Siamo arrivati al giro di boa. Momenti di riflessione ma anche di bilanci.
Bilanci perché è vitale fermarsi un attimo e mettere a confronto ciò che si era prefissati ad inizio stagione, e ciò che si è riuscito a concretizzare. Importante sarà il mercato di riparazione – ormai si avvia verso il tramonto - per cercare di mettere una toppa dove occorre o per trovare la chiave di volta, tanto per prendersi il campionato, per rimanere attaccati al treno Champions, o, più semplicemente, per rimanerci.
Ma in questa metà, si sono delineati contorni piuttosto marcati. Dipinti e districati su l’intero terreno di gioco: partendo dalla porta, dove c’è e ci sarà sempre un estremo difensore dalla degna firma; scendendo nel reparto difensivo, dove, allineati perfettamente, cercheranno di fornire trappole agli attaccanti avversari; arrivando al centrocampo e nella zona trequarti, cuore della rosa; per concludere in attacco, dove i migliori cecchini si sono posizionati per colpire.
Un affaccio in panchina, fondamentale per incitare. Questa, è la Top XI del girone d’andata.

Premesse di formazione (4-3-1-2)

Ci saranno degli esclusi, come è normale che sia. È una rosa composta da undici giocatori, e delle scelte devono essere compiute forzatamente. Ci sarà dispiacere per qualcuno, è ovvio, ma anche tanto piacere leggere nomi meritevoli di essere citati.
Si terrà conto del bilancio complessivo, che non siano soltanto “gol” e “assist”, ma anche carisma, dinamicità e protezione del campo. Una formazione bilanciata, che dovrà far affidamento al numero di partite giocate, di minuti e di titolarità. Non solo, ma l’equilibrio non potrà far sprofondare gli undici in un calcio iper-offensivo, altrimenti si rischia di prendere gol ad ogni contropiede.
Un modulo ponderato con un sistema di gioco ben preciso, che faccia in modo che la compagine rimanga solida, compatta e che non si sciolga in fantasie “dribblatorie” o fantasticherie varie. Un plus, anche una fascia da capitano, per riconoscere il leader di questa formazione.

Gianluigi Donnarumma, la sicurezza parte da lui

Parto con l’età, perché siamo talmente abituati a vederlo che non ce ne rendiamo conto. Donnarumma ha 21 anni, prossimo ai 22. Fino qui tutto normale, ma è bene sottolineare – e soprattutto rammentare – che ha esordito in campionato a 16 anni e 8 mesi, senza scendere sotto le 30 presenze dalla stagione 2015/16. Mostruoso.
196 presenze in campionato con la maglia del Milan, 222 considerando tutte le competizioni. Quest’anno ha subito 19 gol in 18 presenze (contro la Roma è stato fuori per Covid) e 6 solo tra Juventus e Atalanta.
Un leader tra i pali, ma anche trascinatore in mezzo al campo, tant’è che nella scorsa stagione ha indossato la fascia di capitano nelle ultime tre partite. Quest’anno è arrivato a quota 5, anche nell’ultima sfida drastica contro l’Atalanta. Incita, rimprovera, incoraggia: occuperà la porta della Nazionale per i prossimi 10/15 anni.

Achraf Hakimi, il motorino dell’Inter

  • 68% titolare
  • 72% dei minuti giocati
  • 22% della partecipazione al gol

Gli scettici erano pochi, ma la paura incontrava il bivio del suo adattamento in campo. Un altro campionato, un altro sistema di gioco, insomma, gli interrogativi galleggiavano sull’assegno che Marotta ha consegnato a Florentino Pérez.
Poi però gli interrogativi si sono messi da parte e hanno lasciato il posto agli esclamativi. Qualche scivolone c’è stato, ma è stato l’ombra di quasi tutti i giocatori. In 19 partite, ha messo a referto 6 gol e 4 assist, 5 contando la Champions, con una doppietta siglata contro il Bologna.
Le cavalcate preponderanti che brucia il marocchino quando ha benzina nelle gambe – e ce l’ha sempre – sono formidabili. Impressionante, tra l’altro, la sua lucidità sotto porta dopo le accelerazioni su tutta la fascia: 70-80 metri di velocità e poi la porta la prende. Anche bene aggiungerei.

Kalidou Koulibaly, leader anche in tempesta

  • 78% titolare
  • 75% dei minuti giocati
  • 0% la partecipazione al gol

Parliamo di un giocatore che, ogni anno, sembra essere sempre con le valigie in mano, con l’aereo o il treno che lo aspetta. E invece no. Koulibaly è sempre lì, leader anche in tempesta, nelle situazioni dove non sempre trovano il sole, ma anche in quelle dove il diluvio si fa sentire.
Lui è un combattente, arrogante nel senso più elegante del ruolo che ricopre e trascinatore. Senza di lui la difesa balla, con lui è quello che si erge come migliore. Ad inizio campionato garantiva, insieme a Manolas, una delle coppie difensive migliori, tant’è che il Napoli possedeva la miglior difesa. Poi molte cadute, ma pur sempre uno dei migliori.
91.7% la percentuale dei passaggi in campionato. Non si distingue per i lanci lunghi, ma quelli di breve raggio sono sempre efficaci e spezza anche le linee avversarie.

