Il momento spettacolare dello Sporting Lisbona

Nel 1944, il Portogallo, entra ufficialmente in guerra. Lo fa implicitamente, perché offre una base militare in Santa Maria delle Azzorre. Una cortesia in favore degli Alleati. E durante quel fermento geopolitico, per poi proseguire anche durante la Guerra Fredda, lo Sporting Lisbona, domina il proprio palcoscenico nazionale.
Arrivano campionati, diverse coppe di lega e anche una supercoppa (seppur non riconosciuta ufficialmente). Poi un percorso a singhiozzo, perché dagli anni ’60 fino agli anni ’80, c’è una leggera flessione, causa lo stritolante Benfica di Eusébio. Fino al blackout totale, in cui, dopo la stagione 81-82 arrivano soltanto altri due campionati, entrambi nel nuovo millennio: 2000 e 2002.
Un digiuno lungo una vita, specie se assoggettato ad una tifoseria così esigente, che pensa da aristocratica ma agisce da populista, tanto da scatenare una rivoluzione nel 2018. Un duopolio in Portogallo targato Benfica-Porto, che non ha lasciato scampo ai Leões. Il loro ruggito era soltanto un eco lontano. Troppo lontano, quasi impercettibile.
Poi il ventennio del nuovo millennio. Nella stagione in corso, su 24 partite, 20 sono valse i tre punti, le altre 4 solo pareggi. La parola sconfitta, in campionato, non conosce significato. L’unica cosa che evidente è la posizione in classifica: al primo posto e a +8 dal Porto secondo. Sì, quello che ha eliminato la Juventus.

Il fattaccio di Alcochete

Stagione 2017-2018. Il Porto viaggia ad una media insostenibile per le inseguitrici: 88 punti e 28 vittorie. Anche l’ultima partita è un trionfo, con Marcano che trova il gol addio per poi sbarcare a Roma nella stagione successiva. Il vero scontro si gioca ad un gradino poco più basso. Benfica e Sporting Lisbona si giocano un pass per i preliminari di Champions. Sporting contro Maritimo e Benfica contro Moreirense. L’obiettivo è vincere. Lo farà il Benfica, di misura, con un gol di Jonas su rigore. I Leões, invece, perderanno per 2-1. Una sconfitta che supererà l’etimologia del termine stesso.
Si sa, quando non si raggiunge una qualificazione ad un obiettivo importante – come la Champions – il rammarico c’è. Soprattutto perché si devono effettuare tagli alle spese, inclusi stipendi. Un rammarico che non si limita alle casse societarie, ma che pervade anche il cuore dei tifosi, vogliosi di veder giocare la propria squadra su palcoscenici importanti. E quindi iniziano le lamentele, gli sfoghi, i toni alti, parolacce, fino ad arrivare alle mani.
Perché il martedì successivo alla partita, presso il centro sportivo dello Sporting (l’Accademia di Alcochete), gruppi di ultrà incappucciati (circa una cinquantina), riversarono tutta la loro frustrazione attraverso l’ausilio di spranghe e cinture. Scene irreali. Uno sfogo di rabbia che ha distrutto gran parte dello spogliatoio e ferito diversi componenti dello staff, l’allenatore e alcuni giocatori tra cui Marcos Acuña, Rodrigo Battaglia e Bas Dost. Proprio quest’ultimo, riportò tagli sulla testa. Uno shock devastante, dove molti giocatori chiesero la rescissione dei contratti o la cessione per giusta causa.
Non solo il punto più deprimente della storia dello Sporting, ma anche quello che sembrasse averli annichiliti per sempre.

