La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell'acqua scura di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna.

Ho preso in prestito le parole di Oscar Wilde.

Le ho prese in prestito per raccontare un’esteta che fa del calcio la sua espressione più grande. Lo racconta attraverso i movimenti del proprio corpo, danzando con la palla al piede; lo narra con delle giocate che sembrano rimembrare altri tipi di esteti, anche se inenarrabili, ascritti all’albo delle leggende.
Non è un genio, non lo è mai stato. Ma a vederlo è bello, dannatamente bello. È pura poesia che trasferisce sentimenti e che sfiora le propaggini dell’estasi. Delle volte dell’impossibile. Ma non tutte. È colombiano ed è in simbiosi con la sua squadra. È Luis Muriel.

Tra la povertà ed un peccato capitale

Nasce il 16 aprile del 1991 a Santo Tomàs, uno dei quartieri ad est della Colombia. Lì la ricchezza non esiste, così come non esisteva nelle tasche della famiglia. Un nucleo povero, che riempiva le proprie giornate con i desideri e con pensieri utopici che sapevano di liberazione.
Pensieri che aleggiavano in Luis, dove per lui il calcio era tutto, più di tutto. Tant’è che a Natale gli aspettava sempre un pallone. Oltre al regalo, anche quello.
Il calcio era qualcosa che gli era sempre appartenuto, tanto da fargli prendere quasi tutti i giorni il biglietto per Barranquilla, dove era situato il campo dell’Atletico Junior. E per comprare quel biglietto, ne vendeva altrettanti della lotteria; o, semplicemente, vendeva le frittelle della nonna. L’unico problema sorgeva quando quelle frittelle non le comprava nessuno. E se avanzavano, diventava un peccato buttarle. Peccato che si tramutava in un peccato capitale: la gola.

Con la maglia del Lecce si accende Muriel

A 14 anni aveva capito che poteva spingersi oltre. Era il capocannoniere della squadra e il Deportivo Cali lo nota. Tra un tiro e molla con la mamma – sempre molto apprensiva sul fronte della scuola – alla fine si trasferisce lì.
9 gol in 11 presenze ed inizia il giramondo tra Italia e Spagna. Viene acquistato dalla famiglia Pozzo, ma viene mandato il primo anno al Granada – impatto scadente – e poi al Lecce, dove si accende definitivamente.
In 29 presenze realizza 7 reti, ma con la sua corsa, con la sua dinamicità e con la sua estrema flessibilità con la palla, incanta tutti. Rapido non solo sul campo, ma anche nel penetrare l’animo dei tifosi, incantati da quel giocatore, estasiati dal suo nome stampato sulla maglia giallorossa.
La doppietta alla Roma e l’accelerata in un Lecce-Inter su Samuel, rimangono in mente. Il taccuino di molti club era occupato dal suo nome.

I viaggi di Luis Muriel

Perché di esperienze con lo zainetto tra le spalle se l’è fatte. Udinese, Sampdoria, Siviglia, Fiorentina e poi Atalanta. Luis ha viaggiato e non si è mai stancato. Sono stati molteplici i viaggi, ma sempre con una vena illusoria. Ogni anno, Muriel, ha dato l’impressione di illuderci. E ci ha illuso e forse lo sta facendo tuttora. A tratti sembrava essere il calciatore più forte del mondo, altri, invece, faceva a testate con uno dei suoi problemi più grandi, il cibo.
Un “Problema” con la “P” maiuscola, perché è quello che ha creato un giocatore ipotetico, di rimpianto. Un giocatore a cui tutti alludono alla frase “se solo”.  Ci ha assuefatto ad ogni esperienza, con un effetto collaterale devastante. Terrificante in todo.
Perché un giocatore che corre, che dribbla, che segna gol fantasmagorici, dove i difensori lasciano lo spazio solo perché rafforzati dall’idea del “cosa può fare da lì” e che invece stupisce, non può non avere un posto fra gli dei del calcio. Non può, ma che di fatto è così.

