Unione.
Una parola molto rapida nell’essere intuita dal nostro intelletto, ma molto complicata nell’essere praticata. È una definizione che non trova fertilità nell’assodare le proprie radici nell’egoismo, perché implica una cooperazione, una coordinazione tra due o più persone.
Unirsi per il bene comune. Un bene che riguarda tutti coloro che mettono insieme i pezzi, mattone dopo mattone, per giungere ad un fine collettivo. Dove ognuno svolge il proprio lavoro, specializzato nella propria mansione, ma sempre per arrivare allo stesso tipo di orizzonte.

Tönnies elaborava la distinzione tra Gemeinschaft e la Gesellschaft, dove la prima indica la comunità e la seconda la società. La comunità, un posto formato da rapporti sociali immediati e diretti. La società, invece, un luogo coadiuvato dal contratto, da un modello capitalista, che poggia le sue basi sulla convenienza. E se tante squadre porgono il volto al modello societario, la Roma, abbraccia quello comunitario.

Roma allo specchio: un punto in meno ma una posizione in più
14 giornate che segnano il confronto.
Un Fonseca che si specchia per mettere sulla bilancia la sua prima Roma con la seconda. E, quello che vede, è assai curioso: un punto in meno rispetto a ieri, ma una posizione in più quella di oggi. 28 punti contro i 27 attuali, anche se, virtualmente, sarebbero gli stessi (caso Verona).
Sempre 8 vittorie, ma a mutare sono i gol, sia incassati che inflitti: per i primi, la Roma di oggi ne conta 23 (3 relativi alla sconfitta a tavolino), contro le 15 di ieri; per i secondi, invece, il sorriso è a trentadue denti: 31 contro i 26 della scorsa stagione. 
Un Olimpico che, per quanto deserto, si fortifica: 5 anziché 4 le gare vinte, 2 a 2 i pareggi e 0 sconfitte a 1, con il saldo reti a favore del secondo Fonseca: 18 quelle segnate e 7 quelle subite.

Un sorriso anche nelle gite europee
Una Roma cambiata anche in Europa League, dove ha messo un punto di fine con una giornata di anticipo.
Un girone differente, per alcuni più semplice, per altri un po’ meno: l’anno scorso sono arrivati 9 punti in 6 partite, con due sole vittorie, tre pareggi e una sconfitta. Un ritmo lento e affannato, dove il primo posto lo ha consegnato al Basaksehir. La stessa formazione con cui sono arrivate le due uniche vittorie e dove non ha subito nemmeno un gol (4-0 all’andata e 0-3 al ritorno). Totalmente diversa quest’anno: quattro le vittorie, un pareggio e una sconfitta. 13 punti in 6 partite e primo posto.
Di poco, è a favore anche il rendimento tra difesa e attacco. L’anno scorso sono stati realizzati 12 gol contro i 6 subiti; quest’anno, invece, 13 quelli realizzati e 5 quelli subiti, di cui 3 in una sola partita.

Problemi e limiti: l’alternanza dei portieri non dà sicurezza
L’alternanza dei portieri non fa dormire sogni tranquilli a Paulo Fonseca. Lui ribadisce di avere totale fiducia nei portieri e che, quando si sbaglia, sbagliano tutti, imputandosi come quello con le maggiori responsabilità. Vero, ma fino ad un certo punto.
Pau Lopez è giunto con l’appellativo di portiere più pagato della storia giallorossa. E se all’inizio è partito molto bene, scacciando ben presto gli incubi di Olsen, dopo il lockdown, ha perso non solo la sicurezza verso se stesso, ma anche la titolarità. Senza dimenticare la microfrattura al polso, che, di certo, non lo ha aiutato.
Mirante, invece, è passato da secondo a titolare. Ma adesso si ritrova a metà, senza una posizione, proprio come lo spagnolo. Il 37enne ha sempre garantito ossigeno, ma dopo le “brutte” uscite di Napoli e Atalanta, complice anche lui di diversi infortuni, ha riaperto il capitolo “cercare estremi difensori validi”.

