L’estate scorsa scrivevo che fidarsi di qualcuno non è semplice. Anzi, è un atto estremamente complesso, che rischia di tramortire da un momento all’altro. Specie poi se si viene da un passato nuvoloso, opaco e decisamente burrascoso. Lo scrivevo un anno fa, ma sono rimasto dello stesso avviso.
Così nelle relazioni quotidiane. Quelle che ci prendono per mano la mattina per affrontare la giornata e sia quelle che ci tirano su le coperte quando è ora di chiudere gli occhi. Ma la vita non è fatta soltanto di mere emotività. Esistono lati pragmatici, più razionali. Che se visti e pensati soltanto da un lato, possono farci cadere nell’insensibilità. Ma se visti nella loro pienezza sono più che leciti.
Perché non c’è posto solo per chi scalda il cuore, ma anche – e purtroppo soprattutto - a chi garantisce profitti. E se nelle società di calcio ci si affida ad un giocatore che poi non ripaga le attese, allora sono dolori. Specie in un momento come questo, dove ci sono più buchi che entrate. Quindi bisogna contare fino a 10, 20, 50.
Fino a 70, come i milioni investiti da De Laurentiis per Osimhen. L’estate scorsa mi chiedevo se avesse fatto la scelta giusta, pur conservando una riserva di positività. Ad oggi, ne ho - e ne abbiamo - la completa certezza.

“Dio è buono”
Il 29 dicembre del 1998 nella città di Lagos, in Nigeria, nasce Victor Osimhen. Victor James Osimhen il suo nome completo. Il suo cognome significa “Dio è buono”, non un significato a caso. I genitori vivevano nello stato di Eso, circa 1/6 della città natale del giovane. La città più grande dello stato africano.
La loro situazione, però, era drammatica. Un nucleo di otto persone, di cui sei fratelli. Victor era (ed è naturalmente) il più piccolo fra tutti. Ma l’età non contava perché bisognava far di tutto pur di sopravvivere per il giorno dopo. Ed ecco che accompagnava la mamma a vendere acqua nei pressi dei semafori della città. Poi, però, la perse a soli sei anni e, tre mesi dopo, il papà perse il lavoro. Tutto questo stravolse un fanciullo anche se era già diventato un uomo.
Per aiutare la famiglia, insieme ai fratelli, anche Victor cominciò a vendere acqua ai semafori. Nel tragitto, passava per il quartiere di Ikeja, dove presidiava la comunità di Oregun. Lì, nei dintorni, c’era la scuola di Olososun e una discarica abbandonata. Lì, calcio e svago si incontravano, andando a formare un binomio inossidabile. Insieme a suo fratello Andrew passava i suoi momenti liberi. Liberi dal tempo e dalle impurità che quell’animo ingenuo conservava, annebbiato da pensieri, dalle inquietudini e dalle frustrazioni. E restavano lì, affascinati ad ammirare le stelle del calcio locale.
Le ammiravano e poi replicavano le loro gesta. E lo facevano nei dintorni di quella discarica. Un posto abbandonato, isolato, che però stava ospitando una delle stelle più esplosive da quel decennio a questa parte. Perché anche se poteva non sembrare, “Dio [era] buono”, e aveva già tracciato il suo destino.

Chi era Osimhen?
Al Mondiale U-17 con la Nigeria è stato fiume in piena: 10 gol in 7 partite
. Segnava ad ogni partita, riuscendo a battere il record come attaccante più prolifico della Nazionale, tra l’altro da minorenne. Buttava dentro la palla in qualsiasi modo. C’era chi pensava che il talento gli scorresse nelle vene, che si meritasse qualcosa di più grande. Ma c’era anche chi si faceva trasportare dal mito, dalla grazia divina, da quello che il suo cognome raccontava.
Firmò un pre-contratto con il Wolfsburg. Coltivava il sogno Premier, ma l’umiltà di Victor lo hanno portato ad essere ragionevole e a scegliere un club che lo “cullasse” a dovere. Arsenal e Inter sondavano il terreno ma alla fine scelse la Bundesliga. Un infortunio lo aveva messo subito k.o, rallentandone il processo di crescita e l’adattamento ad un tipo di calcio completamente diverso. In sedici partite, nemmeno una rete. L’avvio nel mondo dei grandi non era uno di quelli che si poteva immaginare, o meglio sperare, perché per lui valeva una vita intera soltanto trovarsi lì.
Poi, successivamente, il Wolfsburg rimediò alla situazione con l’arrivo di Origi in prestito, e mandò Victor a farsi le ossa al Charleroi, una città del Belgio, situata in provincia di Hainaut. Lo stato tricolore – nero, giallo e rosso – si sa che sforna talenti, ma lui sembrava esser uscito da una camera di potenziamento: 20 gol anche se presentava ancora qualche limite tecnico. Un po’ macchinoso con gli stop e con il controllo palla, ma ottemperava a queste perturbazioni con una linea realizzativa spaventosa. Non è un caso che nei suoi miti c’è Didier Drogba.
Il Lille si era presentato alle porte della squadra tedesca con una valigetta da 13 milioni. Senza pensarci due volte e con un “arrivederci e grazie” l’affare si concluse. Sbarcò in Francia, in un contesto che sembrava fatto apposta per lui. Galtier, tecnico della squadra francese, lo ha esaltato, rendendolo a tu per tu con l’ambiente, in una commistione tra fisicità e velocità. Victor, qualche anno dopo, dirà che Galtier, è stato il suo “architetto della carriera” e che gli sarà per sempre grato. Nel suo anno in Ligue 1, realizzò 13 gol in 27 presenze, tra cui anche un gol nella coppa di Francia, altri due nella Coupe de la Ligue e due in Champions. Una stagione encomiabile, eccezionale. 1.86 m di esplosività.
De Laurentiis ne era rimasto incantato e decise di regalare alla sua squadra un diamante da 70 milioni.