La frenetica figura di Rúben Amorim

Una carriera travagliata dove ha fatto a cazzotti con gli infortuni.  A 32 anni ha smesso di correre sul campo, ma non con la testa, perché ha sempre esternato la sua voglia di allenare. Mourinho è il suo punto di riferimento.
Nella stagione 2018-2019 viene ingaggiato da Casa Pia, squadra di terza divisione (oggi in seconda), ma dopo qualche mese subisce una penalizzazione di sei punti e Amorim viene sospeso da qualsiasi attività perché non disponeva di alcuni titoli previsti dal regolamento. Una tegola, tano che si dimise pochi giorni dopo.
A maggio 2019 la proposta di allenare l’under 23 del Benfica. Rifiuta.
A settembre dello stesso anno, però, accetta di allenare la “squadra delle riserve” del Braga, sempre in terza divisione. Qualche mese dopo, un altro squillo al telefono e la proposta lo fece trasalire: <<abbiamo esonerato Ricardo Sá Pinto, ci serve un tecnico>>. Accetta ed esordisce in prima squadra con un 1-7 in trasferta. Il miglior esordio che si possa conoscere. Lo score fino a fine campionato reciterà: 7 vittorie su 8 partite da allenatore, un solo pareggio. In più, la conquista della coppa di Lega contro il Porto campione.
Marzo 2020. Allo Sporting serviva innovazione, idee, e anche un po’ di sana follia. Dieci milioni per ingaggiare Amorim. Un inizio di carriera frenetico per questo allenatore, che si è trovato a interrompere percorsi o per un motivo o per un altro. Sposa lo Sporting e compie la resurrezione.

La resurrezione di Rúben Amorim

L’obiettivo era quello di costruire le basi per la stagione seguente. Di quella in corso, invece, si guardava poco. Si scendeva in campo concentrati, a pieno regime, ma con i giusti ideali e schemi che avrebbero trovato fondamento empirico in quella del futuro. Una sorta di allenamento a punti. Bisognava conoscere i giocatori, impartirgli la giusta sinfonia di gioco. Occorreva far giocare oggi, quelli del domani, lasciando ampio spazio al futuro: i giovanissimi.
Un progetto partito in anticipo, come il rientro forzato di giocatori poco funzionali alle sue ideologie: Bolasie e Jesé Rodriguez. Nessuna disattenzione. Di giorno si preparavano gli allenamenti e di notte si studiava per l’esame della stagione seguente. Organizzazione, metodologia, identità. Tutto impresso nella testa di Rúben.
Dalla sua, ai suoi giocatori. In poco tempo, avrebbero assorbito tutto quello che c’era d’assorbire, senza lasciare niente di sparso per strada.

Come gioca lo Sporting Lisbona

L’imprinting chiave di Amorim è di origine sistemica. Come anche con le squadre precedenti, specie il Braga. Lì, partì con il 3-4-3 e, in poco tempo, i giocatori si adattarono meticolosamente alle sue richieste. Così come qui allo Sporting.
L’allenatore possiede la capacità di farsi comprendere nell’immediato. Stesso modulo e costruzione dal basso. Nonostante le ampie criticità che questo modo di gioco impone, se applicato correttamente, riesce alla perfezione. Attrarre gli avversari per poi colpirli con pochi passaggi. Passaggi repentini e verticali, con l’obiettivo di sfruttare al massimo le aporie degli avversari.
In fase di non possesso la squadra attiva un modus operandi votato all’aggressività, con la presunzione di recuperare subito il pallone. Metodo rischioso anche questo, che può mettere a repentaglio l’equilibrio della squadra. Eppure, solo 12 gol subiti.
Un undici letale, dove João Mário aggiunge quel quid essenziale per compiere il salto di qualità. È il direttore d’orchestra della squadra, guidandola con il ritmo e le pause giuste; con o senza palla; attaccando e difendendo.