Una difesa ballerina?
La differenza di gol è chiara. Otto nel computo totale, ma cinque sul campo. Un fattore che però non deve far degenerare troppo nello sconforto, perché, tale nodo, può essere sciolto molto semplicemente:

  • la Roma produce molto di più rispetto all’anno scorso: in fase offensiva offre una mole di gioco impressionante (i gol fatti sono 31, dietro solo a Milan e Inter), lasciando scoperte le retrovie, specie lungo le fasce;
  • tre le sconfitte: a Verona, non ha subito gol sul campo; Atalanta e Napoli, le uniche due sconfitte arrivate nei 90’ in Serie A, ha preso 8 gol;
  • una Roma che, nel secondo tempo, sembra staccare la spina, favorendo il numero di occasioni avversarie;
  • tante rotazioni, ma poche sicurezze: tra Covid, assestamento e infortuni vari, la difesa di Fonseca ha subito diverse mutazioni, adattando nuovamente Cristante centrale.

Ballerina sì, ma con tanti “ma”. Rimandata al prossimo anno.

Una mancata mentalità vincente
Purtroppo, è un dato che ha sempre contraddistinto la Roma. Sul più bello, la Roma, si sfalda. Perde pezzi, si scombussola e impazzisce facendosi spesso male. Non è un caso, che, il più delle volte, le sconfitte arrivano non tanto per merito altrui, ma per demerito proprio.
E anche quest’anno, non riesce a mantenere una linea ferrea sulla mentalità. La sconfitta contro il CSKA di Sofia, ad esempio, è sinonimo di una mancata mentalità vincente. Quella partita è stata un cocktail di giovani della primavera con le seconde e terze linee della rosa. Ma gli errori, sono arrivati solo da questi ultimi e, l’unico gol, da un diciottenne, Milanese.
Il 75% dei gol subiti – 15 di 20 al passivo – arrivano nei secondi 45’. Un dato allarmante, che testimonia quanto la Roma prenda una valanga di azioni avversarie nella ripresa, rischiando – come già successo – di compromettere la partita.

Punti forte su cui porre le basi: il primo tempo è mostruoso
La Roma, nei primi 45’, è una squadra arrembante, votata all’attacco e che schiaccia il proprio avversario.
Il trio delle meraviglie, Dzeko, Pedro e Mkhitaryan, lì davanti sanno essere micidiali. Specie l’armeno, che ha messo a referto numeri impressionanti. E poi da quelle fasce instancabili – vedi Spinazzola e un ritrovato Karsdorp – che aumentano qualitativamente il peso offensivo.
Tutto questo porta la Roma a totalizzare 30 punti nei primi 45’, insieme al Milan. Non solo, ma sono 7 i gol generati nei primi 15’ di partita. Insomma, la Roma parte subito con il piede puntato sull’acceleratore e ferisce non in modo indifferente i nemici sul campo. È aggressiva, rabbiosa e schiacciasassi, creando un calcio qualitativamente e oggettivamente bello.
Ovviamente non si chiede di tenere un ritmo così elevato ad ogni partita, ma l’ideale sarebbe equilibrare l’esplosione del primo tempo, districandola per tutto il match.

Il centrocampo è lo spawn dei gol
Se il portiere può essere un nodo leggermente problematico da sciogliere e la difesa ancora poco assestata, i gol arrivano dal centrocampo. È da lì che mente e pratica realizzano qualcosa di entusiasmante, facendo divertire tifosi – non allo stadio purtroppo – e ammattire gli avversari.
In queste prime quattordici giornate, la Roma è la squadra che ha segnato di più con i suoi centrocampisti. Su 31 centri, 16 provengono dal cuore della squadra. Perlopiù da tre centrocampisti micidiali: l’armeno è a quota 7, ma lo abbiamo visto diverse volte ricoprire il ruolo da falso nueve (la tripletta al Genoa in quella zona di campo); altri 7 dal francese per eccellenza, Jordan Veretout, nonché rigorista della squadra; e 2, con la speranza di ampliare il bottino, di Lorenzo Pellegrini.
Sul piano assist, la Roma è la terza forza della Serie A: 6 da Mkhitaryan, 3 da Pellegrini e 1 da Veretout.

