Moise Kean è un ragazzotto con gli attributi. Ieri sera a parere di alcuni è stato insultato a causa del colore della pelle, a parere di altri per il colore della maglia, qualunque sia il motivo degli insulti, dopo il gol che ha chiuso la gara e spento le residue speranze dei tifosi sardi si è piazzato davanti alla curva del Cagliari e li ha sfidati, se non irrisi.

Bisogna ammettere che dato il contesto e l'età del protagonista non è stato un atto eccessivamente fuori dalle righe, in fondo è stato fermo, zitto e ha fissato tutti negli occhi come per dire "chi deve distogliere lo sguardo per la vergogna siete voi non io".

Non è bello dirlo, però più dei cori beceri, degli ululati e degli insulti che sono quasi all'ordine del giorno, hanno stupito le dichiarazioni di Bonucci che, dopo aver fatto in campo un gesto di scusa nei confronti della curva, nelle dichiarazioni del dopogara ha salomonicamente distribuito al cinquanta per cento le responsabilità tra Kean ed i tifosi Sardi.

Sono certo che in quattro e quattr'otto qualcuno comincerà a criticare Bonucci sostenendo che minimizza il fenomeno del razzismo, forse qualcuno arriverà persino a dire che è razzista.
Personalmente credo che Bonucci abbia voluto con queste dichiarazioni mandare un messaggio preciso a Kean: sei un calciatore professionista, hai gli occhi del mondo addosso e delle responsabilità precise, le tue azioni portano a conseguenze che possono essere anche gravi.

Il ragazzo non ha fatto gestacci, non ha insultato nessuno, però non credo sia casuale che i tafferugli in tribuna si siano verificati proprio dopo la sua esultanza. I calciatori hanno il sacro dovere di non fomentare gli animi anche se la ragione sta dalla loro parte. Il messaggio di Bonucci, che poi è stato in parte ribadito da Allegri, è che se anche ti hanno insultato ed hai tutti i motivi del mondo per rifarti devi pensare al campo e a giocare, il problema del razzismo lo devono risolvere le autorità e la società civile.