Il mondo dei fanciulli è affascinante. Hanno un immaginario assolutamente incomparabile a quello di noi uomini razionali. Noi oggi siamo affaccendati in mille pensieri, che siano inerenti al contesto lavorativo, che siano appartenenti alla sfera universitaria o che siano legati alla sfera dei problemi quotidiani. Sempre e continuamente viviamo all’interno di una routine, anzi, di una cupola a cui sembra uscirne “salvi” soltanto il weekend quando rivediamo gli amici dopo una settimana, per qualche ora. Ma il mondo dei bambini appartiene a tutta un’altra cosa. Non hanno nessun pensiero che li rincorre costantemente. Attivano quella che per noi è una sospensione dell’incredulità e che per loro è la forma più concreta di razionalità. Quello che per noi è utopistico per loro è la realtà di tutti i giorni. Sognano ad occhi aperti e la loro mente viaggia costantemente: c’è chi sogna di diventare astronauta e un giorno di calpestare il suolo di un altro pianeta, perché magari la Luna è troppo scontata; c’è chi sogna di diventare una stilista e adornare i suoi modelli e modelle con abiti progettati da lei; c’è chi sogna di fare il giornalista, per dire la verità a quelle persone che vedono in lui o in lei un modello d’ispirazione. C’è anche chi sogna in grande, che raccoglie due sogni in uno, e anche se diventa ancora più utopistico non importa, perché la mente dei bambini non pone limiti e possiedono una riserva cognitiva che farebbe invidia a tutti noi adulti comuni mortali. Ecco, in questa landa fanciullesca, c’è un adulto, un uomo direi, che già da calciatore sapeva cosa avrebbe fatto da “grande” e che un giorno, bussò alla porta e disse: “Papà, da grande voglio diventare allenatore”. Il suo nome è Daniele De Rossi.

La sincerità è una virtù di pochi
“Io provo a rimanere il più possibile attaccato a questo gruppo, anche con il mio ruolo che è marginale, però a me va bene così”. Questo è quello che rilasciò in un’intervista un giovane Daniele De Rossi. L’unica bugia che disse era inerente al suo ruolo marginale, ma giustamente come faceva a sapere quello che sarebbe diventato di lì a qualche anno. Un rapporto con i suoi tifosi sempre a mille, condizionato da alti e bassi, ma in un matrimonio è impossibile non averli. Già, perché se Daniele aveva una sposa, beh, quella era la sua amata Roma, che baciava ogni volta che entrava in campo, ogni qualvolta che buttava il pallone alle spalle del portiere, ogni qualvolta che andava sotto la Curva Sud per abbracciare il cuore pulsante della squadra e ogni qualvolta che andava a casa. Per Daniele la Roma era ed è vita e non l’ha mai messa in discussione. Un giocatore che non ha mai cercato scorciatoie, anche quando è stato messo con le spalle al muro da una società che ha demonizzato la romanità, andando a togliere la colonna vertebrale di una squadra che non vive di trofei, ma di passioni e sentimenti. Ecco, Daniele De Rossi non è stato sincero solo con se stesso, con il tifo e con la sua maglia (perché lo sbarco al Boca non è stato un tradimento), ma lo è stato anche in campo, con le sue verticalizzazioni ove imbeccava l’artiglieria capitanata da un certo Francesco Totti, un fratello per lui, ma anche da centrocampisti che non avevano problemi a sporgersi in avanti e a “bussare” al limite dell’area di rigore; con le sue scivolate coraggiose, pronte a sradicare il pallone dai piedi avversari e mandare in visibilio una folla intera che inneggiava il suo nome; sincero “oltre il 90esimo minuto” quando le cose non andavano bene, quando la Curva lo chiamava e veniva lapidato a parole da quasi ventimila persone.
Un Capitan Futuro che lo ha visto con la fascia troppe poche volte, poche se confrontate con l’amore che versava per la sua eterna compagna di vita. L’ultimo giorno da giocatore – perlomeno con la Roma – e quel video in cui caricava la sua squadra dentro lo spogliatoio da far venire i brividi anche a chi è apatico di calcio, perché di fronte a quelle parole, dinnanzi a quell’adrenalina che ti conferisce, beh, puoi solo guardare e ascoltare con ammirazione. E adesso il salto in avanti. Ha posato quei scarpini che per tanto tempo ha indossato per calpestare un manto verde e, adesso, lo calpesterà di nuovo, ma nella sua piccola zona delimitata, non più con una t-shirt a maniche corte, non più con la fascia da capitano sul braccio, non più con le sue atomiche scivolate, ma con delle scarpe lustrate, con giacca e cravatta e con quella vena che lo ha contraddistinto da qualsiasi altro essere umano del pianeta calcistico.
Il buon Daniele De Rossi è pronto a diventare un allenatore.

