ha fatto trasalire tifosi, addetti ai lavori, perfino i giocatori, ma la società ne era sicura. Ma al di là delle motivazioni che hanno spinto Agnelli e la dirigenza a questa promozione senza esperienza, esistevano delle alternative ad Andrea Pirlo?
Il sogno si chiamava – e si chiama ancora - Pep Guardiola. Ma mentre si creavano suggestioni, schemi e collegamenti che potessero vedere il visionario dai 30 trofei in carriera, lui pensava solo ad una cosa: portare la Champions al City. Di fatti, qualche mese dopo, avrebbe rinnovato con la società al 2023.
Da Pep a Zidane. Il francese ha sempre parlato benissimo dell’Italia, specie nel rimembrare gli anni bianconeri. E non ha mai escluso un ritorno in vesti differenti. E di lui se ne parlava già da diverso tempo, alimentando il tutto durante la stagione di Sarri, proprio alle spalle del tecnico toscano. Ma l’11 marzo del 2020, ecco che l’utopia rimase utopia, perché Zizou firmò con il Real. Di nuovo, e per 12 milioni netti a stagione.
Poi si è parlato anche di Inzaghi e Spalletti (il secondo in maniera flebile). Dove il primo, era stato accostato prima dell’arrivo di Sarri. Strada non impossibile, ma estremamente complicata, visto che aveva un contratto con la Lazio e, quest’ultima, avrebbe dovuto trovare un sostituto in tempi record. E poi, sbarcava in Champions dopo 13 anni e voleva farlo con colui che ce l’aveva portata. Poi Spalletti, ma con il contratto che ancora lo legava all’Inter (motivo per cui il Milan scelse Pioli) i vincoli erano troppi.
Infine, proprio lui, Max Allegri. Tanto criticato per il suo estremo pragmatismo e il suo rifiuto al bel calcio, ad oggi, viene considerato l’unico salvatore di una Juventus che sta annegando. L’anno scorso, era impossibile, perché non si sarebbe mai potuto richiamare un allenatore che era stato mandato via dalla società stessa. Specie se la società porta il nome Juventus. Quest’anno però, potrebbe esserci un mea culpa.
Insomma, ieri, le alternative non c’erano. Oggi un pochino di più. E, nella marea di indiscrezioni, un’altra alternativa potrebbe essere quella di confermare Andrea Pirlo.

Cosa si nasconde dietro la scelta di Pirlo?
Dietro possono esserci diverse motivazioni. E, l’una, è valida quanto l’altra.
Sicuramente, il discorso del non avere alternative ha gravato moltissimo. La Juventus vuol sempre puntare al massimo, non vuole mai accontentarsi. Ma, forse, la scorsa estate, è dovuta scendere a compromessi. I negozi in vetrina erano praticamente vuoti e, uno dei migliori allenatori, lo avevano appena mandato via. Non c’era tempo e quindi Andrea Pirlo è stata la scelta più economica.
Economica non solo da un punto di vista gestionale, ma anche di portafogli. Oltre il peso di Ronaldo sulle casse societarie (parliamo di 31 milioni netti), il monte ingaggi della squadra arriva a toccare i 236 milioni lordi. Se a questo ci avessero aggiunto un altro contratto faraonico all’allenatore, il bilancio avrebbe squarciato ancor di più il passivo. E quindi, Andrea Pirlo, con i suoi 1.8 milioni a stagione, guadagna quanto Demiral.
Mettendo da parte la cruda razionalità, la promozione di Andrea Pirlo sulla panchina bianconera, prende le vesti della lungimiranza. Le vesti del futuro. Un allenatore giovane su una squadra giovane. Costruire oggi per vincere domani. Anche a patto di non vincere oggi (che comunque la sua Supercoppa italiana l’ha vinta ed è in finale di Coppa Italia). Un progetto di lungo termine con un uomo che la Juventus la conosce. Come conosce i valori identitari del club e il dialogo con i calciatori, molti dei quali suoi ex compagni. Una scelta saggia, che aprirebbe un nuovo ciclo.
L’altro giorno a Paratici hanno chiesto se Pirlo verrà confermato nel caso di qualificazione in Champions. La risposta è stata netta, distinta, che più chiara di così si muore: <<sì sì, certo>>.
Ma se la Champions non arriva?

