Quando Miralem Pjanic giocava nella Roma, dicevo sempre tra me e me: "Questo è il giocatore che vorrei nella mia squadra, quanto mi piace!"
E così fu; correva l'estate del 2016, la Juventus (allora sì...) era sempre più proiettata a diventare grande, ma grande davvero e così la dirigenza portò a Vinovo due pezzi da novanta, tolti alle dirette concorrenti: Gonzalo Higuain, reduce dalla trionfale stagione nel Napoli con il record di 36 gol segnati e, appunto, Miralem Pjanic, che tanto aveva deliziato la platea romanista con il suo piede vellutato e le sue proiezioni spesso letali nella trequarti avversaria.
Mr. Allegri però, da sempre amante delle metamorfosi calcistiche, aveva in mente sin dall'inizio di assegnargli una diversa posizione in campo da quella sin lì occupata: non più trequartista, né mezzala, ma insediato davanti alla difesa, con Bonucci dietro a dargli manforte, perché il bosniaco sul lungo faceva molta fatica e quindi spesso doveva essere coadiuvato dal centrale nei lanci in profondità, irrinunciabili per l'architettura della squadra delineata dall'allenatore labronico.
Migliorò in fretta il biondino e presto, molto presto, diventò uno splendido regista. Sempre compassato nel suo approccio con la palla, riusciva comunque a disegnare geometrie e far partire le azioni di rimessa (sì, il tanto vituperato quanto efficacissimo contropiede Allegriano), con cui la squadra spesso risolveva senza fatica  set, partita e incontro.

La sua prima stagione fu quella del nostro secondo quasi-triplete, arenatosi nello spogliatoio di Cardiff dopo un primo tempo gagliardo assai, che però aveva prosciugato le poche energie rimaste ad una squadra fortissima ma non tanto da resistere fino alla fine (ahhh il karma...) contro i ben più rodati finalisti dei Blancos. E si narra che Pjanic, insieme a Mandzukic, fosse il giocatore fisicamente più provato, ma che non fu sostituito perché, sebbene acciaccato, al tempo era ritenuto insostituibile.
La delusione fu forte, ma la squadra si rialzò, continuando a vincere in Italia e a fare paura in Europa.
Miralem sempre in prima linea; negli ultimi due anni con Allegri in panchina fu costretto a fare gli straordinari per le continue defezioni dei suoi compagni di reparto, il che ne ha alla lunga minato la costanza di rendimento. Ma quando era in partita, ahhh se era dolce accompagnare il suo passo con la palla incollata al piede, la testa alta a cercare la soluzione migliore, gli inserimenti  e i tiri al fulmicotone da fuori area. E quelle punizioni... autentiche opere d'arte regalate allo spettacolo: quando si avvicinava alla palla per sistemarla con cura mentre la barriera avversaria si affaticava vanamente a coprire la visuale della porta, migliaia di lucine pirotecniche vibravano nell'aria: erano i flash dei tifosi, pronti a riprendere quella che già si sapeva sarebbe quasi sicuramente stata l'ennesima pennellata vincente.
Quest'anno il bosniaco, dopo un inizio incoraggiante, sembrava aver perso la misura del campo e della posizione da tenere, così progressivamente sfilandosi via dal fulcro del gioco e privando la squadra di un insostituibile punto di riferimento, quale il play maker costituisce in ogni assetto vincente.

E così è giunto il momento dell'addio. Personalmente mi dispiace tantissimo non poter più gridare allo Stadium il suo nome all'annuncio dello speaker "Con il numero 5,Miralem ....". Spero che la società non abbia fatto l'ennesimo errore e che presto non si debba rimpiangere questo bosniaco dal fisico minuto, l'espressione imperterrita, il piede destro fatato, la juventinità nell'anima. 
Certo è che con il messaggio di commiato da brividi con cui ci ha salutato, posso assicurare a Miralem che noi non lo dimenticheremo mai, perché  CHI AMA LA JUVE SARA' AMATO PER SEMPRE DA CHI AMA LA JUVE!
In bocca al lupo pianista.