Il colpo di fulmine
Nella stagione 2002-03, Trigoria vede arrivare un nuovo calciatore, del tutto inconsapevole del rivoluzionario allenatore che si appresterà a diventare negli anni avvenire. Parlo di Pep Guardiola e, anche se non ha avuto chissà quale fortuna con la casacca giallorossa (4 presenze e 0 gol), trovò maggior riparo nell’attenzione che gli riservava Daniele De Rossi:

«Quando anni dopo ammirai come tutti lo splendido Tiki Taka del Barcellona, riandai con la memoria agli allenamenti a Trigoria, quando Pep si fermava a spiegarmi come avrei dovuto mettere il corpo per ricevere il pallone e come giocarlo e a quale compagno. Aveva già in testa il gioco del Barça e provava a spiegarmelo».

Sono parole forti, perché i primi insegnamenti, oltre che da Fabio Capello e altri allenatori che avevano costruito il percorso di Daniele, Pep diede il suo contributo. E chissà se nel gioco dell’ormai ex Capitan Futuro non troveremo un po’ di tiki taka. Quello che possiamo immaginare è come potrebbe costruire l’azione, perché se gli insegnamenti di Pep sono valsi per affermare il ruolo di Daniele nel centrocampo giallorosso, non mi sorprenderei se chiedesse lo stesso a chi andrà a ricoprire tale zona del campo. Controllo palla, visione di gioco (quella che non gli è mai mancata) e passaggio fondamentale per andare in superiorità numerica. Forse saranno queste le basi da cui Daniele costruirà la sua squadra, ma ci ha sempre sorpreso e sicuramente lo farà anche quando gli daranno le chiavi della rosa. Il 25 gennaio del 2003, sarà l’alba del nuovo giorno per il ragazzo di Ostia perché vedrà il suo esordio in campo contro il Como. La mitologia degli aneddoti calcistici racconta che quel giorno doveva scendere in campo Pep, ma che lui non se la sentì perché aveva già trovato l’accordo con il Brescia per un suo ritorno nella stagione successiva. Ma questo è un altro discorso.

Un binomio disciplinare
Nel calcio non basta avere soltanto giocatori validi che giocano un calcio altrettanto valido. Si può avere anche la rosa più forte del mondo, ma ciò che è necessario e non meno importante, è la disciplina. Un corretto comportamento da attuare sempre: nelle scelte dell’allenatore, nei moduli e nelle predisposizioni tattiche, nei rimproveri e in quelle che sono le uscite anticipate. Anche i coach possono sbagliare, ma i giocatori devono saper rispettare le loro scelte, aprendo sicuramente un confronto se qualcosa non va per il verso giusto, ma senza lanciare bottigliette quando si viene sostituiti o senza andare direttamente sotto la doccia quando c’è un problema con la squadra o con il mister. La disciplina è una regola fondamentale e, non a caso, la si insegna da quando i fanciulli sono alle prime armi con il pallone. Eppure, il buon Daniele, non sempre possedeva la calma adeguata in campo e, spesso, si lasciava andare in qualche braccio largo di troppo. Una sciocchezza che ne costava l’espulsione. I tifosi, anche criticandolo fino al midollo, alla fine lo perdonavano comunque, sapevano che lo faceva a “fin di bene” e sapevano anche che Daniele era la reincarnazione di un tifoso in veste da calciatore. Ma da professionisti queste cose vanno ben distinte perché possono causare dei disagi non solo a chi li commette, ma anche alla propria squadra. Tutto questo sicuramente lo avrà annotato nel suo blocchetto per gli appunti, anche perché da guida disciplinare aveva due perfetti precursori, Antonio Conte e Luciano Spalletti. Queste le sue parole:

<< Conte? “Mi ha folgorato. L'ho detto tante volte: mi ha colpito. Mi ha chiamato, ed è stato diretto: “Se sei al cento per cento punto tutto su di te, altrimenti non ti convoco”. Io amo le persone così. Amo chi dice la verità. Tatticamente è un mostro. È un animale da campo. Non è facile essere un suo giocatore, ma è bello esserlo>>.