Le paure del domani
La possibilità di non vincere è una delle tante inquietudini che attanagliano la società. Un DNA scritto per i trofei. Uno stigma che dà per assodato la vittoria, perché vincere è l’unica cosa che conta. E per quanto lo scudetto possa esser diventato “di troppo” vederselo scucire dai cugini è sempre una mazzata enorme. Ma una flessione ci può stare, è comprensibile. Anche l’Inter del triplete, l’anno successivo, risultò completamente sgonfiata per poi ritrovarsi addirittura dieci anni dopo. Fa parte di un ciclo. Un sistema che sta subendo delle perturbazioni e, di conseguenza, occorre tempo affinché esse si stabilizzino.
Poi certo, non deve diventare una scusa. Il nuovo allenatore, i nuovi giocatori, il ricambio generazionale, la fine di un ciclo, insomma, nell’insieme, non deve diventare un cesto di alibi. Bisogna combattere, lottare fino alla fine, cosa che quest’anno è mancata. E la classifica lo sta gridando. Il rischio di non andare in Champions c’è. E, a forza di perdere punti per strada, le altre rosicchiano. E se le altre rosicchiano ci vuole poco nel trovarsi in posizioni altamente scomode.
Perché la paura più grande del domani è quella di non andare in Champions. Poi altro che pensare a vincerla. E qui ritorniamo alla pragmaticità di prima, quella economica. Perché al di là del prestigio, della caricatura e del palcoscenico internazionale, non qualificarsi alla prossima Champions, sarebbe un danno colossale. Per questo Agnelli aveva utilizzato il paracadute Superlega. Con il super debito juventino, l’adesione alla competizione privata, lo avrebbe cancellato, esattamente come fa la gomma con un segno di matita. Un semplice “sì” per mezzo miliardo di euro. Mezzo miliardo. Una volta dentro, vincere o non vincere la competizione poco avrebbe importato, dato i milioni a cascata comunque garantiti.
E visto che la Superlega rimane un sogno nel cassetto, senza Champions, il passivo sanguinerebbe ancora di più. Come mantieni Ronaldo? Come garantisci i 236 milioni lordi di stipendi a tutti?
La paura del domani non è vincere, ma sopravvivere.

Pirlo è stato pompato dai mass media
Se all’inizio ha destato stupore, i giorni seguenti, non si sono fatti attendere. Dallo sbigottimento alle mere fantasie, ingolositi dalle teorie supersoniche di Andrea. Un allenatore pregno di teoria ma privo di fondamenti empirici. Due concetti che hanno bisogno l’uno dell’altro, dato che vanno a braccetto.
In pochissimo tempo, le prime pagine descrivevano la “sinfonia del maestro” con tutta la sua “direzione d’orchestra”. Tutte previsioni. Si facevano previsioni sulle previsioni di Pirlo. Come si poteva immaginare un’immaginazione? Con le parole possiamo vincere tutti. Anche Zeman diceva che <<bastava fare un gol in più dell’avversario>>. Facile a dirsi, impossibile a farsi.
E Pirlo ha subito questa carica evocativa da parte dai mass media. Lo hanno esaltato, plasmato e generato ancor prima che lui scendesse sul campo, prima di diventare l’allenatore e l’antropologo della Juventus. I quotidiani conoscevano Pirlo ancor prima che Pirlo conosceva se stesso. Hanno fatto di lui un personaggio, un “maestro”, ingolosendosi dei teoremi da lui teorizzati, facendosi suggestionare dai pensieri ancor prima che divenissero realtà.
Di fatto, fallendo.

Scegliere Andrea Pirlo è stato un fallimento
Non parlo dei risultati di questa stagione. Il quarto posto fa un certo effetto, ma come detto poc’anzi, va decontestualizzato. La Juventus può arrivare seconda, come anche sesta e con pochi punti di differenza. Ha vinto una buona parte degli scontri diretti, fattore che denota la sua identità.
Il problema risale nella scelta paventata quasi un anno fa. Scegliere Andrea Pirlo è stata una mossa azzardata che adesso stanno pagando a caro prezzo. Nella loro idea c’era il rischio di non vincere il campionato non quello di rischiare un piazzamento al di fuori del quarto posto.
Lo dicono i contratti. L’obbligo di acquisto di Chiesa diventa tale al raggiungimento di tre condizioni: doppia cifra (sia in termini di assist che di gol) nel biennio; giocare il 60% delle partite; piazzamento tra le prime quattro. L’ultimo doveva essere il più semplice.
Lo dicono le parole di Paratici: <<In caso di Champions sarà sicuramente allenatore. Non pensiamo neanche al caso B […]>>.
Scegliere un allenatore che conosca la Juventus per costruire un progetto insieme, è un qualcosa di onorevole in questo calcio. Aprire un progetto di lunga durata, per camminare e poi vincere insieme, è davvero apprezzabile. Ma per essere allenatore non bisogna solo conoscere l’ambiente, il DNA societario ed essere amico di diversi calciatori. Nemmeno essere campioni del mondo è sufficiente. Bisogna fare pratica, andare sul campo. Occorre trasformare il pensiero in realtà attraverso la conoscenza empirica. Esser stato uno dei migliori calciatori non basta. Può aiutare nell’esperienza, ma non è la totalità. Essere giocatori ed essere allenatori sono due cose diverse.

Scegliere Andrea Pirlo è stato un fallimento. Ma la colpa non è di Andrea Pirlo. La colpa è della società che lo ha scelto. E lo sarà ancor di più nel caso decidessero di mandarlo via.  Bisognava farlo crescere. Fargli fare il giusto percorso esperienziale. L’U23 sarebbe stata perfetta. Sarebbe stata il canale giusto che gli avrebbe permesso di salpare in prima squadra. E invece c’è stato solo un buongiorno e un arrivederci. Occorreva pensarci prima a queste cose. Adesso è troppo tardi. Si entrerebbe in conflitto con i propri ideali, con la logica progressista del “costruiamo qualcosa di vincente insieme”.
Il problema però rimane soltanto uno: c’è qualcuno, qui in Italia, a cui interessa la logica progressista?