Noel Gallagher, cinquantacinquenne nativo di Manchester, figlio di immigrati irlandesi, famoso per essere insieme al fratello Liam un componente della band musicale Oasis, è stato accontentato, il suo sogno di vedere il suo amatissimo City giocare la finale di Champions League contro, a suo dire, la più scarsa delle squadre partecipanti alla manifestazione calcistica per club più importante al mondo, si è avverato, il prossimo 10 giugno gli sfidanti dei Citizens saranno i nerazzurri del Football Club Internazionale Milano.

Ieri sera, mentre sistemavo casa in vista di una visita femminile per la cena di oggi, ho guardato Manchester City – Real Madrid, non per curiosità verso chi sarebbe stata la seconda finalista della coppa con le orecchie, ma perché calcisticamente innamorato di Guardiola e del gioco che propongono le sue squadre.
Sono un esteta, per me il bello è un valore unico ed assoluto, non c’è nulla di interessante senza bellezza, senza raffinatezza, senza perfezionismo, e il Guardiolismo, a mio parere, rappresenta la perfezione della bellezza del giuoco del calcio.
Giocatori che si muovono in armonia, copertura dello spazio e del tempo perfetta, velocità di pensiero, corsa continua della palla. Il tutto unito alla magia ammaliante delle capacità tecniche di stop, palleggio, dribbling e tiro dei singoli interpreti. Il rischio di soffrire di un attacco di sindrome di Stendhal di fronte ad un’opera d’arte così meravigliosa è altissimo.

Mentre guardavo la lezione di calcio che Guardiola stava infliggendo al buon Carletto Ancelotti, pensavo, ridendo divertito e sollevato da un peso durato vent’anni, quali mezzi possono usare i miei Acerbi, Dumfries, Dimarco, Gagliardini, Bellanova, Correa (per citarne alcuni) per provare ad arginare la forza fisica alla Ivan Drago di Haaland, la tecnica, la velocità, il dribbling dei quattro esterni alti (Grealish, Bernardo Silva, Foden e Mahrez), l’intelligenza tattica e il tiro da fuori di Rodri, Gundogan e De Bruyne, la fisicità di Stones e Ruben Diaz, il passo da centometrista di Walker? Come può la mia Inter vincere contro una squadra che ha in panchina il centroattacco titolare dell’Argentina campione del Mondo, mentre il nostro nove è il suo panchinaro in nazionale?
La speranza, onestamente, è che non finisca con un punteggio tennistico, che dopo i primi due o tre goal la macchina perfetta di Pep rallenti e si metta a palleggiare in mezzo al campo facendo scorrere il cronometro fino al triplice fischio finale. Una sconfitta con due goal di scarto la festeggerei come una vittoria, un po’ come credo fecero nel 1972 i tifosi interisti dopo la finale persa contro l’Ajax di Cruijff.

Poco dopo la fine di Manchester – Real ho dato uno sguardo al calendario, al programma delle prossime partite e mi è caduto l’occhio su Juventus – Milan di domenica 28 maggio, penultimo match della serie A italiana.
Se vogliamo dirla tutta, la partita più attesa da qui alla fine della stagione non è la finale di Champions che ha, lasciando perdere scaramanzie inutili che non mi appartengono, un risultato scontato, una squadra vincitrice già incisa sulla coppa, ma bensì lo scontro di vitale importanza tra gli amiconi biancorossoneri, che al netto delle eventuali penalizzazioni ai torinesi, potrebbe escludere una delle due dalla prossima massima competizione europea, ridimensionandone inevitabilmente il potenziale della rosa.

Mi godrò lo spettacolo di milanisti e juventini che se ne diranno di tutti i colori per poi, come se niente fosse, riunirsi sotto un’unica bandiera il 10 giugno per festeggiare la nostra sconfitta.
Il calcio è il regno dell’ipocrisia…e del “non succede, ma se succede” caro Noel…