Essere un giocatore di Conte non è facile, dice Daniele, non solo perché è un maniaco della tattica e arrivare alle sue richieste è estremamente complicato e necessita di un’elevata sintonia, ma perché nel suo vocabolario non esiste il termine “indisciplinato”. Si può avere anche il giocatore meglio dotato tecnicamente nello spogliatoio, ma se è un potenziale virus per la squadra è meglio debellarlo. Icardi, per Antonio Conte, era un potenziale virus.

Le parole su Luciano Spalletti:

<<È stato l'allenatore che mi ha condizionato di più. Quello che ho avuto per più tempo. Mi ha preso che ero giovanissimo. Oggi mi rendo conto che quando lo sento parlare di un giocatore, di una situazione, di un movimento, io ho pensato la stessa cosa un'ora prima. Ho cominciato a vedere il calcio con gli occhi di questo allenatore. Ed è un bel vedere>>.

Beh, con il “bel vedere” non possiamo che non essere d’accordo. L’allenatore toscano portò Francesco Totti a vincere la scarpa d’oro, facendolo giocare come falso 9; inventò un ruolo a Simone Perrotta che li valse la convocazione e poi la vittoria ai mondiali di Berlino; durante la sua seconda guida tale ruolo lo riproporrà a Nainggolan (un altro successo); e con Luciano la Roma vide per l’ultima volta alzare un trofeo; e, infine, sempre con l’allenatore di Certaldo, nella sua seconda parte di gestione, la Roma totalizzerà 87 punti, diventando il mister che ne ha totalizzati di più in 93 anni di storia giallorossa. Ma con lui c’è anche disciplina, perché prima di Conte c’era lui ad allenare l’Inter e, proprio lui, mise il “virus” in isolamento. Quindi, continuando nell’ipotesi, tiki-taka, molta disciplina, nuove invenzioni in campo e molta tattica: non mi sorprende, perché si sta parlando sempre di Daniele De Rossi.

Sulle orme di papà Alberto
Sembrerà un’ovvietà, ma non possiamo fare a meno di considerarla. Daniele De Rossi è figlio di Alberto De Rossi che da una vita ormai insegna ai giovani come comunicare con il pallone. Papà Alberto nella stagione del 97/98 guida le giovanili della squadra giallorossa, per poi passare ad allenare la Roma Primavera nella stagione 2004/05. Ha rifiutato incarichi in prima squadra e chiamate da altre squadre, perché ha sempre pensato che la sua vocazione fossero i giovani, il futuro del nostro calcio. E non importa quanti trofei ha vinto in tutti questi anni, ma conta l’amore e la passione che versa per questi fiori che saranno pronti a sbocciare appena sapranno di esseri maturi; e papà Alberto ne ha visti e lanciati di talenti, anche all’estero. Daniele erediterà sicuramente questo dal padre. Avrà sicuramente premura per i giovani, si prenderà cura di loro e saprà lanciarli nel miglior momento. Lo ha fatto anche con i più inesperti con cui giocava, insegnandoli non solo le migliori tecniche e le migliori modalità d’approccio in campo (un po’ come Pep fece con lui), ma anche con il giusto atteggiamento. Un padre putativo che portava il nome di Daniele De Rossi, figlio di Roma e la reincarnazione del romanismo.

Tiki-taka, disciplina, amorevolezza nei giovani, attenzione alla tattica e parsimonia delle risorse fisiche. Sono queste le tante caratteristiche ereditate dagli altri. Ci metterà anche del suo, visto il ruolo che ricopriva in campo e portando una tale attenzione in fase difensiva, magari partendo dal basso, con un’impostazione accurata e con un pressing da applicare sul portatore della palla, non appena questa è stata persa. Tutte ipotesi su come potrebbe essere l’atteggiamento e la meccanica di Daniele, ma quello che più conta, sarà la premura che eserciterà sui suoi giocatori, con una pacca nei momenti gioiosi e anche in quelli amari, un rimprovero quando non scenderanno con il giusto atteggiamento e una carica per ogni partita, come quella che è stata la sua ultima.
Ci sorprenderà e sarà un grande leader.
In bocca al lupo, Allenator Futuro!