Gasperini, il suo spirito guida

Qui è dove si sa esprimere meglio. A volte Muriel è un fiume in piena di “voler fare” e, non essendo “genio”, non riesce a trovare un equilibrio a questo suo “strafare”. Allora, in questa ingordigia caotica, subentra Gasperini, il suo spirito guida, che è stato e che è in grado di plasmarlo e dosarlo nei giusti modi e tempi.
Muriel è in grado di spaccare le partite, di aprirle in due. E proprio contro la Roma – sì, è una delle sue vittime preferite – le ha dato il colpo di grazia nell’unico incontro avvenuto in questa stagione. Entra al 71’ e sradica la difesa giallorossa con uno strappo. Dribbla Mirante e fa 3-1.
Senza la carezza giusta, non riuscirebbe a mettere in pratica il suo essere. E per quanto possa risultare lunatico e bipolare nelle partite, il mister, è riuscito nell’impresa di domarlo.

Come gioca Muriel

La rapidità di Luis è la prima cosa che salta all’occhio. Si libera bene, apre spazi. È quasi ingestibile in campo, tant’è che a volte gli si è ritorta contro come caratteristica.
Nasce come attaccante centrale, abile nell’inventarsi varchi per affondare le difese avversarie. Ha giocato anche come seconda punta e come esterno di destra offensivo. L’imprevedibilità gli permette di avere ottimi cambi di direzioni, talvolta fulminanti per chi si trova a marcarlo.
Con la Dea ha ricoperto il ruolo di prima punta quando mancava l’altro collega colombiano, Zapata. Ultimamente giocano in tandem. Anche perché sono aumentate le probabilità di vederlo titolare e non più da subentrante. Gasperini disse:

Si esprime meglio più vicino possibile alla porta. Lui ha la capacità di controllo ed un’immediatezza di tiro, è un tipo di attaccante diverso, va usato dentro l’area dove è difficile marcarlo.

Il gol contro il Napoli è la dimostrazione empirica.

La media gol spaventosa di Luisito

Leggendo solo le statistiche, Muriel, diventerebbe in automatico il giocatore più impattante d’Europa. O forse anche del mondo. Possiede una media gol spaventosa, più alta di mostri sacri che abitano l’universo del football.
Contando tutte le competizioni – campionato, Champions e Coppa Italia – Luis ha giocato 1302 minuti. Minuti corroborati da 17 gol e 7 assist. La media si trasforma in un gol ogni 77 minuti di gioco. Insomma, niente male.
Entrando più nel dettaglio, vediamo come, di questi 17 gol, 14 provengono dal campionato. Qui, ha collezionato 753 minuti all’attivo e la media si tramuta in un gol ogni 54 minuti.
Luis è un giocatore sostanzialmente incisivo che fanno di lui un giocatore con una media gol senza cognizione di logica. Entra e segna. Incisivo sì, ma non decisivo. Sono due aspetti differenti.

Perché non è decisivo?

Che sia devastante è un dato oggettivo, un gol ogni 54 minuti non è una statistica che appartiene a tutti. Ma quest’anno, a differenza di quello scorso, gioca molto di più. O meglio, sono più le volte che parte dall’inizio.
Muriel, nella scorsa stagione, ha raggiunto il record di 11 gol da subentrante. Cifra mai realizzata in Serie A.  Quest’anno è andata – e sta andando – diversamente: dei suoi 17 gol, 12 sono stati finalizzati da quando è partito dall’inizio.
In 16 match disputati da subentrato, in sole due occasioni è stato decisivo: contro l’Ajax in Champions e contro il Cagliari in campionato. Incisivo sì, ma decisivo un po’ meno. In altri termini, Muriel segna, ma spesso a match già chiuso.
Non è assolutamente una discriminante, ma un dato che mette sulla bilancia due pesi differenti.

Se non segna, fa segnare

Le partite le spacca, perché anche segnando con un gol o più gol di vantaggio della Dea, garantisce il colpo finale. Magari se occorre il gol vittoria la curva si appiattisce, ma insomma, è una curva che si impenna per pochi.
Però ci ha viziati – in questa stagione leggermente meno – che se entra, la rete la trova. E se non segna, fa segnare. Con il Napoli, ad esempio, nell’ultimo incrocio in campionato, è stato letteralmente devastante. Un assist delizioso e non semplice per Zapata, un secondary assist e un gol da fantascienza.
Entrando nel merito del secondary assist, è una statistica che non esiste nel mondo del calcio, ma che a mio avviso è estremamente rilevante. Non è altro che l’assist che porta all’assist, esattamente l’azione del momentaneo 2-1: Muriel porta palla, ubriaca un po’ di giocatori, serve Zapata che, specularmente, imbecca Gosens.
Semplicemente calcio.