Il gruppo è il piano forte della Roma
La Roma è unita. In campo, fuori dal campo, dentro lo spogliatoio, negli allenamenti. Ovunque. I ragazzi mostrano sempre coesione anche quando vengono esclusi o quando assistono alla partita da spettatori. C’è sempre un abbraccio o una pacca sulla spalla ad ogni cambio, e mai una smorfia di disapprovo.
Il mister trasmette tranquillità all’ambiente. A volte usa la linea dura – un secondo tempo da ragazzini – ma è sempre pronto a fare mea culpa ad ogni partita persa. Difende i propri ragazzi – i due attaccanti più forti al mondo sono Dzeko e Mayoral – e non pone mai una parola fuori posto, nemmeno quando veniva messo in discussione (da chi?).
Il Presidente c’è, è onnipresente. Osserva le partite, comunica con i ragazzi. Dà fiducia al tecnico e, l’arrivo di Tiago Pinto – portoghese come Fonseca -, mostra un filo rosso inscindibile. Continuativo.
Se la Roma è terza, tanto dipende anche da questo.

Giovani ed esperti: è la pozione perfetta
Questa è la linea adottata quest’anno. Far crescere i giovani, puntando e investendo su di loro, ma preservando l’esperienza e il carisma dei più grandi.
Perché, partendo dalla porta, Mirante si è sempre dimostrato un grande accompagnatore e consigliere dei più “piccoli”. Lo si vede in allenamento, ma anche in panchina, quando, uscito per infortunio, anziché pensare al problema in corso, si preoccupava se Pau Lopez avrebbe parato il rigore di Joao Pedro. In difesa, dove Smalling è importante a livello motivazionale e assicurativo, come disse Mancini durante il periodo estivo.
E poi quel terzetto sensazionale: con Dzeko, capitano della squadra, e leader indiscusso del gruppo; con Pedro, portatore di esperienza internazionale e di una mentalità vincente che a Roma deve ancora svilupparsi; e di un Mkhitaryan in forma strepitosa, intelligente, intuitivo e fonte di ispirazione per molti ragazzi.
Il gruppo c’è, manca solo il salto di qualità.

Il famoso salto di qualità che non arriva
Il salto di qualità si mostra in due occasioni.
Nella prima, quando c’è da sfruttare una perdita di punti altrui. Spesso la Roma, negli anni precedenti, non riusciva mai in questo compito. Nonostante le avversarie fossero all’altezza, era solito perdersi e perdere punti che avrebbero fatto comodo in classifica. Forse una pressione eccessiva o, magari, un mancato salto di qualità che difficilmente le è appartenuto. Anche se, in queste 14 partite, la musica sembra aver preso un’altra sinfonia.
La seconda, è vincere contro le grandi. Nei 19 scontri diretti della gestione Fonseca, la Roma, ne ha portati a casa soltanto tre, tutti relativi alla scorsa stagione: Milan, Napoli e Juventus, che però aveva già vinto il nono titolo consecutivo. In questo c’è da lavorare, perché se è vero che i punti si fanno con le piccole, lo è altrettanto con quelle più di spessore, specie per creare una mentalità vincente.

Com’è arrivata la sconfitta di Napoli?
Nel ricordo di Diego Armando Maradona, il Napoli di Gattuso sembrava avesse una sorta di protezione dall’alto. E, il gol di Insigne, insieme al dribbling di Politano, ha accarezzato il cuore all’insegna dei ricordi. Però, c’è stata una scelta tattica sbagliata.
Abbiamo visto in molte occasioni quanto la squadra di Fonseca ha fatto tesoro della costruzione dal basso. Ma, contro i partenopei, tale scelta è stata un suicidio. In primis, perché il Napoli attacca la profondità – e non oso immaginare come sarebbe terminata se ci fosse stato Osimhen in campo – e, di fatti, il primo gol è arrivato da una transizione negativa; in secundis, perché si è chiusa in 5-4-1 in fase di non possesso, abbassandosi sempre di più e rinunciando ad aggredire i centrali di difesa con il portatore di palla Demme.
In questo modo, non è scattato il solito pressing e, il Napoli, ha trovato vita facile.