Chi è Osimhen?
Il metro e ottantasei lo sfrutta bene. Molto bene direi. Gli attaccanti alti, diverse volte, spiccano in molte doti tranne che nella corsa. E allora abusano dei loro centimetri in potenza, in sponde, posizionamenti. Invece, Osimhen, è una piuma e nella corsa è dannatamente imprendibile. Nella partita d’andata contro l’Atalanta – quella stravinta per 4-1 - il nigeriano è riuscito a superare i 34 km/h. Altro che passo d’uomo.
Perché Osimhen lascia tutti sulla griglia di partenza. Lo scatto è bruciante e, nonostante la buona volontà dei difensori avversari, devono arrendersi ai propri limiti. Più che limiti alle loro “umanezze”. Perché l’unica cosa di inumana è proprio la corsa di Victor. Non a caso il modulo del Napoli è stato mutato nel 4-2-3-1, proprio per sfruttare le capacità perentorie del numero 9.
L’altezza la sfrutta anche negli stacchi di testa. Riesce a slanciarsi nel migliore dei modi, delle volte azzeccando un timing perfetto. È molto abile nel proteggere il pallone, riuscendo a ragionare e servire i compagni. Ecco, forse il tocco non è dei più raffinati. Spesso il controllo non è perfetto e i passaggi non sempre precisi (71.9%). Rimane il faro della squadra. Oggi, come domani.

Il primo anno di Osimhen a Napoli
C’era tanto scetticismo.
Non solo per la diffidenza nello scrutare territori esteri o per l’ansia legata ai “fuochi di paglia”, ma soprattutto perché 70 milioni per un dicembre ’98 non sono scontati. Specie in questi tempi. Poi, Victor, non ha avuto vita facile qui a Napoli a causa degli infortuni. Da metà novembre fino a quasi fine dicembre ha patito la lussazione anteriore alla spalla destra; poi è subentrato il covid; anche le due giornate saltate per la botta alla testa presa nello scontro con Romero - che tra l’altro gli ha fatto perdere i sensi – non è da dimenticare. C’era stata tanta preoccupazione. E infine un ritorno in campo che ha dovuto fare i conti anche con una ripresa della condizione non immediata.
Poi però, da marzo in poi, è arrivato il suo momento ed è evaporato lo scetticismo. 8 gol e 2 assist nelle ultime 13 partite, dove non tutte le ha giocate da titolare. 5 gol nelle ultime 6 e un assist decisivo ogni 107 minuti. In campionato 10 gol e 3 assist in 1489 minuti. 23 partite giocate ed è stato titolare nel 41% di queste. Dopo la doppietta in Napoli-Spezia ha raggiunto un altro record: 10 gol in 1289 minuti di gioco, meglio di Cavani e Higuain. Non due a caso.
Numeri importanti, perché raggiungere la doppia cifra dopo una stagione così travagliata non è affatto scontato. Si è ambientato al nostro campionato nel migliore dei modi e ha cambiato il volto al Napoli. 4-2-3-1 e, con lui in campo, la squadra ha perso 2 volte su 14 gare. È rientrata nella corsa Champions quando sembrava praticamente out da tempo. Invece Osimhen ha ridato vitalità, gioco, divertimento. Non si è adatto alla squadra ma è la squadra che si è adattata a lui.

Il domani di Osimhen
Victor Osimhen ha dato atto di quanto possa essere immenso il suo potenziale. Velocità, tecnica, tiro, slancio. È un giocatore stratosferico, che può ribaltare qualsiasi tattica preparata grazie alle sue gambe. Infatti i dribbling di Osimhen non sono tantissimi, semplicemente perché non servono. Incenerisce i difensori in partenza.
Senza ombra di dubbio, bisogna ripartire da lui. Qualsiasi tecnico arriverà nella prossima stagione. Gattuso non è stato fortunato. Per molto tempo non ha avuto la squadra al completo, ma soprattutto non ha avuto il nigeriano con sé. E quando è tornato in campo i risultati si sono visti. Con lui in campo i risultati sono arrivati. E come se sono arrivati.
Oggi il Napoli è un passo dalla Champions. Ha recuperato punti su tutti, dando prova dello straordinario potenziale di questa squadra. Una squadra che si è armonizzata e ritrovata nel suo 9. Senza nessun discorso di ambientamento, di abitudine tattica o di acquisizione degli schemi. No, nulla di tutto questo.

Il domani di Osimhen è qui a Napoli, con chiunque sederà in panchina. Perché l’uomo del futuro non potrà fare a meno di lui. E non per un discorso economico, ma di qualità messa e dimostrata in campo. Il salto di qualità che ha fatto compiere al Napoli è stato decisivo.
L’Inter concluderà il campionato con diversi punti di distanza dalla seconda posizione. Ma ho i miei dubbi sul fatto che se ci fosse stato lui, sin dall’inizio, la distanza sarebbe stata così elevata. Forse parleremmo di un campionato molto più combattuto. Ma con i “se” e con i “ma” non si fa la storia e, il Napoli, con Osimhen, aspetta di costruirla.