Cristian Romero, tanta costanza

  • 68% titolare
  • 66% dei minuti giocati
  • 6% la partecipazione al gol

Un altro giovane, un altro ’98, ma la costanza di Romero va premiata.
In questi mesi è stato lodevole, specie per il suo perfetto inserimento nei meccanismi di Gasperini. I movimenti non si distinguevano moltissimo da quelli genoani, ma alla Dea la giusta maturità e la prova è stata pienamente superata. Qualche sbandata nel match straperso per 4-1 contro il Napoli è vero, ma ve lo ricordate il gol di Lammers? Romero fece un coast to coast spaventoso, mettendo a sedere Koulibaly con una giocata messiana per poi servire l’olandese.
2 gol e 4 assist, tra Champions, Coppa Italia e campionato. Un macigno negli anticipi, fa sempre sentire il fiato sul collo agli avversari. I falli li fa, tant’è che il referto segna 9 ammonizioni, però è merito anche suo se la Dea è ritornata ad essere straripante.  

Theo Hernández, il nitro del Milan

  • 84% titolare
  • 84% dei minuti giocati
  • 17% la partecipazione al gol

Nelle ultime fasi è un po’ calato, ma è una conseguenza fisiologica. Credo sia più concepibile che un giocatore abbia una flessione ad un certo punto. Rendere sempre al massimo ti inserisce nella categoria dei non umani e sappiamo che appartengono ad altri.
Theo incendia la fascia sinistra. Dribbla, corre, fugge più che altro, affondando sino al cuore dell’area di rigore. Turbo Theo ha collezionato 4 gol (tra cui una doppietta) e 5 assist in 2248’ complessivi contando tutte le competizioni. Il Milan, con lui in campo, possiede una media 2,25 punti a partita. Insomma, la corona è sua.
A dicembre è stato eletto dall’AIC (Associazione Italiana Calciatori) come miglior calciatore di dicembre. Nel secondo tempo tende a crescere, infatti la sua media tiri in area di rigore, 0.6, si triplica nei secondi 45’.

Marcelo Brozovic, da esubero a play numero 1

  • 74% titolare
  • 73% dei minuti giocati
  • 15% partecipazione al gol

Doveva partire questa estate. Tra atteggiamenti che non facevano sempre sorridere Conte e la voglia di vedere un francese in quella zona del campo (il sogno Kanté), non era stato preso molto in considerazione. Poi il campionato è iniziato, le offerte non arrivavano e bisognava far di necessità virtù.
Da esubero a play numero 1, perché Brozovic, è uno dei vertici bassi migliori della Serie A. Ha messo in vetrina un gol e 6 assist in campionato (più un altro in Champions), diventando il terzo miglior assist-man nei 90 minuti di gioco. È il cervello dell’Inter, dove trasuda sicurezza e mobilità lì davanti. L’azione deve partire sempre dai suoi piedi, non ci sono alternative.
89.3% dei passaggi in Serie A, e una media di 1.5 come passaggi chiave a partita. Contro la Juventus una signor gara anche sul fronte difensivo.

Frank Kessié, il sergente di ferro

  • 89% titolare
  • 90% dei minuti giocati
  • 23% partecipazione al gol

A centrocampo i nomi palpabili salgono di quota. Ce ne sono tanti, ma, come scritto precedentemente, occorreva fare alcune scelte. Ho visto la classifica, ho letto la costanza e premiato con freddezza: Frank Kessié è l’uomo giusto.
Lo è per la mia Top XI, ma lo è lo soprattutto per il centrocampo del Milan. In coppia con Bennacer, trova l’intesa adeguata per chiudere in un forziere di ferro una sana sistematicità tattica. È il polmone del Milan, e uno dei due della mia rosa. Tra lo scorrazzare di Theo e qualche toppa messa per il mancato ritorno di Leao in fascia, ci pensa sempre lui.
6 gol e 3 assist e una media punti in campionato con lui titolare di 2,22. Quasi il 90% dei passaggi in serie A e 92.5% in Europa. Fisicità e tanta sicurezza per il calcio di Pioli.

