Sulla base delle dichiarazioni rese da Massimiliano Allegri, la Juventus, con la qualificazione in Champions League per l’undicesima volta consecutiva, ha raggiunto l’obiettivo minimo della stagione.
Condivido pienamente le dichiarazioni del nostro allenatore sulla base delle seguenti considerazioni.

La favola dell’assenza del bel gioco
I detrattori hanno costantemente martellato Allegri per tutta la stagione, asserendo che l’allenatore non sia mai riuscito a dare una organizzazione di gioco efficace e piacevole alla squadra. Le critiche inducono ad una riflessione. E’dall’ultimo anno della precedente gestione di Allegri (stagione 2018/2019), che la squadra ha subito un’involuzione nel gioco (fermo restando che, salvo rare eccezioni, le formazioni di Allegri, anche nel passato vincente, non sono mai state particolarmente brillanti quanto a prestazioni). Tale trend non è stato certo interrotto da Sarri (che commentava, tra l’altro, di avere a che fare con una squadra “inallenabile”). Infatti, nonostante uno scudetto vinto (dalla squadra priva in sostanza di un allenatore) l’allenatore toscano è stato immediatamente esonerato. La successiva annata di Pirlo non ha modificato in alcun modo la qualità del gioco e sfido chiunque a rammentare partite di pregevole fattura sotto la gestione dell’allenatore bresciano. La corrente annata di Allegri - con una campagna acquisti che nel settore nevralgico del campo (centrocampo) ha contato un solo innesto (Locatelli) a giugno con un rinforzo (Zakaria) a gennaio – non poteva mutare lo stato dell’arte.
Il motivo è semplice.
La Juventus ha terminato un ciclo incredibile, contraddistinto da un assoluto dominio decennale in ambito nazionale ed impreziosito da incredibili stagioni in Champions League (solo ed esclusivamente sotto la gestione di Allegri).
Ora la squadra deve essere completamente rifondata, rinunciando a calciatori da salotto (Dybala) o esauriti e strapagati (Alex Sandro su tutti e senza considerare Ramsey) e puntando su giovani di nuvo corso, possibilmente italiani.

Mancata valorizzazione dei giovani
A gennaio 2022, la Juventus ha operato l’acquisto (Vlahovic) più significativo della nuova gestione (puntare su giovani di talento e prospettiva). Dopo un inizio scoppiettante, il serbo si è però progressivamente spento (inguardabile l’ultima prestazione contro il Venezia).
Ebbene, secondo i critici più o meno schierati, la colpa sarebbe di Allegri.
Ma stiamo scherzando!!!???
Il serbo ha ventidue anni e si è calato in una realtà completamente diversa dal passato, con un salto di caratura incredibile, a livello di squadra. Era del tutto normale che il suo processo di adattamento, dopo l’iniziale fuoco di paglia, subisse un assestamento, quasi una regressione (i meno giovani ricorderanno in proposito gli stentati inizi di Zidane e di Nedved all’esordio in bianconero).
Se a ciò aggiungiamo il fatto che, attualmente, i centrocampisti della Juventus sono incapaci di giocare in verticale (tanto è vero che l’unico in grado di lanciare Vlahovic è un difensore, Danilo), allora il quadro si completa in tutte le sue componenti.
A parte il serbo, qualche altro critico aveva iniziato a censurare Allegri per la gestione di Chiesa.
Evidentemente costoro omettono di considerare che Allegri ha dovuto fare di necessità virtù, dirottando Chiesa al ruolo di punta (anziché al ruolo naturale di esterno), stante l’incapacità cronica a svolgere tali compiti dai reduci post Ronaldo (Morata, Kean e lo stesso Dybala, un autentico ectoplasma).
In realtà, Allegri ha dimostrato che non nutre alcun tipo di pregiudizio nei confronti dei calciatori giovani ma solo una accorta prudenza, per evitare di bruciarli. A tale riguardo e per fare un esempio, nel passato (2018/2019), il tecnico livornese ha lanciato in prima squadra il diciottenne Moise Kean e, nella stagione in corso, ha fatto debuttare Akè e Soulè, senza dimenticare l’ultimo della covata, ovvero Fabio Miretti. Il diciottenne piemontese ha disputato un’ottima partita da esordiente, come titolare, contro il Venezia. Credo che a tutti coloro che abbiano visto la partita non siano sfuggiti due particolari nel gioco del ragazzo: verticalizzazioni e giocate di prima. Le frasi di Allegri nel pre e post partita su Miretti sono esemplificative: “Il ragazzo gioca bene a calcio (pre). Miretti ha giocato con grande tranquillità e ha una serenità da veterano (post)”.
Tradotto: non c’entra l’età ma i piedi e la testa.