Il nemico numero uno, il cibo

La gola è uno dei sette peccati capitali. Luis lo sa, ma non riesce a dire di no. E anche questa, è una delle variabili punitive che dall’esterno hanno condizionato il suo percorso di maturazione calcistica. Perché non ha mai saputo dire di no di fronte al cibo. Sin da piccolo, che, come scritto poc’anzi, buttava nel suo stomaco tutte le frittelle rimaste invendute.
Un problema grande che tanti allenatori hanno considerato addirittura psicologico. El gordo è un’etichetta che non si è mai tolto, neppure nei momenti in cui il suo peso forma appariva stabile. Quando arrivò all’Udinese, Guidolin era letteralmente inferocito avendolo visto ingrassare.
Il problema, agli attuali 29 anni, sembra non esistere più. All’epoca aleggiavano paragoni importanti su di lui, a tratti anche adesso. Dai 21 ai 29 sono 8 anni, un bel pezzo di carriera. Ora si sta ritagliando enormi soddisfazioni, ma con meno pigrizia – un’altra variabile che ha sempre intralciato i suoi pensieri – staremmo parlando di un altro giocatore. Forse.

Ese pelado se parece a Ronaldo

Queste sono le parole pronunciate da Camilo Ayala, durante una videochiamata con Luis Muriel. Camilo ha giocato con Luisito al Deportivo Cali e si sono incrociati per un anno. <<Questo pelato assomiglia a Ronaldo>>. Non lo pensava solo Ayala, ma un po’ tutti.
Movenze, arrivo alla finalizzazione, sorriso da eterno bambino e poi l’ultimo gol ai partenopei ha riacceso questo focolaio. Muriel, tutto questo, l’ha presa sempre come una motivazione, una spinta per arrivare al massimo. Però dice <<se ci avessi creduto di più…>>, come se, dal profondo dell’animo, si rendesse conto di aver gettato – e qui ritorniamo al discorso della pigrizia – quegli anni che lo avrebbero reso un altro giocatore.
Forse gli sono bastati quei pochi attimi per salire sul palco, come i super-gol in questo campionato. Un attimo per essere da prima pagina nei social e in agenda-setting. Però sappiamo tutti che, l’attimo, può durare in eterno soltanto per se stessi.

Luis Muriel, un’esteta estemporaneo del nostro calcio

Ancora una volta, Luis non è il genio. È il bello del nostro calcio, è un’esteta estemporaneo che inventa sul momento. Non ragiona ma si nutrisce di grazia, di apparenza. Compare, scompare e ricompare senza preavviso e con momenti che non possiedono una durata precisa.
L’esteta estemporaneo è nel gol contro la Sampdoria con la maglia della Fiorentina: prima di addomesticare il pallone, lo sfiora soltanto, facendo un tunnel di tacco al giocatore avversario; continua con un drible de vaca sul secondo; 50 metri di accelerazione, poi un diagonale ed ecco il trailer di presentazione alla Fiorentina. Pioli, dopo quel capolavoro, disse: <<L’unico che mi ricorda le sue movenze è Ronaldo>>.
La settimana dopo mette all’incrocio un gol su punizione contro l’Inter. Poi è scomparso, per poi riapparire di nuovo con la Dea. Più continuo, ma sempre esteta.

Luis Muriel smentisce il principio di non-contraddizione

Aristotele affermava:

<<è impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto>>.

E ancora:

<< è impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia>>.

L’obiettivo primario del principio di non contraddizione è che la filosofia riduca tutti i molteplici significati dell’essere ad un solo e un unico significato che rappresenta l’essere in quanto totale. Detto in altre parole, è impossibile affermare e al tempo stesso negare, lo stesso predicato attorno allo stesso soggetto.
Luis Muriel, però, smentisce il principio di non-contraddizione. Perché quando si parla di lui, si dice di un giocatore che “è” e che “non è” allo stesso tempo. Un calciatore costante nella sua incostanza e incostante nella sua costanza.
È uno dei giocatori più enigmatici che si sia mai affacciato sul nostro campionato: media gol spaventosa, uno sprint unico, un tiro potente e delle movenze che fanno pensare a chissà chi. Eppure, rimane una contraddizione che lui stesso ha ammesso.
Non è Ronaldo, non è il genio e non è il più forte al mondo.
È Luis Muriel e, a noi, ci va bene così.