Ieri mattina, durante un confronto whatsapp sul caso Skriniar con un amico con il quale condivido la fede calcistica, la frase che mi ha scritto che più mi ha fatto riflettere è stata: la maggior parte dei tifosi non sa cosa sono le diagonali difensive, le seconde palle, i braccetti, i quinti, le sovrapposizioni, le marcature preventive, il movimento del pivot a venire incontro, la ricerca della profondità della seconda punta… almeno il 90% non è minimamente interessato ai chilometri percorsi mediamente da un centrocampista, al numero di contrasti vinti, al numero di calci d’angolo battuti, alla percentuale di possesso palla… al tifoso medio interessa passare mezza giornata di divertimento senza tante menate che riguardano tecnica e tattica, al tifoso medio interessa vincere per sfottere l’avversario, al tifoso medio interessa poter sventolare la propria bandiera ed indossare per tutta la vita la stessa maglietta con scritto sulle spalle il nome del suo idolo.

Queste parole mi hanno fatto ricordare quando a cinque anni, io figlio di un super milanista, sono diventato interista perché “innamorato” di Beccalossi e di quella maglia numero 10 nerazzurra che mi fu regalata da un amico di mio padre.
Io volevo essere il Becca, io ero mancino e tecnico come il Becca, io giocavo come il Becca. L’Inter per me era il Becca.
Per me l’Inter era Zenga, era Ferri, era Berti, era Zanetti, e fino a qualche giorno fa era Skriniar.
Noi tifosi amiamo i nostri colori, ma soprattutto amiamo i nostri giocatori, quelli a cui ci affezioniamo perché veri, perché guerrieri, perché simbolo di ciò che insieme alla mamma non cambieremmo mai nella vita, la squadra del cuore.
Marotta, alto dirigente dell’Inter, ha quasi minimizzato la scelta del giocatore slovacco di andarsene a Parigi, dai ricconi qatarioti, per di più a parametro zero, senza far avere un minimo indennizzo alla Società che lo ha reso ricco e famoso.
Marotta dice che è tutto normale, che è un diritto del ragazzo andarsene, che i calciatori oggi sono professionisti in un mondo del lavoro caratterizzato dal turnover. Marotta dice che l’attaccamento alla maglia non c’è più, che le bandiere non esistono più, che contano solo i soldi, sia per i giocatori che per le Società che sono ormai vere e proprie aziende che devono guardare ai bilanci.

Io ho risposto al messaggio del mio amico inoltrandogli quanto detto da Marotta e lui prontamente, con decisione, ha ribattuto così: va bene, allora mettiamo sui seggiolini allo stadio dei pupazzi di cartone o dei figuranti come al mondiale appena giocato, e degli ingegneri per i calcoli statistici e dei ragionieri per quelli economico-finanziari.
Non ha mica tutti i torti il mio amico, la direzione è quella, la gente è stanca di contratti milionari firmati da ragazzotti per dare due calci al pallone, la gente è stufa, arrabbiata di vedere questi ragazzotti fregarsene di tutto e di tutti rincorrendo solo ed esclusivamente un euro in più di ingaggio.

La gente vuole indietro i Facchetti, i Mazzola, gli Zenga, i Berti, gli Zanetti… la gente vuole indietro le sue bandiere, noi tifosi chiediamo a gran voce: RIDATECI IL NOSTRO CALCIO, RIDATECI LE NOSTRE BANDIERE!