E di Bergamo?
Qui, invece, c’è stato il primo vero e proprio calo nella ripresa. Vero che la Roma aveva un giorno di riposo in meno, ma gli ultimi 30’ sono stati un crollo sia fisico che psicologico senza precedenti.
Dzeko è stato l’uomo più utilizzato per dare peso in attacco, mentre Mkhitaryan e Pedro, venivano schierati in una marcatura orientata sulle fasce, quando la palla andava da quella parte (5-4-1), e in marcatura sui centrali laterali, quando la palla era centrale (5-2-3).   
Con l’ingresso in campo di Ilicic, la Roma è evaporata: passaggio chiave per Zapata; un cross dello sloveno per Gosens, in anticipo su Karsdorp; e il quarto gol frutto di un dribbling d’alta scuola. 2 assist e un gol per un giocatore che ha mandato fuori uso la mente giallorossa.
Entrambe le sconfitte arrivate con 4 gol subiti. In ambedue i casi, il quarto gol, è stato un dribbling.

Non dimentichiamoci di Zaniolo
Due le sconfitte sul campo. Tre includendo quella europea, ma con un girone chiuso con la certezza di averlo passato. Passato da primi.
Ma, in questa Roma, non bisogna dimenticarsi che è orfana di Zaniolo. Un giocatore che, come ci ha dimostrato, è capace di rompere gli equilibri, di far saltare le difese e di dar vita ad un’altra partita. Forse nell’abitudine del doppio infortunio e di una Roma terza, questo è passato in sordina, ma invece è fondamentale rammentarlo.
Perché non bisogna abituarsi a stare senza Zaniolo, anzi - verrebbe da chiedere-, dove sarebbe questa Roma se avesse avuto Nicolò per tutto questo tempo? La corsa che quel giovane ha sulle gambe, magari, l’avrebbe infusa anche nella classifica, ma di certo, lascia riposare l’allenatore e la dirigenza con grandi sorrisi.

Questa Roma lunatica è la più bella del campionato
Perché è vero che le sconfitte arrivate hanno destato timori, ansie e inquietudini. Specie perché sono arrivate batoste più che sconfitte. Cali mortali che hanno spento qualche supposizione di troppo. Ma vederla in campo, la Roma è qualitativamente bella. La più bella di tutte.
La Juventus gioca le sue carte con il valore della mentalità. Alla lunga, è la rosa che più è in grado di reggere la pressione e di approfittare delle sbavature altrui; l’Inter ha scelto le carte della forza, con una formazione oggettivamente più forte delle restanti e che ha ingranato un rullino di marcia impensabile in questo tipo di campionato (7 vittorie consecutive); il Milan gioca sull’organizzazione, societaria e di squadra, in grado di far collimare il tutto con un momento che volge a suo favore.
E poi la Roma, che oltre ad essere un gruppo unito, sceglie di essere bella, arrembante e letale.

Dove può arrivare?
Deve basarsi su quello che si è posta ad inizio stagione: qualificazione Champions e continuare il viaggio europeo il più a fondo possibile. Senza parlare di scudetto. Perché una classifica e un campionato del genere può accendere sì qualche speranza, ma non deve far dimenticare che i sette punti che la tengono lontana dalla vetta sono gli stessi che la tengono lontana dal nono posto, occupato dal Verona.
Per questo è rilevante tenere a bada gli obiettivi prefissati ad inizio campionato, operando nel mercato invernale dove occorre operare. Bisogna mantenere alta la guardia, perché le inseguitrici sono tante e non si può essere soltanto belli per finire alti in classifica.
Comunque, i paragoni ci dicono che i punti sono gli stessi. Ma nella vita si sa, si contano i fatti e non i paragoni. E, questi fatti, ci dicono soltanto una cosa: che il terzo posto è occupato dalla Roma.