Il laboratorio dello Sporting è una fucina di talenti

Età media 24.8 anni. Testimonianza di quanto Amorim ha dato fede ai suoi ideali, ovvero, una squadra giovane votata ai giovani. Ragazzi freschi, con una carriera davanti. Giovanotti in cui si affianca la parola del talento, anche se in fase embrionale. La stoffa c’è e l’estetica pure.
Gonçalo Inácio, classe ‘01 Un talentino scuola portoghese. Ragazzone di 186 cm, uno dei migliori difensori centrali. Abile nel gioco aereo (direi) e bravo negli anticipi. Ha la faccia del bravo ragazzo, ma gli piace l’aggressività, proprio in simbiosi con i dettami del tecnico. Impavido e amante dei tackle. Non è basso, quindi la velocità potrebbe penalizzarlo. Potrebbe, perché non è assolutamente così. Anzi, con l’abuso della sua personalità, avanza talvolta palla al piede. Nasce come centrale di sinistra nella difesa a 4, ma è proficuo anche in quella a tre. Clausola di 45 milioni. Salute!
Pedro Porro, classe ’99 Viene considerato come uno dei maggior prospetti del calcio iberico, tanto da avere l’ok da Pep Guardiola. Il prestito allo Sporting è soltanto un modo per fargli fare esperienza e per dar modo di far vedere il suo enorme potenziale. Un terzino destro che sta bruciando letteralmente quella zona di campo, tanto rapido da “uccidere” gli avversari nell’ uno vs uno. Avendo la fascia libera, sfrutta le sue capacità a pieno regime, andando fino in fondo. Pep ha avvisato, Luis Enrique lo ha chiamato e Amorim non fa a meno di lui. ‘99 e un curriculum a livello di allenatori mostruoso.
Nuno Mendes, classe ’02 Micidiale. Un terzino sinistro, un’ala, un treno. Nuno Mendes fa brillare gli occhi di Amorim, ma anche quelli degli osservatori. La spinta insieme alla sua corsa poderosa, crea un a miscela devastante per chi lo deve affrontare in marcatura. Il piede “caldo” è un invito ai migliori assist, ma, spesso, non vuole limitarsi ad essere il “crossatore” della squadra: ed ecco che va in progressione, affonda e tenta il dribbling. Prima di approdare ai Leões giocava come trequartista. La dote offensiva gli si è tatuata nei piedi. Colleziona falli. Quelli subiti però, perché lo si prende solo trattenendolo.   Rinnovo fino al 2025 e clausola da 75 milioni. E se non lo si prende con i piedi, figuriamoci con i soldi.
Pedro Gonçalves, classe ’98 Dicevano che fosse difficile dimenticare Bruno Fernandes. Anzi, impossibile. E invece, nell’allontanare i fantasmi, ci pensa lui, Pedro Gonçalves. Il destro incanta e canta con 15 gol in campionato. Eredita la posizione dell’ex trequartista e gioca accanto a Nuno Santos o Tiago Tomas (ci arriviamo a breve). Possiede un’intelligenza tattica micidiale, tanto da farlo inserire furbescamente tra le linee, disorientando gli avversari. Visione di gioco oltre i 360° ed è il faro di questa squadra.
Tiago Tomas, classe ’02 Quasi sempre presente nell’undici titolare. E insomma, la carta d’identità pesa nonostante la sua leggerezza. Tomas è un attaccante che abbraccia la modernità di questo millennio. Riesce ad agglomerare diverse caratteristiche. Caratteristiche che si sparpagliano fra gli attaccanti e invece, Tiago Tomas, le ingloba tutte quante. Rapidità, fisico, esplosività. Fraziona il secondo con il cambio passo, fulminando il pensiero cognitivo dei difensori. Si allarga, si accentra, si dilunga. È un attaccante mobile che si incastra perfettamente con i meccanismi dell’allenatore. Magari, a volte, pecca nel suo individualismo e questo gli fa perdere l’attimo giusto. Poi, però, si dà un’occhiata all’età e torna la serenità. Vive per il gol: in U-17, su 28 partite giocate ha segnato altrettante volte. Aggressivo, estenuante sul piano atletico, il Portogallo si è assicurato l’attaccante del prossimo quindicennio.
Dario Essugo, classe ’05 Sì, 2005. Lo scorso marzo, alla tenera età di 16 anni e 6 giorni, Essugo, ha esordito per la prima volta con la maglia dello Sporting. Batte anche Ronaldo sul piano temporale. Ma ciò che interessa è quanto un ragazzo così giovane abbia calcato un campo professionale. Quando l’arbitro ha fischiato la fine della partita, lui non ha potuto trattenere le lacrime. È diventato anche il giocatore più giovane ad esordire con i Leões. Essugo è il cuore pulsante di una qualsiasi formazione: il mediano. Molto preciso con i passaggi è un prospetto capace di dettare tempi: sa quando fermarsi e quando mettere il piede sull’acceleratore. Possiede un buon passo e recupera una notevole quantità di palloni. Ama fare i lanci lunghi ed è consapevole quando cambiare il lato del campo. Ha una personalità forte e questo sarà estremamente importante per il suo percorso di crescita.

Ci sono anche altri giovani, alcuni relegati un po’ più in fondo alla piramide della squadra. Ma la base e l’identikit è abbastanza chiaro. Dentro questo Sporting c’è innovazione e futuro. A partire dall’allenatore, che ha appena compiuto trentasei anni. Il titolo manca dal 2002 e c’è tutto il desiderio di riportarlo sulla propria maglia. Il 2018 sembra essere una vecchia cicatrice del passato. Adesso, conta solo il domani.