Nicolò Barella, e il dono dell’ubiquità

  • 84% titolare
  • 86% dei minuti giocati
  • 17% partecipazione al gol

Conte non può far a meno di due giocatori: uno è Lukaku, l’altro è Barella.
Ragazzo imprescindibile e di una crescita mozzafiato. L’ambiente nerazzurro è quello che lo esalta di più, proprio per il motivatore trainante che siede adesso in panchina. A lui devo tanto, disse Barella a DAZN, ma credo che la cosa sia reciproca. È il secondo polmone della mia formazione e insostituibile per quella di Conte, tanto da farlo giocare anche quando non era in condizione.
2 gol e 6 assist in campionato, schizzando a 9 considerando tutte le competizioni. Ha il dono dell’ubiquità e anche quello di non conoscere la stanchezza. Corre ovunque è onnipresente: crossa, difende, pressa, si inserisce. Barella è l’archetipo del centrocampista moderno.
83.4% dei passaggi in Serie A, con una media di 1.9 considerando quelli lunghi e 1.3 come quelli chiave. Insaziabile.

Henrikh Mkhitaryan, l’armeno che va come un treno

  • 95% titolare
  • 92% dei minuti giocati
  • 39% la partecipazione al gol

L’armeno che va come un treno, recita uno striscione nei dintorni di Roma, nei borghi dei quartieri giallorossi. Uno striscione che denota verità, perché la stagione fin qui del giocatore è stata a dir poco micidiale. Sia in termini di profitto che di rendimento.
L’anno scorso era più silenzioso: tanti infortuni, ma quando entrava in campo, anche in una partita insufficiente, qualcosa dal cilindro te la tirava fuori. In questa prima parte di stagione è stato straripante. Specie nella tripletta realizzata da falso nueve.
8 gol e 8 assist in campionato, con la percentuale di xA (expected assist) più alta in Serie A. Raggiunge la doppia cifra – 10 gol e 10 assist – tra tutte le competizioni. Si fa sentire sia quando è presente sia quando è assente. Si, Mkhitaryan va decisamente proprio come un treno.

Romelu Lukaku, l’attaccante perfetto

  • 79% titolare
  • 78% dei minuti giocati
  • 33% partecipazione al gol

C’è poco da fare. In Serie A, ma anche altrove, chi non vorrebbe un giocatore come lui in squadra? L’Inter è Lukaku-dipendente e Conte non può far a meno di lui. Quando il belga non ha giocato, l’Inter ha vinto una partita su 4.
Segna, lotta per la squadra, si muove per aprire spazi a Lautaro, detiene uno strapotere fisico, è di ghiaccio sul dischetto. Lukaku è il prototipo dell’attaccante perfetto. Non lo si butta giù nemmeno a sassate. Gli avversari gli si aggrappano, ma poi cadono, come se fossero appigliati ad una superficie rocciosa.
Abbiamo due Inter: quella con Lukaku e quella senza Lukaku. 12 gol in campionato e 3 assist. 18 i gol considerando la Coppa Italia (2) e la Champions (4). Il lavoro che fa per i compagni vale doppio e, in proiezione, è da 25 gol.

Ciro Immobile, un giocatore d’altri tempi

  • 84% titolare
  • 80% dei minuti giocati
  • 46% partecipazione al gol

Credo sia doveroso scriverlo in questa Top XI. Non solo per l’eterno amore che ha giurato alla Lazio (e questo denota ancora un barlume di romanticismo nel nostro calcio), ma perché è un attaccante genuino, d’altri tempi, indispensabile per la formazione di Inzaghi.
Leader, sfrutta la profondità come nessuno mai, e poi parliamo di un giocatore che ha vinto la scarpa d’oro con 36 reti, mettendo dietro di lui tanti altri mostri sacri del gol. Non dimentichiamocelo. Lavora per la squadra, incita i compagni, festeggia come un tifoso. Insomma, Ciro Immobile è l’antidoto giusto per tutte le intemperie.
13 gol in campionato e 2 assist. In Champions ha messo in bacheca 5 gol in 4 presenze, coadiuvato da un assist. Immobile è il capitano della Lazio, ma anche della mia Top XI.

Allenatore: Stefano Pioli

Infine, per concludere questa mia Top XI, voglio affidare la panchina ad un allenatore che, a mio modo di vedere, se la merita tutta: Stefano Pioli.
È stato sempre etichettato come l’equilibratore, quello che sistema le cose, il traghettatore. Quest’anno, invece, ha voluto posare lo scudo. Lo ha sostituito con una spada ed è pronto a combattere come Cavaliere di questa Serie A. Quello che ha realizzato con il Milan nel post-lockdown è stratosferico, e ha continuato la striscia anche in questo girone d’andata, regalando ai Diavoli il titolo di campione d’inverno.
Una squadra garbata, composta e anche attraente sotto certe vesti. Pioli è il giusto timoniere. Ha saputo gestire un mix di giovani e giocatori d’esperienza, tenendo a bada Ibra (nonostante l’ultima sbandata in Coppa) e adesso lo dovrà fare anche con Mandzukic.

Caro Stefano, il tempo è galantuomo e, questo, è il giusto premio che meriti.