La Dirigenza non è impazzita
Dopo il biennio “anomalo” di Sarri e Pirlo, il Presidente ha deciso di ripuntare sull’allenatore, che aveva condotto il quinquennale ciclo vincente della Società, stipulando con Allegri un contratto quadriennale. Credo che le motivazioni della scelta siano riconducibili ad una serie di fattori, tra i quali quello primario di programmare il futuro ciclo della Juventus con un allenatore, che avesse già dimostrato di essere un vincente.
E chi se non Allegri?
Evidentemente, le qualità del tecnico livornese erano ben note alla Dirigenza bianconera, perché consolidate in un lustro di successi e con una squadra che, ogni anno, mutava organico pur restando sempre estremamente competitiva, a livello nazionale ed internazionale.
Il Vertice della Società era (ed è ben consapevole) che occorreva ricreare le fondamenta sulle quali poggiare il nuovo programma di rilancio delle ambizioni bianconere.
C’erano solo due allenatori che potevano essere ingaggiati, perché il loro profilo rispondeva allo standing di elevata e riconosciuta professionalità: Conte o Allegri. Peccato che il primo, con la storia dei ristoranti da cento euro, la risoluzione del contratto al primo giorno di ritiro della squadra ed il suo approdo all’Inter, si fosse già bruciato tale possibilità, senza alcuna riserva.
Restava quindi solo Allegri ed Allegri è stato.

La stagione di transizione
Infine, solo un allenatore come Allegri sarebbe stato in grado di gestire con la giusta professionalità e fermezza una stagione di transizione come quella che si sta concludendo. Mi riferisco al fatto che qualsiasi altro allenatore non sarebbe stato in grado di reggere alle pressioni negative che aleggiavano nell’ambiente bianconero.

Quali sono queste pressioni?
Semplice: (i) la messa in discussione del ruolo del Presidente, ovvero di colui che aveva scelto Allegri come fulcro del nuovo programma; (ii) l’ingresso nell’organigramma di vertice di un Amministratore Delegato, con un ruolo esteso quanto alle deleghe operative e potenzialmente critico nei confronti delle scelte della passata gestione; (iii) l’incertezza ed il protrarsi dell’esito delle trattative dei rinnovi contrattuali di molti calciatori della rosa o l’interruzione delle stesse nel momento topico della stagione (tra tutti Dybala, ma non solo: Morata, Bernardeschi, Alex Sandro); (iv) la perdita per infortuni di lungo periodo di calciatori chiave (Chiesa ma anche Mc Kennie) o per infortuni ricorrenti (Locatelli, Bonucci, Chiellini, Arthur, etc.).
Provate ad immaginare se, al posto di Allegri, ci fosse stato un qualsiasi altro allenatore, magari inesperto ai grandi palcoscenici.

L’obiettivo quarto posto
Dobbiamo necessariamente fare un passo indietro, tornando all’epilogo della stagione 2018/2019. Avevamo vinto lo scudetto per l’ottava volta consecutiva (oltre ad un vasto assortimento di altri trofei nazionali) ma quello che tutti i tifosi rimproveravano alla Società e ad Allegri in particolare era la mancata conquista, nello stesso periodo, della Champions League. Noi tutti avevamo omesso di considerare che, nel periodo “allegriano”, la Juventus fosse riuscita a raggiungere per ben due volte la finale della massima competizione europea e fosse uscita dalla stessa competizione in altre due circostanze con partite epiche a Monaco di Baviera e a Madrid e con raggiungimento dei quarti nell’ultimo anno (eliminati dall’Ajax).
A noi, a quell’epoca, la conquista dello scudetto importava meno di niente, in quanto veniva considerato il “minimo sindacale”. Ora, a distanza di solo due anni di digiuno (la stagione corrente e la scorsa), ci sentiamo orfani di questa grande conquista?

Incredibile ma vero!
Dovremmo riconsiderare le nostre riflessioni e pensare che ad un periodo così lungo (ed ineguagliabile) di successi nazionali, dovessero seguire fisiologiche stagioni di transizione, in cui l’unico obiettivo non derogabile, in ogni stagione, è la conquista di uno dei quattro posti per l’ingresso in Champions League e ciò non certo perché ambiamo a vincerla ma perché certifica il nostro ranking europeo, in termini economici e di prestigio.
In tale ambito, Allegri era ed è il timoniere giusto.